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di Rame

Quanto costa sentirsi parte di un gruppo?

Non sempre la risposta si trova sul conto corrente. A volte, il prezzo più alto lo si paga in silenzio: con il senso di esclusione, con l’imbarazzo di dire “non posso permettermelo”, con il timore di essere giudicati. È quello che accade a Giulia, 40 anni, madre, lavoratrice, che si ritrova improvvisamente fuori fuoco nel gruppo di amiche di sempre, perché quando il denaro entra in scena, anche i legami più forti possono vacillare.

Tempo di lettura: 5 minuti

Elena Carbone
Elena Carbone

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Psicologa e psicoterapeuta esperta in traumi. Con l’account Instagram La psicologa volante fa divulgazione sul rapporto tra psiche e soldi.

costo di sentirsi parte di un gruppo

Non si tratta solo di cifre, ma di appartenenza, di riconoscimento, di equilibri sociali ed economici che possono diventare invisibili barriere. Quando le differenze di reddito entrano in gioco tra amici, può emergere un senso di esclusione difficile da nominare. È il caso di Giulia, che si trova a fare i conti con la distanza economica tra sé e le amiche di una vita. La sua storia ci interroga su un tema spesso taciuto: quanto conta il denaro nei legami affettivi? E cosa succede quando non si è più allineati?

La storia di Giulia

«Questo è l’anno dei 40, la mia amica Marta ha proposto al gruppo un viaggio in Giappone e tutte sono entusiaste. Tutte tranne me… non posso permettermi un viaggio così costoso e loro lo sanno. Non capisco se sono assolutamente disinteressate ad avermi con loro o sono io l’egoista che pensa che potremmo fare anche un viaggio più economico poiché l’importante è stare insieme».

Giulia mi porta la tristezza di sentirsi esclusa, non capita, divisa tra due mondi. Da una parte, infatti è la stessa persona che ha sempre condiviso esperienze spensierate con le sue amiche di sempre, tra viaggi, cene eleganti e serate a ridere senza pensieri. Dall’altra, c’è la donna che è oggi: moglie, madre di due bambini, con una vita costruita con sacrificio e con un equilibrio economico da mantenere.

Il conflitto interiore

Giulia lamenta di non sentirsi vista: le sue amiche mandano messaggi pieni di proposte che per loro sono la norma, ma che per lei sono diventate un lusso irraggiungibile. All’inizio, cercava di inventare scuse, poi ha smesso di rispondere. Ogni invito è un promemoria di qualcosa che non può più permettersi, e questo le fa male. Ora stanno per compiere 40 anni e vogliono fare questo viaggio importante che sicuramente cementerà la loro amicizia, ma Giulia sa già che non potrà andarci, ma più della rinuncia, la ferisce il silenzio delle sue amiche su questa disparità. 

«Possibile che non si rendano conto che non ho le stesse possibilità economiche? O forse lo sanno, ma scelgono di non curarsene? Non una che abbia elegantemente proposto altro…».

Si sente invisibile, fuori posto nel gruppo che un tempo era il suo punto di riferimento. Sente che senza la possibilità di condividere un certo stile di vita, la sua presenza sia meno significativa per il suo gruppo di amiche. Si domanda se davvero possano essere considerate tali dato che quello che stanno dimostrando sembra disinteresse e superficialità. 

In bilico tra due mondi

«Devo ammettere che anch’io divento snob nei confronti del gruppo delle mamme che fanno questioni su ogni spesa da affrontare: il budget per il regalo alla maestra è troppo alto e la pizzeria proposta è troppo cara…mi innervosiscono, non si può proporre nulla di decente e penso che sia quello che avvertono le mie amiche, in fondo hanno tutto il diritto di fare il viaggio che vogliono».

Indaghiamo quella necessità di lusso, di potere di spesa che sembra essere diventata un metro implicito per misurare il valore sociale, l’appartenenza, persino l’autostima. Perché se da un lato Giulia si sente esclusa da chi può permettersi tutto, dall’altro prova fastidio per chi invece vive con maggiore parsimonia. È evidente il suo conflitto interiore: un’identità che fatica a trovare uno spazio definito tra due mondi percepiti come opposti quello del privilegio e quello della rinuncia. Quando invece il nostro benessere nasce dal riconoscerci in ciò che siamo, senza bisogno di aderire a modelli imposti o idealizzati. 

Giulia ha sempre trovato conforto nel seguire una strada già definita da altri, non si è posta tante domande su ciò che le piacesse o meno perché la sua famiglia aveva già deciso tutto. Non è stata un’imposizione, semplicemente sembrava tutto così perfetto che era inutile modificare qualcosa. Giulia, però, non ha imparato a essere autentica, a riconoscersi in altro, a esplorare la sua persona e a non aver paura di scoprire di essere diversa da quello che gli altri vedevano in lei. Così ha perso quella bussola interiore che indica ciò che ci fa stare bene a prescindere dal giudizio altrui o dal pensiero del gruppo.

La verità come strumento di liberazione

Abbiamo approfondito, infatti, anche il suo bisogno di appartenenza e la paura del giudizio. Ha riconosciuto il suo diritto ad esprimere ciò che prova, senza vergogna o sensi di colpa. Il suo evitare il confronto con le amiche nasceva infatti dalla paura di essere giudicata, di sentirsi inadeguata, anche se è stato proprio il suo silenzio a determinare un distacco dal gruppo. Abbiamo lavorato sulla sua capacità di comunicare in modo diretto e assertivo. Dire chiaramente alle sue amiche che non poteva permettersi quel viaggio non ha significato chiedere pietà, ma affermare la propria realtà con rispetto e autenticità.

Quando Giulia ha finalmente trovato il coraggio di dirlo, la reazione è stata diversa da quella che immaginava. Alcune amiche si sono dimostrate comprensive, dispiaciute di non aver colto prima il suo disagio. Altre sono rimaste in silenzio, quasi a disagio di fronte alla realtà di una vita che non coincide più con la loro. E questo ha portato Giulia a un’altra importante consapevolezza: le relazioni cambiano, alcune si rafforzano, altre si allontanano e va bene così.

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