Vivo dieci mesi l’anno viaggiando

Giulia ha 42 anni e un obiettivo chiaro in testa: viaggiare quanto più possibile e poter scegliere dove abitare, indipendentemente dal costo della vita. Chiacchierando con lei abbiamo scoperto che dietro un modo di vivere così libero e anticonformista si nasconde una pianificazione finanziaria scientifica. Nonché uno strumento semplice ma prezioso: il conto di risparmio.

Tempo di lettura: 10 minuti

Giulia Raciti

Ascolta il podcast della puntata:

Ci sono vite che ho frequentato per anni, a distanza, senza mai riuscire a svelarne il mistero. E per mistero intendo il meccanismo che le rende possibili, non tanto quello psicologico, lo ammetto, quanto quello economico.

Giulia Raciti è una di queste vite impossibili. Ha 42 anni, è nata a Taormina, ha vissuto a Roma, a Londra, a Berlino, alle Galapagos. È stata per tre anni filati in viaggio attraversando Paesi che riesce ancora a elencare tutti di un fiato: da Cuba a Myanmar, dalle Fiji alla Tanzania. Negli anni successivi ha viaggiato per una media di 10 mesi su 12. E quando la pandemia ha messo in crisi il suo stile di vita, ha sparpagliato i suoi vestiti fra tre case, quella del fidanzato a Bologna, la sua a Roma e quella dei suoi a Taormina, nonché un van con cui ha vagabondato tra i Paesi a cui volta per volta il Covid dava tregua.

Giulia non viaggia per lavoro, ma per stile di vita. E io mi sono sempre chiesta quale fosse il suo segreto, come facesse a vivere così.

Finalmente gliel’ho chiesto.

“Iniziamo dal principio. Benché fossimo benestanti, i miei genitori a 16 anni mi hanno regalato il libretto del lavoro. Da quel momento in poi hanno continuato a pagarmi scuola, danza, tennis, pianoforte, ma qualunque cosa in più dovevo guadagnarmela.”

«Non ne ero felice, perché io sono di Taormina e mentre i miei compagni andavano al mare, io dopo la scuola iniziavo subito a lavorare mezza giornata: ho fatto la salumiera, la commessa, la maschera al teatro greco. Ma oggi riconosco che l’aver fatto una miriade di mestieri mi ha aiutato a vedere il lavoro sempre con un mezzo, mai come un fine».

E infatti dopo il liceo classico, una laurea, un master e 6 anni in un’agenzia web, Giulia molla tutto per andare a Londra e ricomincia da capo, dal gradino più basso della gerarchia della ristorazione: la runner, o portapiatti. «Per molti era una regressione lavorativa, ma per me il lavoro non è mai stato una progressione per cui si cresce continuamente come ruolo, posizione economica, status».

Il lavoro per lei serve a guadagnare il giusto per poter fare la vita che desidera. «Il mio obiettivo, per esempio, è sempre stato poter scegliere la città in cui vivere indipendentemente dal costo della vita. O permettermi di trascorrere mesi in viaggio».

A Londra, dopo la gavetta da cameriera, Giulia trova un lavoro come assistente marketing manager, inizia a far carriera e diventa la responsabile del suo settore nel giro di due anni. Scopre cosa significa essere considerata una risorsa da parte di un’azienda. «Dopo quell’esperienza, ho continuato a considerare il lavoro uno strumento per fare la vita che desideravo, ma non ho mai più potuto accettare alcun tipo di lavoro maltrattata».

Nonostante fosse felice professionalmente, Giulia decide di lasciare Londra perché la città non le sta più bene e vuole trasferirsi a Berlino. Ha programmato di dimettersi a dicembre ma non vuole arrivare a Berlino d’inverno: «Avevo paura di rovinarmi il romanticismo che c’era tra me e quella città. Così decisi di partire per un lungo viaggio: il giro del mondo in 6 mesi».

Ma con quali soldi?

“Il fatto di aver iniziato a lavorare da ragazzina mi ha reso molto consapevole del denaro. Ho iniziato a risparmiare fin da piccolissima. A Londra, dove i conti in banca non costavano praticamente niente e ti davano dei piccoli interessi, ho sentito parlare di saving account per la prima volta. Ne ho aperto uno e ho cominciato a mettere lì i miei risparmi. Non ho mai smesso di farlo. Prima del covid riuscivo a mettere da parte 400 dollari ogni mese. E questi soldi non li tocco, servono per tutto ciò che può succedere in emergenza, quasi me ne dimentico”

Quando decide di fare il giro del mondo, quel conto di emergenza diventa il suo salvadanaio. Per accumulare più risparmi accetta anche un secondo lavoro, serale. E così a dicembre, quando si licenzia, ha ben 8mila euro da parte.

Due giorni prima di partire succede qualcosa di inaspettato. Un conoscente la contatta: ha bisogno di uno specialista Seo. È un lavoro che può fare da remoto. Giulia accetta. E quel “sì” ha delle conseguenze incredibili. Il viaggio invece di sei mesi dura tre anni. Il lavoro che accetta poco prima di partire le frutta 800 euro al mese e lei decide che quella sarà la cifra che dovrà spendere in media ogni mese.

Così, alla fine dei tre anni, torna con la stessa cifra con cui era partita, 8mila euro. Anzi, con qualcosina di più.

Ma come si fa a viaggiare con un budget così risicato? «Innanzitutto si fanno scelte. Per esempio, in Oceania ho dovuto scegliere tra Australia e Nuova Zelanda. Ho scelto la seconda. E quando sono arrivata in Cile mi si è posto il dilemma: Galapagos o Isola di Pasqua? Nell’uno e nell’altro caso avrei speso tanti soldi e non potevo permettermele entrambe. Ho scelto le Galapagos e quella è stata la prima volta nel viaggio in cui ho usato 1000 pounds del famoso saving account che ancora non avevo sfiorato. Per me quella era un’emergenza, una spesa straordinaria che però andava fatta».

“Ho rinunciato a visitare tantissimi posti durante il viaggio, non avevo l’ossessione di fare e vedere tutto. Dieci, dodici anni prima dell’arrivo dei social, tutti facevamo delle scelte, non c’era un posto dove si doveva andare per forza.”

Ma scegliere con accuratezza le mete non basta.

«Io ho dormito per tre anni in ostello in camera condivisa. In viaggio, la prima cosa su cui risparmio è il dormire e il mangiare. Non taglio assolutamente su escursioni, gite, attività. Però bisogna conoscersi e sapere a cosa si può e si vuole rinunciare senza che l’esperienza ne risenta».

Il tempo è un altro grande amico delle economie di viaggio.

«I primi giorni in un Paese nuovo sono sempre i più dispendiosi perché non sai bene quanto costa la vita, non ti rendi neanche conto se la gente ti fa o meno il prezzo giusto. Specie nel Sud est asiatico, dove ci sembra tutto economico, dalla carta igienica allo snack per strada. Quando ci stai molto tempo, impari benissimo quanto costa un chapati e così riesci a vivere con pochissimo in alcuni Paesi per poi spendere di più in altri».

Una cosa su cui Giulia non risparmia è la sicurezza.

«Se in un quartiere malfamato c’è da prendere un taxi invece che andare a piedi lo faccio. Non ho intenzione di far soffrire chi mi aspetta a casa perché sono stata un’incosciente. Arrivo sempre preparata nei posti: prima di partire, mi informo nelle comunità di espatriati sulla questione sicurezza. Poi le cose possono succedere. Però io faccio in modo che non accadano».

Durante quei tre anni zaino in spalla, il viaggio comincia ad apparirle non solo come uno stile di vita ma anche come un lavoro. Molte persone, leggendo il suo blog, le chiedono consiglio. E lei, quasi per gioco, inizia a disegnare viaggi pur continuando a fare altro.  Quando le richieste diventano numerose e il tempo speso a rispondere, a organizzare e coordinare viaggi supera quello impiegato nel lavoro di Seo, Giulia decide di divenire travel designer a tempo pieno.

«C’erano mesi in cui e lavoravo tantissimo, non c’erano sabati, domeniche e vacanze. Lavoravo dalle 9 del mattino alle 10 di sera tutti i giorni pure quando ero in viaggio. Mi aggiravo su un guadagno di 50-60mila dollari l’anno».

«In quel periodo il mio modo di viaggiare è rimasto lo stesso, sono cambiate le destinazioni. Ho potuto permettermi di trascorrere 5 anni esplorando l’Africa, che come sappiamo è costosissima, benché io abbia dormito sempre in tenda, anche sotto i 50 gradi. Sono stata due mesi tra Israele, West Bank, Palestina e Giordania. Sono stata tre volte negli Stati Uniti e finalmente ho percorso la Patagonia come sognavo di fare».

Giulia è una travel designer particolare. Consiglia solo guide e agenzie locali che ha conosciuto personalmente durante i suoi viaggi. Propone esperienze uniche e irripetibili che ha scovato nelle sue lunghe permanenze nei luoghi. Non ha mai voluto diventare un’agenzia turistica, ma di piccole agenzie ne ha fatte nascere tantissime.

«Quando sono arrivata in Africa mi sono trovata davanti una situazione nuova. In Tanzania, Etiopia, Kenya, Madagascar ho conosciuto guide locali, ragazzi in gamba e preparati, ma alle dipendenze di persone che li sfruttavano: nella maggior parte dei casi non venivano pagati. Il loro salario erano le mance, che da alcuni turisti arrivavano mentre da altri no».

Giulia decide di accompagnarli in un percorso di consapevolezza del proprio valore e di aiutarli ad emanciparsi, aprendo la propria agenzia. E giù con fogli excel, tariffe, programmi gestionali.

“Ho sempre sognato di cambiare il mondo. Non potendo farlo, ho voluto lasciare qualcosa a questi ragazzi, alle loro famiglie, assicurarmi che potessero mandare i figli a scuola o permettersi un ospedale per curarsi.”

Le cose andavano a gonfie vele quando una pandemia mondiale ha congelato gli abitanti della Terra dentro le loro case, le loro città, i loro Paesi.

«Io, che sono una previdente, avevo pensato a tutto: alle guerre, alle rivoluzioni, alle svalutazioni della moneta. Gestivo mete diversificate in base a tutte queste variabili: cosa poteva mai capitare per interdire tutti gli angoli del mondo contemporaneamente? La parola pandemia non credo di averla mai pronunciata prima del 2020. Avrei considerato più credibile l’arrivo degli alieni».

Giulia per fortuna ha il suo saving account. Quindi inizialmente la prende positivamente.

«Credevo sarebbe durato un paio di mesi. E non ti nascondo che ero quasi sollevata: avevo finalmente la scusa per occuparmi di tutte le cose lasciate indietro negli anni di iperlavoro. Quando però mi sono resa conto che la situazione andava per le lunghe, ho cominciato a sentirmi smarrita. Il fatto che io non avessi il piano B è stato devastante. La cosa che mi preoccupava di più era che la depressione arrivasse senza che io me ne rendessi conto e a quel punto non avrei saputo tirarmene fuori».

Giulia si ferma sull’orlo dell’abisso decidendo, come hanno fatto molti, di vivere il tempo della pandemia come un’occasione. Per stare con i suoi genitori, a Taormina. Per aggiornarsi su materie che aveva lasciato andare. Per riprendere il suo vecchio lavoro nel mondo digitale, ripromettendosi di non fidarsi mai più di un unico binario. E per esplorare i dintorni con un van comprato appositamente dal suo fidanzato: Sardegna, Corsica, Svizzera, Est europeo…

Oggi il mondo ha ricominciato a viaggiare e Giulia a fare progetti. Una terza stagione della sua vita l’aspetta e io non vedo l’ora di seguire le sue avventure.

Se anche a voi è venuta voglia di non perderla di vista, seguitela pure sui social ma non aspettatevi di sapere dove si trova. I suoi viaggi li racconta un paio di mesi dopo il ritorno: «Non ho mai tempo mentre viaggio».

E anche se trovasse il tempo, i suoi viaggi sarebbero tutt’altro rispetto al racconto patinato a cui siamo abituati sui social network. Posti spettacolari, tramonti da favola, comodità e lusso, tutte cose che la maggior parte delle persone non potrebbe mai permettersi.

“Il viaggio è bello è faticoso è duro. Devi metter in conto di fare dei sacrifici prima e durante, di imparare a gestire le tue finanze. Ma è proprio lì che il viaggio diventa unico e memorabile.”

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