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Bias dell’ottimismo: quando la fiducia può diventare un rischio finanziario 

L’ottimismo è una forza potente. Dal punto di vista psicologico, rappresenta spesso una strategia di difesa: immaginare che tutto andrà per il meglio riduce l’ansia, dona un senso di controllo, attenua la paura dell’incertezza. Ma questo stesso meccanismo, se esasperato, può trasformarsi in una trappola. Soprattutto quando entra in gioco la gestione del denaro.

Tempo di lettura: 5 minuti

Elena Carbone
Elena Carbone

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Psicologa e psicoterapeuta esperta in traumi. Con l’account Instagram La psicologa volante fa divulgazione sul rapporto tra psiche e soldi.

Bias dell'ottimismo
Foto di Charles Cheng

Nel mio lavoro clinico mi capita spesso di incontrare persone che vivono in costante allerta e ipervigilanti rispetto a ogni possibile rischio. Ma ci sono anche casi che, al contrario, mi sorprendono per un motivo opposto: una fiducia incrollabile che le cose andranno bene, anche quando gli elementi oggettivi raccontano un’altra storia. Mi è capitato di trovarmi nella posizione, insolita, di dover portare io un po’ di realtà dentro a una visione un po’ troppo entusiasta: di invitare la persona a considerare ipotesi meno rosee: «E se invece andasse male?». Che si tratti di chi decide di aprire una partita IVA senza alcun paracadute economico o di chi sottovaluta i rischi di un comportamento sessuale non protetto, la matrice è la stessa: il bias dell’ottimismo. Una distorsione cognitiva che ci porta a sopravvalutare la probabilità che vada tutto bene e a minimizzare gli eventuali ostacoli.

Che cos’è il bias dell’ottimismo

Dal punto di vista psicologico, il bias dell’ottimismo è legato al bisogno di sentirsi al sicuro: «Se immagino che tutto andrà bene, provo meno ansia, meno senso di impotenza». Ma è spesso un’illusione di controllo che può diventare pericolosa, soprattutto quando si tratta di soldi. Il classico «A me non succederà» diventa uno scudo che ci protegge, ma solo fino a un certo punto. Basta un esempio concreto: rinunciare a stipulare un’assicurazione, convinti che «tanto non succede nulla». Poi arriva il furto, un incendio, una malattia improvvisa. E solo in quel momento ci si rende conto del prezzo — spesso molto alto — della sottovalutazione.

Altro caso diffuso: indebitarsi oltre le proprie possibilità con la speranza che «qualcosa arriverà» per saldare i conti. Magari un nuovo lavoro, una vincita, un colpo di fortuna. Intanto, però, il bilancio familiare è già in affanno, e le difficoltà si accumulano. Lottimismo, se non accompagnato dal realismo, spinge a fare il passo più lungo della gamba. E quando quella gamba cede, non sempre c’è un appiglio per non cadere.

La trappola dell’ottimismo

Lo stesso meccanismo psicologico si applica anche al tema dei fondi di emergenza. Secondo una ricerca del Censis del 2023, ben il 63% degli italiani non ha accantonato nemmeno un fondo minimo per far fronte agli imprevisti. Un dato preoccupante, che fotografa un Paese dove la fragilità economica si intreccia con un mercato del lavoro sempre più instabile, frammentato e precario. In questo contesto, lassenza di una rete di sicurezza personale — anche minima — espone milioni di famiglie a rischi enormi. La tendenza a rimandare è diffusa: «Appena guadagno di più comincio a mettere da parte», «Tanto ora va tutto bene». Frasi che rassicurano, ma che spesso servono solo a rinviare una scelta necessaria.

Eppure, basta un imprevisto: una spesa sanitaria improvvisa, un guasto allauto, la perdita del lavoro. Senza riserve economiche, lunica via resta spesso lindebitamento. Prestiti, scoperti bancari, finanziamenti con interessi elevati: strumenti che, anziché risolvere il problema, rischiano di innescare un circolo vizioso da cui è difficile uscire.

Troppa fiducia, poca alfabetizzazione finanziaria

Il bias dellottimismo non si ferma alla gestione del quotidiano. Si infiltra anche nelle scelte di investimento — spesso impulsive — che molti compiono inseguendo lillusione del guadagno facile. Quante persone hanno acquistato criptovalute o azioni ad alta volatilità solo perché tutti stanno guadagnando senza conoscere davvero il mercato, senza una strategia, senza protezioni. Solo con la speranza e un pizzico di incoscienza. È il classico effetto gregge, alimentato da social network, forum, e chiacchiere da bar digitali.

A fotografare questa dinamica è uno studio della Consob del 2023, secondo cui circa il 44% degli investitori retail italiani non possiede unadeguata alfabetizzazione finanziaria. In altre parole, quasi la metà prende decisioni economiche sulla base di percezioni, emozioni, racconti di altri. E, spesso, sullonda di un ottimismo ingiustificato. Quando manca la consapevolezza, il rischio non viene calcolato: viene ignorato. E così, quello che sembra un trampolino verso la ricchezza può trasformarsi in una trappola. A cui si arriva con entusiasmo. Ma da cui, poi, è difficile uscire.

Come riconoscere e affrontare il bias dell’ottimismo

Dal punto di vista psicologico, questo atteggiamento è assolutamente comprensibile. L’idea che il futuro sarà migliore è spesso l’unico modo che abbiamo per tollerare il presente. Ma, quando questa convinzione ci porta a non pianificare, a ignorare i segnali, a non prenderci cura del nostro benessere economico, può diventare una trappola.

In terapia lavoriamo per tenere insieme due verità: sperare che le cose vadano bene, ma allo stesso tempo prepararsi all’eventualità che non vadano come previsto. Non è pessimismo, è realismo. Significa imparare a considerare anche gli scenari difficili. Avere un piano B non vuol dire non credere in sé stessi o nei propri sogni, ma vuol dire proteggersi e darsi una rete di sicurezza. Così come non arrampicheresti mai senza protezioni, mettere da parte qualcosa o informarsi prima di investire, non devono essere considerate segno di debolezza, ma di cura verso di sé.

Il bias dell’ottimismo non si combatte con il panico o con l’impulsività, ma con la consapevolezza. Perché non c’è niente di più rassicurante di sapere che, anche se le cose dovessero andare storte, sapremo come affrontarle.

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