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I contributi in busta paga, spiegati bene

Ne sentiamo parlare spesso, specie quando i governi varano “bonus” per i dipendenti o incentivi di vario tipo per i datori di lavoro che assumo determinate categorie di lavoratori, ma come funzionano i contributi in busta paga? Hanno una percentuale fissa? Chi li versa, e in che misura? Proviamo a fare chiarezza.

Tempo di lettura: 3 minuti

contributi in busta paga
Foto di Patrick Fore

Ogni mese troviamo in busta paga un importo di contributi che ci viene sottratto e riduce il nostro reddito netto. Vediamo perché, e a cosa servono i contributi.

Cominciamo con il chiarire che ogni mese il datore di lavoro deve calcolare sulla retribuzione lorda corrisposta al lavoratore, l’ammontare totale dei contributi che serviranno ad alimentare all’interno dell’Inps (o delle altre casse previdenziali) varie assicurazioni. Una parte di questi contributi è a carico del dipendente, e in questo caso, come per le imposte, il datore di lavoro svolge la funzione di “sostituto”, cioè calcola e trattiene ciò che il dipendente deve all’Inps o alla cassa, e alla fiscalità e le versa per suo conto.

I contributi “IVS”, che alimentano la pensione

La fetta più consistente di contributi (circa l’86% del totale), serve ad alimentare l’assicurazione che erogherà la nostra pensione. Sui contributi utili alla pensione il dipendente è chiamato a dare la sua parte, che di solito è pari al 9,19% e si trova in busta paga con la dicitura IVS (Indennità Vecchiaia e Superstiti).

Negli ultimi anni abbiamo sentito spesso parlare di decontribuzione, per esempio a proposito del bonus per le mamme lavoratrici (che per le madri di tre figli riconosce anche per il 2025 l’esenzione del 100% dei contributi previdenziali IVS dell’Inps). In questi casi le lavoratrici hanno viso materialmente crescere la loro retribuzione netta mensile del 9,19%, perché i contributi a loro carico non sono stati versati all’Inps, in quanto ci ha pensato lo Stato. Diverso è il caso dei bonus per le nuove assunzioni, dove invece lo sconto contributivo riguarda chi assume, e cioè le aziende.

A parte che serve ad alimentare la Cassa integrazione

Un’altra assicurazione per cui è richiesto il contributo del dipendente è quella che permette di erogare prestazioni a sostegno del reddito come la cassa integrazione e il Fis. Per questa assicurazione, al dipendente viene detratto un contributo a suo carico di circa lo 0,30%.

Gli altri contributi che non vedi

A queste voci vanno aggiunte tutte le altre assicurazioni a cui il datore di lavoro versa i contributi, ma che non si vedono in busta paga, per esempio quella per la Naspi, quella per l’indennità di malattia o di maternità.

Quando il lavoratore può smettere di pagare i contributi: il bonus Maroni

C’è un solo caso in cui il dipendente può decidere di non versare la contribuzione Inps a suo carico, ed è il caso del cosiddetto “Bonus Maroni”,  che riguarda chi ha raggiunto i requisiti per la pensione anticipata, ma decide di continuare a lavorare. In questi casi, in virtù di questo incentivo, il lavoratore dipendente può scegliere appunto di posticipare il pensionamento, ricevendo in busta paga la quota dei contributi previdenziali a suo carico, e che in condizioni “normali” verserebbe all’Inps.

Attenzione, però: la regola generale nella previdenza è che meno si versa, meno si trova al momento della pensione. Di conseguenza, se decidete di optare per il bonus Maroni sappiate che questa decisione aumenterà il vostro reddito disponibile nell’immediato, ma inciderà negativamente sulla vostra pensione.

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