Luigi, che non era in grado di chiedere un aumento
Arrivato in terapia quasi per caso, Luigi scopre come il disturbo di Adhd, mai diagnosticato, abbia condizionato la sua intera vita, anche dal punto di vista finanziario.
Tempo di lettura: 10 minuti
di Elena Carbone
Psicologa e psicoterapeuta esperta in traumi. Con l’account Instagram La psicologa volante fa divulgazione sul rapporto tra psiche e soldi.
«Quando vedo che colleghi, che hanno meno responsabilità, guadagnano più di me, tanto di più eh… mi viene voglia di mollare e cercare un altro lavoro. Poi però, mi dico che devo avere pazienza, arriverà anche il mio momento, sanno che sono bravo, me lo dicono sempre, non mi mancano gli elogi in pubblico, solo che vorrei anche un pari riconoscimento economico».
Quando apro la porta della sala d’aspetto vedo Luigi, in piedi con il casco in mano. Non riesce a stare fermo: sposta il peso del corpo da sinistra a destra e mi ricorda quei bambini che pur di continuare a giocare non sprecano tempo ad andare a fare la pipì. Ci presentiamo e lo faccio accomodare in studio. Dato che quel giorno ho portato Sheila, il mio cane, gli chiedo se a lui dà fastidio o se ne ha paura, lui di contro è già quasi sdraiato sul tappeto ad accarezzarla: per Sheila ovviamente è amore.
Si siede sul divano, si guarda in giro e mi sorride entusiasta. Io non posso trattenermi dal dirglielo: «Mi sembra entusiasta. Ha già fatto un percorso di psicoterapia?»
«No, è la prima volta. Ha ragione, sono entusiasta, non vedo l’ora di iniziare!»
«Allora iniziamo. Partiamo dal motivo che l’ha spinta a chiedere il mio aiuto, in cosa la posso aiutare?»
«Beh in realtà non saprei, non c’è un motivo specifico, volevo provare.»
«Voleva… provare?»
«Sì, mi stufo spesso, la psicoterapia non l’avevo ancora sperimentata e mi sono incuriosito. Chissà com’è sapere i pensieri di tutti».
Nonostante la richiesta sia un po’ bizzarra, mi aggancio all’inizio del suo discorso:
«Mi ha detto che si stufa spesso?»
«Si, mia moglie non ne può più perché mi interesso tantissimo ad un argomento, studio tutto, mi compro tutto il necessario per farlo e poi non lo faccio o se intraprendo quella strada, mi stanco dopo poco.»
Luigi ha 36 anni, lavora come commerciale per una nota azienda di vestiti, è sposato con Clara da 2 anni, ha tanti hobby e pratica diversi sport che riesce a gestire grazie il tempo libero che il suo lavoro gli permette di avere. Ha cambiato diverse aziende, ma ha sempre lavorato nello stesso ambito. Sembra essere un bravissimo venditore: gli piace stare in mezzo alle altre persone, è simpatico e capisco che venga amato da tutti perché ha un’ottima capacità di mettere a proprio agio gli altri. Nonostante non riesca a stare fermo neanche sul divano, il suo sorriso infonde serenità.
Le qualità di Luigi sono evidenti e riconosciute in ambito aziendale, ma purtroppo non per quanto riguarda l’aspetto economico che sembra non essere adeguato ai suoi successi e alla sua esperienza. Clara, la moglie, lo incalza spesso a chiedere un aumento di stipendio, ma Luigi si infastidisce: vorrebbe che il suo valore fosse riconosciuto, anche finanziariamente, senza una richiesta diretta da parte sua. Chiedere lo impaurisce e lo fa sentire umiliato.
Luigi sembra avere una tendenza a perdere interesse o stancarsi rapidamente delle attività che intraprende: questo potrebbe essere indicativo di una difficoltà nel mantenere l’attenzione a lungo termine, quindi parto da quest’osservazione per andare nel passato e capire se ci sono i presupposti per pensare ad un disturbo dell’attenzione o se la mancanza di gratificazione prolungata dalle sue attività dev’essere ricercata in altro.
Luigi è figlio unico, il papà era dirigente, la mamma chirurgo, ha sempre trascorso tanto tempo con i nonni materni di cui ha un ricordo tenero e affettuoso. Sono stati per lui una risorsa importante: quand’era molto piccolo era inseparabile dal nonno che lo portava con lui a pesca, in bicicletta a fare dei lunghi giri, e lo aiutava a riparare i piccoli inconvenienti in casa; mentre con la nonna faceva i compiti, cucinava la pasta fresca, e ascoltava le sua storie di quand’era bambina. Gli appartamenti dei suoi genitori e dei nonni erano adiacenti così che lui poteva andare dai nonni a piacimento. Ricorda la sua infanzia come uno dei momenti più belli della sua vita.
Una vita passata a sentirsi inadeguato
Dice di sé che è sempre stato un po’ più agitato degli altri bambini, ricorda che la nonna gli dava il permesso di uscire a correre facendo il giro del palazzo per farlo sfogare durante i compiti. I genitori, invece, non riuscivano a capire la sua voglia di movimento che diventava anche una difficoltà a mantenere l’attenzione. A scuola non andava molto bene, veniva ripreso in continuazione perché trovava mille scuse per alzarsi dal banco: c’era il momento in cui doveva temperare i pastelli, quello in cui doveva chiedere la gomma all’amico… insomma era sempre in piedi a fare cose. La maestra, a quei tempi unica insegnante del ciclo scolastico della primaria, non riusciva ad accettare questa sua predisposizione al moto e convocava frequentemente i genitori per comunicare loro quanto il figlio fosse svogliato e pigro. Il padre era sempre troppo indaffarato per andare ai colloqui e per occuparsi della sua educazione. Luigi mi informa che, da adulto, ha capito che il padre non andasse d’accordo con i nonni e che non era probabilmente neanche mai stato d’accordo ad andare a vivere vicino a loro e, quando Luigi aveva 10 anni, si è separato dalla madre. La mamma di contro, sembrava avere necessità di avere i suoi genitori vicino e che si occupassero di tutto: in effetti a lei non rimaneva che lavorare e fare carriera, mentre i nonni si occupavano di Luigi e della casa.
La difficoltà di concentrazione è diventata, con la crescita, sempre più un problema: faceva fatica a seguire le lezioni e, a casa, la nonna non riusciva più ad aiutarlo con i compiti. La mamma si arrabbiava ogni sera quando tornava dal lavoro e trovava un brutto voto o una nota sul diario. Il papà, dopo la separazione, è stato sempre meno presente e quando si sentivano telefonicamente, era per sgridarlo, ricordandogli che non sarebbe diventato mai nessuno e che “suo figlio” avrebbe dovuto portare avanti il nome della famiglia invece di deluderlo in continuazione.
In adolescenza le etichette “svogliato e incapace” erano diventate parole che oramai si attribuiva da solo e non aveva la benché minima voglia di dimostrare il suo valore né sapeva di averne. Grazie all’insistenza dei nonni non ha terminato il suo ciclo di studi con la scuola dell’obbligo, ma ha proseguito con una scuola superiore tecnica che richiedeva il minimo impegno e in cui lui non si è sentito a disagio. Dopo la maturità, il grande salto nel mondo del lavoro l’ha riscattato. Ha trovato lavoro come venditore e, grazie alle sue doti relazionali particolarmente affinate, si è scoperto davvero in gamba in ciò che faceva. Finalmente era bravo in qualcosa. Ed il fatto di sentirsi bravo è diventata la sua gratificazione principale, tanto che ha messo in secondo piano quella economica che non è mai stata equiparata alla sua esperienza e al suo impegno. Si ritrova quindi a dover aspettare il suo “momento” senza voler chiedere ciò che merita.
Lo informo rispetto a un disturbo di cui potrebbe soffrire e gli propongo di vedere una collega esperta in materia per una diagnosi. Anche se negli anni può aver compensato, è sempre importante darsi una spiegazione rispetto a dei comportamenti che l’hanno fatto soffrire tanto in età infantile.
La diagnosi della collega conferma il sospetto: soffre di ADHD disturbo dell’attenzione e dell’iperattività.
Il disturbo di attenzione e iperattività si manifesta con impulsività, disorganizzazione, difficoltà a seguire le istruzioni, un eccesso di mobilità e distrazione. I bambini con difficoltà di attenzione e iperattività, a causa delle loro difficoltà, ricevono di frequenti rimproveri e informazioni negative sul loro comportamento. Spesso viene detto loro di non urlare, di stare attenti, di stare fermi, di comportarsi bene. Ma, questi bambini si sforzano di fare le cose bene, di compiacere gli altri, ma i risultati non sono sempre soddisfacenti e fanno più errori di altri anche quando si impegnano di più. Come risultato di questo sforzo infruttuoso si sentono impotenti.
I compiti proposti a scuola sono spesso non adatti alle caratteristiche dei bambini con ADHD, perché richiedono attenzione o autocontrollo che non sono in grado di affrontare, aumentando così il loro senso di frustrazione, il senso di inadeguatezza e di fallimento. Dopo aver fallito ripetutamente nel compito, gli adulti, a poco a poco, smettono di offrire ulteriori possibilità o responsabilità al bambino. In questo caso al bambino giunge un messaggio negativo che dice “noi non ti lasciamo fare perché non sarai capace”. Pertanto, il bambino con ADHD inizia a sentirsi inutile, incapace e insicuro.
Luigi si emoziona nel momento della diagnosi: finalmente ha la certezza che non era una bambino cattivo, che non dipendeva dalla sua volontà, che non era stupido, ma semplicemente erano gli adulti a non aver compreso il suo malessere.
Lavoriamo molto per avvicinarci al suo bambino interiore e per rassicurarlo rispetto al suo andar bene. Luigi ha voglia di stare bene e di lenire quelle ferite del passato che si ripresentano anche oggi. Infatti, nonostante sia molto capace nel suo lavoro, da un po’ di anni soffre il fatto di non essere riconosciuto dalla direzione aziendale.
«Tante pacche sulle spalle, ma nessun aumento di stipendio o di bonus. Il mio capo mi ha sempre detto che sarebbe arrivato il mio momento ed io ho sempre dato il massimo, ma questo momento non è mai arrivato».
Luigi è molto apprezzato nel suo lavoro, ma l’azienda non gli ha mai riconosciuto economicamente il suo valore. Avrebbe dovuto avere una promozione l’anno prima, ma il suo capo è stato sostituito e lui si è ritrovato nella situazione di dover dimostrare al nuovo capo il valore del suo lavoro senza poter riscuotere nulla per gli anni precedenti. Benché socialmente possa sembrare estroverso, Luigi non crede abbastanza in sé stesso per affrontare un confronto con il nuovo capo. Alla mia proposta di esporre il suo punto di vista, inizia ad agitarsi e mi dice che preferisce aspettare:
«Non mi piace chiedere, vorrei che fossero loro a propormi una promozione. I numeri sono visibili a tutti, devo solo aspettare e arriverà. Questo non è un buon momento per l’azienda, giustamente mi direbbero di aspettare…quindi tanto vale che aspetti senza chiedere».
La cura: imparare a chiedere
La sensazione di inadeguatezza, che è nata in Luigi quando veniva continuamente criticato e umiliato o quando veniva considerato una delusione dal padre, ha lasciato una profonda ferita, che lui copre con un atteggiamento di riservatezza. Non si sente degno di chiedere ciò che gli spetterebbe sul lavoro, ha interiorizzato le critiche e nel suo profondo, nonostante le svariate prove di successo, non riesce ancora a credere di essere una persona capace.
Nel nostro percorso abbiamo cercato di comprendere i sentimenti di inadeguatezza e di vergogna che provava da bambino entrando in contatto con il bambino interiore. Luigi ha imparato a tenere d’occhio tutti i comportamenti di evitamento delle situazioni di confronto con gli altri e abbiamo ideato un modo per gestirle.
Abbiamo capito cosa portava i suoi genitori ad essere ipercritici e abbiamo preso le distanze da quella parte di lui che aveva interiorizzato il disprezzo per sé. Abbiamo analizzato il conflitto interno di Luigi tra la sua autostima e l’incapacità dell’azienda di tradurre il suo successo in termini economici.
Luigi è così riuscito a chiedere di poter avere un momento di confronto con il suo attuale capo che, con sua enorme sorpresa, non ha reagito con obiezioni, ma ha apprezzato la comunicazione diretta e gli ha proposto un aumento di stipendio e un progetto di crescita. Questo successo lo ha gratificato così tanto che è diventato bravo a sfidarsi quando vede che sta evitando situazioni di confronto. Il lavoro svolto insieme in terapia ha aperto la strada a nuove possibilità di autorealizzazione e di affermazione personale.