Come negoziare un aumento di stipendio

Chiedere un aumento è un’arte. Ed è un’arte che riesce a pochi, almeno a giudicare dai risultati. Secondo un sondaggio della società di ricerca inglese YouGov, solo il 40% di quelli che lo chiedono riesce a ottenere un risultato.

Tempo di lettura: 8 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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Le più in difficoltà su questo fronte sono proprio le donne, restie anche solo ad avanzare richiesta: un sondaggio di Forbes del 2020 rivela che il 46% dei lavoratori maschi negozia la sua paga, contro appena il 32% delle donne. «Negoziare il proprio valore è un modo per provare a ridurre le differenze salariali tra uomini e donne, una distanza economica da cui deriva tutto il resto», dice Paola Iannello. «Non dimentichiamo che il denaro è uno strumento di potere. Se riduci le possibilità di esercitare questo potere sull’altro, riduci il gender gap».

Se sei una donna, riconosci il pregiudizio culturale

Il primo passo è indagare il significato che, soprattutto le donne, attribuiscono alla negoziazione dello stipendio. Come spiega la nostra Paola Iannello, che insegna Psicologia Economica e Benessere all’Università Cattolica di Milano, «se si va alla ricerca dei dati in letteratura viene fuori che non è per mancanza di “talento” nella contrattazione, che le donne si tirano indietro. In realtà sono tanto brave quanto gli uomini a negoziare uno stipendio o un compenso, ma questo accade quando lo fanno per conto di altri». Non è, dunque, una questione di competenza. «A entrare in gioco sono più fattori. Un po’ ci portiamo dietro un pregiudizio culturale, come se la donna ancora non potesse permettersi di chiedere di più, di “osare”. Dall’altra parte c’entrano anche gli aspetti psicologici».

Supera i blocchi psicologici

Questi riguardano anche molti componenti del genere maschile. Inconsciamente siamo influenzati dall’idea che una richiesta e una trattativa personale possano intaccare la relazione con l’altro. Il consiglio? «Iniziamo a vivere la trattativa in modo diverso, come una conversazione dove bisogna semplicemente portare avanti delle istanze – le nostre – che non rovinerà il rapporto con chi ci è di fronte». Non è detto che chiedendo un aumento perderemo la stima o la complicità del nostro datore di lavoro, e non è detto che lui o lei non me lo voglia concedere.

Come sostiene Rachel Kim, global director of Coaching & Talent Development alla Minerva University, in California “negoziare è solo conversare”, e dovremmo partire dal presupposto che nel momento in cui conversiamo della nostra retribuzione stiamo semplicemente parlando delle nostre capacità e della possibilità di crescere, sia lavorativamente sia finanziariamente. È una questione di approccio, insomma.

Coltiva l’assertività

Al di là del genere, continua la nostra esperta, il primo passo per avviare una negoziazione sullo stipendio è avere consapevolezza di sé, del proprio valore e delle proprie competenze, ma anche la capacità di esprimere questa consapevolezza e saper chiedere.

«Serve un buon livello di “assertività” per affrontare un colloquio senza timori», dice, «quella “competenza” che ci fa dire di no con equilibrio, ci spinge ad affermare le nostre ragioni o idee senza aggressività,  e a dire di sì quando la proposta è in linea con le nostre esigenze. Coltivarla si può, perché non è una dote innata, e chi non ha avuto la fortuna di avere un modello in famiglia può fare un esercizio, e cioè prendere come modello un amico, un parente o un collega che ne è dotato e osservarne i comportamenti».

L’allenamento si rivelerà utile, perché osservare i comportamenti assertivi di chi ci è vicino, ci fa sperimentare con mano che non hanno effetti negativi. «Se vedi che il tuo vicino di scrivania fa presente in maniera educata e conciliante la sua posizione, senza scontro, e osservi che questo non nuoce ai rapporti e ha conseguenze positive, interiorizzerai più facilmente questo concetto», consiglia la psicologa.

Trova il momento giusto

Il “quando” va scelto con cura e attenzione. Se, per esempio, hai appena iniziato un progetto o ti hanno appena dato una nuova mansione, e non sai quali risultati avrai, attendi. Quando sei davanti al capo del personale o al tuo manager, devi avere qualcosa in mano che valorizzi il lavoro fatto. «Fissa l’appuntamento dopo aver completato un progetto importante,  o qualcosa che ti aiuti a mostrare le conseguenze positive del lavoro che hai svolto», spiega la Iannello. «Se non hai dati, un risultato o una conseguenza positiva da far presente, la tua richiesta rischia di diventare un autogol, perché chi hai di fronte avrà gioco facile nel dire: “vediamo come va nei prossimi mesi, e poi ne riparliamo”».

Daniela Petrillo, designer che ha raccontato a Rame la sua storia, spiega che occorre «considerare il proprio lavoro all’interno del contesto in cui si svolge, capendo in quali tempi il proprio impatto ha un ritorno. Inoltre, se vado a chiedere un aumento devo essere capace di ragionare su un calendario. Devo sapere che c’è un periodo dell’anno in cui l’azienda discute i budget, in cui si aprono delle finestre che poi si richiudono».

Arriva con una buona preparazione

Il colloquio dovrebbe essere preceduto da una piccola indagine sul proprio mercato di riferimento: quanto guadagnano i colleghi, la media degli stipendi nel proprio settore e nella categoria di riferimento.

Per scoprirlo puoi consultare banche dati e siti online come payscale.com o Jobpricing (quest’ultimo pubblica survey periodiche sulle varie professioni), o fare simulazioni web usando piattaforme come Quanto mi pagano di Odm Consulting o Stipendiogiusto.it.

Di recente, Jobbydoo ha elaborato una Sezione Stipendi in cui raccoglie le retribuzioni delle professioni più richieste in Italia e la loro variazione in base all’esperienza e alla qualifiche professionali.

Le medie di mercato ti serviranno per farti un’idea sul tuo stipendio attuale e su quanto è ragionevole chiedere, in base alle tue mansioni, capacità ed esperienza.

Un consiglio? Se ti chiedono perché vuoi un aumento, fai riferimento alla tua esperienza, alle abilità e al valore che hai portato all’azienda. Ma non parlare mai delle tue finanze personali, di esigenze familiari o del motivo per cui hai bisogno di più soldi.

Come accade ai freelance, quando devono darsi un prezzo con cliente, quando hai davanti a te la tua controparte, devi già farti un’idea su come ti comporterai in base alla controproposta. «In altre parole, devi arrivare all’appuntamento con una cifra di riferimento, e stabilire con anticipo fin dove puoi scendere, in caso di controproposta, cosa è accettabile per te, cosa va al di sotto della tua soglia di accettabilità», spiega Paola Iannello.

Aumenta lo spazio di trattativa

«Chiedere un aumento non significa necessariamente vedere aumentare la Ral» spiega Daniela Petrillo. «Sono molte le cose che le aziende possono fare per i dipendenti».

«Quando si parla di negoziare qualcosa in più, potrebbe essere utile fare la lista di possibili benefit alternativi al denaro, per esempio percorsi di formazione, giornate di ferie retribuite, un orario diverso», dice la Iannello. «Non sono soldi, è vero, ma potrebbero essere altrettanto utili: la formazione incrementa competenze che possiamo spendere anche in altri contesti, un orario più flessibile si può conciliare meglio con le esigenze familiari, la giornata di ferie retribuite può essere spesa in modo utile o per risparmiare soldi in altro modo. L’importante è avere prospettive realistiche e allineate con le tue esigenze. Soprattutto, devi partire dal principio che non è detto che se non ottieni un aumento di stipendio non ottieni nulla, ma puoi strappare qualcos’altro che ti dà beneficio».

Trovare un piano B che sia soddisfacente è una strategia vincente anche dal punto di vista psicologico. «Perché se per una serie di ragioni l’azienda non può darti quei 200 euro in denaro, se non hai alternative ne esci sconfitto e frustrato, e anche psicologicamente il tuo “stare” al lavoro ne viene influenzato».

Il punto, insomma, è cercare di rendere la negoziazione un’esperienza di risoluzione dei problemi anziché un ultimatum. E arrivare con un atteggiamento di flessibilità aiuta a rendere quella che avvii una discussione aperta,  in cui entrambe le parti sono disposte a lavorare insieme e trovare un terreno comune positivo.

Abbi un approccio collaborativo

Come mi pongo di fronte al datore di lavoro? Con un approccio collaborativo, naturalmente, né aggressivo né passivo. Secondo il blog dell’agenzia di lavoro Monster, le parole vanno misurate anche al momento di fissare il colloquio. La frase giusta da usare sarebbe qualcosa come: «È un buon momento adesso per parlare con te di una questione di lavoro? O se al momento non puoi, ti dispiace farmi sapere quando avrai un po’ di tempo a disposizione per me?».

«Postura, sguardo e tono di voce incidono», dice Paola Iannello. «Lo sguardo, in particolare, non deve abbassarsi continuamente o scappare dal contatto oculare, ma mantenere una relazione con l’altro. E se c’è la necessità di gesticolare per interagire di più, non ti bloccare, devi cercare di essere il più naturale possibile».

L’importante è non portare l’altro sulla difensiva.

Evita di fare confronti con i colleghi

Poniamo che sei in azienda da vent’anni, e hai scoperto da poco che il collega che è arrivato con te ha una retribuzione migliore. Evita di farlo presente. «Se lo fai, commetti due errori», spiega la nostra psicologa. «Il primo è che stai più o meno inconsapevolmente rinfacciando al tuo capo, o a chi per lui, quello che giudichi un errore. Gli stai dicendo che ha sbagliato, e per una persona che è nella posizione di decidere se darti o meno un aumento non è una buona partenza, inevitabilmente lo stai predisponendo male. Il secondo punto debole è il paragone. Dicendo che lui guadagna “ingiustamente” più di te, è come se in un certo senso stessi andando a screditare il tuo collega, il centro del discorso passa da te a lui. Puoi pensarlo, ma lo tieni per te. La cosa più sensata e intelligente da fare è valorizzare ciò che di positivo c’è in te, senza paragoni».

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