Il giorno in cui mi sono ritrovata con 600mila euro di debiti

Esdebitazione è il processo attraverso cui vengono cancellati i debiti residui di una persona. Antonia Moroni aveva un debito di 600mila euro. E questa è la storia di come si è ritrovata con questo macigno sulle spalle e di come ne sta uscendo, non solo attraverso una grande dedizione, ma anche grazie ad una fede profonda.

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Antonia Moroni

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«Ho dimostrato di non essere colpevole e sto dimostrando di mettercela tutta per uscire da questa situazione. Quindi fra un anno e mezzo l’appuntamento è con il giudice che stabilirà se io posso essere esdebitata. E io lo sarò, non voglio dire “se”. Io fra un anno e mezzo sarò esdebitata».

Esdebitazione. Non so quanti di voi abbiano già sentito questa parola prima di adesso. È il processo attraverso cui vengono cancellati i debiti residui di una persona. Antonia aveva 600mila euro di debiti. E questa è la storia di come si è ritrovata con questo macigno sulle spalle e di come ne sta uscendo.

L’infanzia con due genitori sordi

Antonia Moroni ha 58 anni, vive a Milano ed è responsabile amministrativa di un’azienda commerciale. È figlia di due genitori sordi, o meglio, una madre non udente, che aveva cioè perso l’udito a 7 anni a causa di una meningite, e un padre sordo dalla nascita, molto probabilmente per una lesione ai timpani provocata dal forcipe. Questo la porta a occuparsi delle questioni familiari fin da molto piccola.

«Inevitabilmente i figli udenti di genitori sordi vengono investiti da responsabilità di ponte tra le loro orecchie e il mondo esterno. Quindi fin da piccola sono stata coinvolta anche in cose molto più grandi della mia età. Io mi ricordo che, per esempio, andavo in banca a parlare col direttore, oppure quando i miei genitori hanno fatto il rogito della casa anche io ero lì presente. Ero davvero una bambina, e a ripensarci adesso mi faccio una tenerezza incredibile, ma in quel momento non sentivo l’investitura. Era normale. E questo ti induce a sentirti un po’ onnipotente, perché fai delle cose senza saperle fare e solamente per il fatto che le tue orecchie funzionano, sembra che tu le faccia benissimo».

Per moltissimo tempo, la sua è stata una famiglia con grandi difficoltà economiche.

La piccola azienda di famiglia

«Mia mamma è stata quella che ha tenuto le redini della famiglia in maniera eroica. Lavorava tantissimo, faceva la sarta in casa. Mio papà invece era un artigiano ma non ha portato a casa uno stipendio per tantissimo tempo».

«Mia mamma amministrava il budget della famiglia in modo impeccabile. Aveva un sacco di buste e ogni busta aveva il suo nome: affitto, spesa, ecc…».

La bravura della madre non si limita alla gestione dei conti.

«Mia mamma ha frequentato un corso per diventare sarta perché la sua nonna non vedeva un futuro. Così, ha imparato a cucire e questa è stata, a detta sua, la sua condanna. In realtà è stata la sua vittoria, perché da Milano si parlava di questa sorda che faceva la sarta in un paesino di montagna e aveva delle dipendenti udenti».

Il padre invece con la sua impresa artigianale, la Moroni Incisioni SNC, si occupa della realizzazione di targhe ed insegne.

«Lui lavorava per lavorare, non per portare a casa uno stipendio. Non era un imprenditore, aveva tre operaie e una commessa, ma non sapeva fare i conti da imprenditore. Infatti, quando poi mio zio,  che per me è stato come un secondo padre, ha messo le mani nei conti dell’azienda, l’ha rivoluzionata».

Intanto Antonia si iscrive alla facoltà di Architettura, ma poco dopo la lascia per entrare anche lei a lavorare nell’azienda di famiglia, assieme a suo fratello e a suo padre.

«Ho rinunciato a un sogno a favore dell’azienda. Me ne assumo completamente la responsabilità perché avrei potuto dire di no, però in quel momento mi sono sacrificata. Io stavo in negozio e facevo la commessa, però mi occupavo anche dell’amministrazione, infatti lì ho imparato le basi che mi sono poi tornate utili».

La ricchezza improvvisa

Nel 1990, una grande tragedia si abbatte sulla famiglia di Antonia. L’adorato zio Flavio, che nel frattempo si è trasferito a vivere in Marocco, viene ucciso a casa sua, a Marrakech, probabilmente a seguito di un furto.

«Ogni volta che lui se ne andava ci lasciava una busta da aprire in caso della sua morte. Era una cosa molto naturale, non c’era nessun tabù rispetto a quello. E quando poi è successo veramente, abbiamo aperto la busta e abbiamo scoperto che lui destinava tutti i suoi beni a me, mio fratello, mia madre e mio padre».

Lo zio lascia un’eredità di 1 miliardo di lire interamente alla famiglia di Antonia.

«Adesso ne parlo con serenità, però per tanti anni è stato veramente il dolore della mia vita. Non per dare un valore economico alla sua morte, ma era quasi scontato che quei soldi fossero così tanti. Che poi fossimo stati incapaci di pianificare bene e di usarli bene, è un altro conto. E forse è proprio perché non siamo mai stati ricchi che non eravamo capaci».

Con quei soldi, Antonia, che è fidanzata col suo futuro marito, fatica a dire cosa ha fatto.

«Sai che non me lo ricordo? Mi ricordo di avere comprato una casa con Gianni ma in realtà il grosso del mutuo l’ha messo lui. Li ho spesi anche per la separazione… ma faccio fatica a ricordarmi come ho fatto a spendere 250 milioni».

L’onta del fallimento.

Suo fratello, invece, assieme al padre e a quello che oggi è l’ex marito di Antonia, decidono di aprire una Srl.

«Era solo commerciale, non artigianale; quindi vendevano segnaletica, targhe, ecc… Gianni fra l’altro era un copywriter specializzato in direct marketing, quindi aveva stabilito una grande strategia di comunicazione dove ha introdotto una ventata di tecniche di comunicazione di vendita che per noi erano impensabili. Per un periodo è stato anche molto bello, però abbiamo speso troppo, abbiamo preso una sede troppo grande e costosa e abbiamo fatto delle scelte poco oculate».

«Poi abbiamo fatto un sacco di errori personali: io ho litigato con mio fratello e mio padre c’era ma non c’era perché non era in grado di prendere in mano la situazione e ha visto solamente il disgregarsi della relazione tra me e mio fratello. Perciò, è stato un periodo davvero doloroso».

Dopo un anno chiudono l’azienda. Decidono di non dichiarare fallimento e di coprire i debiti con i soldi dell’eredità dello zio.

«Abbiamo fatto una scemenza enorme perché potevamo fare un fallimento garantito dal capitale sociale. Ma è stato proprio un concatenarsi di errori di tutti, dei commercialisti, nostri… Siamo stati veramente scemi, posso dire? Tutti».

Ognuno per la sua strada

A quel punto, le strade dei due fratelli si separano. Antonia costruisce la sua professionalità nella comunicazione prima, nell’amministrazione poi. Il fratello, invece, riattiva la Moroni Incisioni SNC, la società a nome collettivo del padre, di cui Antonia non è più socia, ma di cui si ritrova ad ereditare le quote alla morte del padre. Il fratello si specializza sulle grandi insegne. Antonia non ha alcuna relazione con lui, ma le cose sembrano andargli a gonfie vele.

«Il suo stile di vita apparentemente era uno stile di vita molto agiato: belle macchine, bei vestiti, belle case… Io sapevo quello che mi raccontava mia mamma, però vedevo che si poteva permettere una bella vita. Se non che ogni tanto, chiedeva a me a mia madre di andare a in banca a firmare delle fideiussioni o dei prestiti. Però era sempre accompagnato dalla sua commercialista che ci tranquillizzava e ci diceva che non c’era nessun rischio».

Diversi anni dopo, un dipendente di suo fratello denuncia di non ricevere lo stipendio da parecchi mesi.

La scoperta del sovraindebitamento

«Lì è cominciato il disastro perché nel giro di due anni ci sono arrivati una marea di decreti ingiuntivi. A me e a mia madre ci hanno pignorato le case. Io non avevo idea di come fare, ero disperata, avevo due figli, lavoravo, facevo fatica, non sapevo da che parte girarmi. Io mi ricordo che andavo in giro con la borsa piena di buste mai aperte, che non aprivo per paura».

«Perché mettere la testa sotto la sabbia secondo me è una cosa che fanno quasi tutti quelli che vivono questo tipo di situazioni».

Antonia conosce un consulente specializzato nella gestione dei pignoramenti delle case che prende letteralmente in mano la situazione.

«Praticamente prende i debiti che sono emersi, vende la mia casa, vende la casa di mia mamma e da quello che rimane saldiamo e i debiti e si chiude la faccenda».

Due anni dopo però, l’incubo ritorna. Emergono altri debiti, molto più grossi dei primi.

«La cifra totale dei debiti che mi sono caduti addosso dopo sono di 600.000 euro. Io nel frattempo avevo fatto un mio prestito che pagavo regolarmente. Facevo fatica ma ce la facevo».

Il potere della fede

Antonia si rende conto che non può affrontare quella situazione nello stesso modo in cui l’ha affrontata due anni prima, solo con avvocati e commercialisti. Ha bisogno di un aiuto spirituale. Così, riprende a praticare il buddhismo, che aveva messo da parte negli ultimi anni.

«Devo dire che ho fatto bene, perché a quel punto non c’era più quella sensazione di disperazione… come sempre non sapevo che cosa fare, ma ero forte di tutta una serie di sentimenti che sviluppi praticando».

La lucidità che le regala la pratica buddista le permette di riconoscere che i vari professionisti in cui si stava imbattendo non l’avrebbero veramente aiutata. Poi un giorno, una semplice telefonata, rappresenta la svolta.

«Per caso telefono a un sindacato, non mi ricordo nemmeno perché. Racconto questa cosa e il volontario che era al telefono mi passa un’avvocata specializzata. Io le racconto tutto e lei mi dice: “Io posso aiutarla, vediamoci”».

La legge antisuicidi

È un’avvocata esperta delle legge anti-suicidi, che è stata approvata pochi mesi prima, nel 2021, proprio per alleviare il peso dell’indebitamento e proteggere le persone più vulnerabili da decisioni estreme.

«Lei è riuscita a ricostruire tutta la faccenda con una narrativa giuridica e abbiamo presentato ricorso al tribunale che il 21 dicembre del 2021 è stato approvato».

«Tu devi dimostrare di non avere generato un debito perché sei un delinquente o perché hai sperperato. Devi dimostrare la tua buona fede e che non sei in grado di affrontare quel debito, quindi io adesso sono protetta dal tribunale e un giudice ha stabilito quanto io devo versare ogni mese».

Il procedimento di esdebitamento funziona così: il liquidatore apre un conto a nome della persona sovraindebitata e stabilisce quanto quella persona deve versare mensilmente per quattro anni, in base alle sue entrate e a quanto le serve per vivere. Antonia versa 750 euro al mese, ma a questa cifra aggiunge tutto ciò che può.

«Se io dovessi vincere 10.000 euro al Superanalotto andrebbero lì. Tutto quello che capita di positivo, da un punto di vista finanziario, in questi quattro anni di positivo viene dirottato lì. Ho venduto una libreria, ho venduto dei quadri, ho scoperto di avere un lampadario di valore, per cui adesso l’ho staccato e lo devo vendere. Insomma, vendo cose. E fra un anno e mezzo ci sarà un piccolo patrimonio. Non riuscirò a mettere via tantissimo, però sto dimostrando di mettercela tutta per uscire da questa situazione».

Antonia è fiduciosa. Tra un anno e mezzo è convinta che sarà deliberato il suo esdebitamento. E intanto è innamorata della sua vita quasi monacale.

«Sono segnalata alla centrale dei rischi, quindi io non posso comprare niente, non posso iscrivermi in palestra o fare un finanziamento. Però la mia vita è bellissima, ho un sacco di amici e non mi manca niente. Certo, mi piacerebbe andare in vacanza al mare o in montagna però è veramente una scemenza rispetto al benessere che provo. Dicevo poco tempo fa che sono quasi incantata dalla mia vita perché rispetto alle tante difficoltà, io adesso la speranza non la perderò mai».

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