Il quesito 3 del referendum sul lavoro combatterà la precarietà?
Il quesito n. 3 del referendum 2025 punta a reintrodurre l’obbligo di causale nei contratti a termine brevi. Ma è davvero la strada giusta per ridurre la precarietà o solo un segnale politico senza impatto reale?
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di Valentina Ciannamea
Giornalista esperta di mondi digitali con un background da sociologa

Combattere la precarietà. È questo l’obiettivo dichiarato di chi voterà Sì al quesito n° 3 del referendum sul lavoro dell’8 e 9 giugno 2025. Un quesito che rientra tra i quattro dedicati al lavoro — il quinto riguarda invece la cittadinanza italiana — e che punta a modificare le regole sui contratti a tempo determinato.
Ma votare Sì ridurrebbe davvero il precariato? Cambierebbe qualcosa per le migliaia di lavoratori che vivono in bilico tra un rinnovo e l’altro? Lo abbiamo chiesto a Luciano Canova, economista e divulgatore.
Cosa chiede il quesito numero 3 del referendum sul lavoro
Il quesito 3 – quello con la scheda grigia— propone di ripristinare l’obbligo della causale per i contratti a tempo determinato inferiori ai 12 mesi. Oggi, infatti, un datore di lavoro può assumere senza dover spiegare il motivo: niente picco produttivo, nessuna sostituzione, nessuna ragione specifica. E questo può tradursi in turnover continuo, contratti brevi che si susseguono, nessuna prospettiva di stabilizzazione.
Storicamente, l’obbligo della causale è stato un tira e molla legislativo:
- abolito nel 2015 con il Jobs Act,
- reintrodotto nel 2018 dal decreto Dignità del governo Conte,
- eliminato di nuovo nel 2023 dal governo Meloni per i contratti sotto i 12 mesi, e modificato per quelli tra i 12 e i 24 mesi.
Il referendum vuole tornare al passato: causale obbligatoria sempre. “Sì, ma serve davvero?” Per Luciano Canova, la risposta è netta: “Onestamente, credo poco”. «Oggi c’è un tentativo — legittimo — di trovare un equilibrio tra flessibilità e diritti. L’idea della causale è uno strumento qualitativo, ma nella pratica è debole. E resta da vedere come reggerebbe davanti a eventuali cause in tribunale».
In altre parole: una buona intenzione, ma poca sostanza. Secondo Canova, la direzione più utile sarebbe lavorare sui limiti quantitativi — ad esempio il numero massimo di contratti a termine — più che sulle motivazioni. «Capisco le ragioni del Sì, perché riapre il dibattito sul lavoro. Ma, nel merito, per me è NO».
Ma quanto precariato c’è davvero in Italia?
I numeri parlano chiaro: 2,3 milioni di persone hanno un contratto a tempo determinato. Ma, sottolinea Canova, i rapporti a termine in Italia sono circa il 15%, in linea con la media europea. Insomma, non è la quantità il problema. Il nodo è la qualità del lavoro offerto, la possibilità di crescita, il valore aggiunto delle posizioni disponibili.
E qui torna il dubbio: serve più flessibilità o più tutele? Per Canova, «la flessibilità non è il nemico. Il punto è usarla dentro un modello che offra anche protezione, diritti, percorsi chiari». Il rischio, altrimenti, è restare fossilizzati su strumenti vecchi, mentre la precarietà evolve, cambia forma, si fa più subdola.
Il NO e la paura dell’effetto boomerang
Chi è contrario alla reintroduzione della causale teme un effetto collaterale: che le imprese, spaventate da nuovi vincoli, smettano di assumere.
Canova però non ci crede: «Non mi aspetto un effetto boomerang. Semmai, un effetto “fischietto in mezzo al mare”». Hai presente quando la hostess ti spiega che in caso di ammaraggio avrai un fischietto attaccato al giubbotto di salvataggio? «Mi sono sempre chiesto: ma davvero quel fischietto servirà a qualcosa, se sei da solo nell’oceano? Ecco, lo stesso vale per questo referendum: nobile intento, ma impatto molto marginale».
Il quesito numero 3 del referendum sul lavoro riporta l’attenzione su un tema centrale: la precarietà. Ma lo fa con uno strumento forse più simbolico che risolutivo. Nel frattempo, il mercato del lavoro evolve, tra piattaforme digitali, freelance, partite IVA e nuove forme di subordinazione. Il vero tema, forse, è ripensare le regole del gioco, non solo tornare a quelle vecchie.