La precarietà mi faceva sentire “piccola”

La storia di Elisabetta Bilei

Elisabetta ha 37 anni e vive in un piccolo comune vicino Padova, con suo marito e suo figlio in una villetta quadrifamiliare. Figlia unica di due genitori dipendenti pubblici, con un salario basso ma un lavoro sicuro, ha un rapporto con i soldi abbastanza complicato: da ragazzina se ne serve per colmare l’insicurezza di non piacere agli altri, utilizzandoli per comprare regali. Crescendo, la visione veneta del “lavorare sodo” permea la sua quotidianità a tal punto da non riuscire a staccarsi dalle incombenze lavorative nemmeno quando sua madre si ammala. Elisabetta “si misura” su quando è brava a portare a casa, a incassare. Al ritorno dalla maternità, però, la sua situazione lavorativa inizia a peggiorare e lei viene messa parte. «All’improvviso, tutto il mio ruolo costruito in anni di lavoro e la stima dei clienti sono andati a sfumare. Era come se avessi partorito e fossi diventata scema tutta in un colpo». La precarietà sul lavoro la fa sentire piccola. Così come la cultura in cui è cresciuta, che continua a chiederle conto dei risultati ottenuti, a tal punto che solo un grave incidente riuscirà a convincerla a lasciare il posto fisso per dedicarsi a nuove ambizioni e scoprire altre forme di ricchezza.


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