Come gestiscono le coppie le proprie finanze?

Quando si diventa una coppia, saper organizzare al meglio le proprie finanze diventa fondamentale; perché dalle nostre scelte dipende il benessere finanziario della nostra futura famiglia. Esiste un modo giusto o sbagliato di farlo? E come si comportano le diverse generazioni?

Maria e Andrea, 28 e 30 anni, stanno insieme da 6 anni e condividono quasi tutto nella loro vita: una casa, un gatto, una macchina. C’è solo una cosa che non condividono: un conto in banca. «La casa appartiene alla mia famiglia», racconta Andrea, «e quando ci sono venuto ad abitare mi occupavo io di pagare tutte le spese. Poi, quando Maria si è trasferita a vivere con me, abbiamo iniziato a dividerle. Per la spesa, invece, non abbiamo un modo preciso con cui ci regoliamo, una volta la faccio io, una volta la fa lei. Lo stesso quando usciamo a cena. Avere un conto in comune, oltre a quello personali e del lavoro, sarebbe un ulteriore pensiero a livello burocratico ed economico». 

Anche Sara, 34 anni e un compagno, è d’accordo: «Viviamo insieme ormai da 4 anni e abbiamo in programma di sposarci. Però non abbiamo nessuna intenzione di aprire un conto in comune, non ne vediamo l’utilità. Abbiamo un file excel in cui segniamo tutte le spese e chi le paga, e poi, a fine mese, si fanno i calcoli e uno o l'altro salda la differenza. Allo stesso modo, quando andiamo in vacanza, utilizziamo un’App e una volta tornati a casa, ci regoliamo di conseguenza». 

Secondo un sondaggio di Bankrate di febbraio 2023, il 43% della Generazione Z e il 31% dei Millennial affermano di preferir tenere i propri conti separati. Un dato in rapida crescita, se paragonato al 19% della Generazione X. Le modalità con cui ci approcciamo alla gestione delle spese comuni sta pian piano cambiando.

Dividere a metà è sempre equo?

Questa è la prima domanda che ci siamo poste dopo aver ascoltato le storie di Andrea e Sara. A differenza loro, Luca, 40 anni, da 10 anni convive con la sua compagna, e ha un conto in comune con lei. «È comodo per tutte le spese che riguardano la casa, le bollette, gli imprevisti... ma banalmente anche le cene fuori o le vacanze. Siamo entrambi liberi professionisti, e le entrate variano di mese in mese, perciò in base a quello che guadagniamo versiamo una determinata quota». 

Il Thriving Center of Psycology, che ha intervistato 906 coppie non sposate della Gen Z e dei Millennial lo scorso giugno, ha rilevato che 3 coppie su 5 decidono di andare a vivere assieme per risparmiare. Ma la metà di loro non divide equamente il mutuo o l’affitto. «Il fatto di essere in due non significa automaticamente che sia necessario dividere le spese in parti uguali», spiega Monica Vitali, esperta di economia aziendale e di controllo di gestione. «Va stabilita una proporzione. Non importa che venga fatto un calcolo matematico, o che si rispetti pedissequamente la proporzione tra guadagni, sarà la coppia a decidere in quale misura spetti all'uno e all'altro contribuire». Inoltre, bisogna mettere sul piatto il “quanto” si decide di spendere: “Chi vuole vivere in un certo modo si assume l’onere di contribuire in misura ancora maggiore. O di dire, su certi capitoli di spesa: “A questo ci penso io”. L’importante è stabilirlo prima». 

Comunione dei beni o separazione?

Un altro grande cambiamento è quello che riguarda la comunione dei beni fra coniugi, che negli ultimi anni sta diventando sempre più rara. L’Istat ci mostra come appena una dozzina di anni fa circa il 45% delle coppie sceglieva di mettere in comune il proprio patrimonio, mentre oggi questo numero è sceso a quasi il 25%. In una puntata del nostro podcast, Satya ci racconta di aver iniziato a parlare di soldi con il suo compagno solo dopo essersi spostata. «Vivevamo già insieme, ma all’epoca ognuno aveva il proprio conto e basta. Quando abbiamo deciso di sposarci, la scelta è stata quella di avere un solo conto cointestato, perché io venivo dall’educazione che i genitori avessero tutto in comune. Eppure, nel momento in cui abbiamo preso questa decisione sono emerse delle visioni diverse sulla gestione dei soldi». Satya e suo marito adesso iniziano a chiedersi come far sì che la decisione di avere un conto comune non li danneggi. «La scelte finanziarie di una coppia vanno valutate alla luce dei loro obiettivi: mettere tutto in comune ed avere un unico conto dove accreditare gli stipendi può avere dei pro e dei contro», spiega Nica Iacobelli, consulente di Alleanza Assicurazioni. «Il pro è sicuramente la volontà di essere trasparenti, di condividere tutto in armonia e di gestire insieme il budget familiare. Parlando di “contro”, nel caso in cui si presentino dei problemi nella coppia - come la separazione o il divorzio - il fatto di avere tutto in comune potrebbe rappresentare un ulteriore problema da gestire».


Allora, qual è la scelta giusta per gestire in coppia le proprie finanze? Mettere in comune il reddito o tenere conti separati? Risparmiare insieme o individualmente?

Ne avevamo parlato qui con Elena Quinti, avvocato, esperto in diritto di famiglia. In generale: «Non c’è una scelta “giusta o sbagliata” - continua Nica Iacobelli - solitamente avere due conti separati e magari uno condiviso per le spese comuni può favorire l’autonomia finanziaria e far vivere con maggiore serenità e libertà le scelte nelle spese quotidiane. Ci sono però, all’opposto, storie di cronaca dove la mancata condivisione e compartecipazione delle spese può portare a far sperperare le risorse del proprio conto corrente a seguito di cattive abitudini finanziarie. La scelta o meno di mettere in comune i conti è un tema sul quale la coppia dovrebbe periodicamente confrontarsi, per vedere se la scelta effettuata sia ancora valida o se sia necessario valutare di apportare modifiche». 

Il lavoro all’interno delle mura domestiche andrebbe contabilizzato? 

C’è poi un altro tema, il più delicato, e cioè la contabilizzazione del lavoro di cura. Arianna ci ha raccontato che, quando ha scelto di intraprendere la carriera di freelance, il suo matrimonio ha avuto uno scossone proprio a causa della sua flessibilità lavorativa: «Per mio marito è stato molto difficile accettare questa mia scelta. E io mi sono ritrovata nella situazione per cui il tempo che avrei destinato al lavoro lo dovevo destinare alla cura della casa e della famiglia. Per me questo tempo aveva un valore. Qualsiasi cosa facessi, era un tempo continuamente interrotto».

Inutile girarci intorno: nella maggioranza delle famiglie, con l’arrivo dei figli il carico di mansioni si sbilancia pesantemente a sfavore della donna. Parallelamente, in questa fase è quasi sempre l’uomo a guadagnare di più, perché ha più tempo e possibilità per reperire denaro, e cioè per lavorare. «Se la donna porta su di sé un carico maggiore, avrà meno tempo da dedicare alla carriera e alla crescita personale e professionale – Spiega Monica Vitali. In questa situazione è necessario imparare a contabilizzare il denaro che grazie alle mansioni che la donna svolge all’interno dell’azienda familiare viene risparmiato». Si tratta quindi di tradurre in numero il mancato costo di ore per colf, autisti, baby sitter o badanti. «Non è un esercizio di stile, ma un modo per dare valore a ciò che si fa, e mettere il partner di fronte a questa evidenza. In molti casi, scoprirete che “l’azienda” non riuscirebbe a far quadrare i conti se tutti questi servizi fossero esternalizzati. Quegli importi, anche se solo in parte, vanno aggiunti al contributo mensile di chi li svolge, e si deciderà assieme in che quota». Arianna ha affrontato questa criticità a più riprese, ottenendo pian piano che il tempo da lei dedicato alla famiglia venisse valorizzato. «Non ci siamo seduti al tavolo e non abbiamo quantificato questa cosa. Ma è stato un dato di fatto, perché altrimenti me ne andavo». Oggi suo marito versa di più di lei nel loro conto comune, per compensare il guadagno mancato di Arianna, e paga interamente di tasca sua la signora che viene a fare le pulizie. 



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