Old Money: quando la moda può diventare una maschera sociale
L’estetica “Old Money” – con il suo stile sobrio ed elegante fatto di giacche sartoriali, camicie ben stirate e scarpe costose ma discrete – può sembrare a prima vista solo una tendenza come tante. In realtà, dietro questi abiti si cela qualcosa di più profondo: un messaggio identitario che molti adolescenti usano per raccontare chi sono – o chi vorrebbero essere. Questo modo di apparire diventa una sorta di codice, un linguaggio sociale che comunica status, appartenenza, superiorità. Ma cosa accade quando questo stile, anziché un’espressione personale, diventa un criterio per giudicare e escludere gli altri?
Tempo di lettura: 6 minuti

di Elena Carbone
Psicologa e psicoterapeuta esperta in traumi. Con l’account Instagram La psicologa volante fa divulgazione sul rapporto tra psiche e soldi.

L’estetica “Old Money” – fatta di blazer, camicie in lino, mocassini di cuoio e atteggiamenti da élite riservata – può sembrare solo una moda, ma dietro questa scelta di stile si nasconde molto di più. Non è solo un modo di vestire, ma un linguaggio simbolico con cui molti adolescenti cercano oggi di definirsi. In un’epoca segnata da incertezze economiche, instabilità globale e un futuro sempre più imprevedibile, l’immagine di un benessere antico, nobile e sicuro diventa una fantasia rassicurante. Vestirsi “da ricchi” – anche se non lo si è – diventa così un tentativo di difesa, un’illusione di appartenenza e controllo. Ma cosa succede quando questi codici di classe si trasformano in strumenti di esclusione?
La storia di Marina
«Ho litigato con mio figlio: sono rimasta esterrefatta nel sentire che con gli amici prendevano in giro un altro ragazzo che non si può permettere i suoi stessi vestiti. Non l’abbiamo cresciuto così! Non siamo gente di quel tipo: suo nonno, mio padre, è stato un operaio per tutta la vita e si è spaccato la schiena per fami studiare».
Marina ha 46 anni, è dirigente in una grande azienda, ha vissuto spesso all’estero dove ha fatto carriera ed è rientrata in Italia con il suo compagno per crescere il figlio Luca in un contesto più famigliare e protetto. Ora Marina non si capacita di come tanti sacrifici suoi e dei suoi genitori possano aver portato il figlio, ora sedicenne, a diventare si una persona colta, sportiva, socievole, ma anche una persona con una scarsa empatia, classista e arrogante.
«Quando ho sentito che dicevano quelle cose mi si è accapponata la pelle e ho scelto un momento in cui parlargliene con calma. Non volevo sgridarlo, volevo capire insieme a lui il motivo di tanta cattiveria. Ma quando ho cercato il confronto non ho più ritrovato mio figlio: gli occhi buoni di quel bambino che divideva la merenda con gli altri, hanno lasciato il posto a degli occhi vuoti, sfrontati, arroganti. Più io ero sgomenta nel sentirlo parlare, più lui esprimeva il suo disgusto nei confronti della povertà. Non riuscivo ad afferrarlo emotivamente, era lontanissimo…».
Alla base del cambiamento
È normale che Marina non riesca a riconoscere Luca. Durante l’adolescenza, il cervello dei ragazzi attraversa una trasformazione profonda e silenziosa: la cosiddetta potatura sinaptica elimina le connessioni neuronali meno utilizzate per rafforzarne altre, più funzionali all’età adulta. È come se il cervello ristrutturasse la propria casa, buttando giù vecchie pareti per fare spazio a un nuovo spazio più congeniale a trovare il proprio posto nel gruppo dei pari. Questo processo, unito all’intensa riorganizzazione del sistema limbico e all’immaturità della corteccia prefrontale – quella che regola l’empatia, l’autocontrollo, la pianificazione – rende i ragazzi più impulsivi, più sensibili al giudizio sociale e più attratti dal prestigio e dal conformismo di gruppo.
Se da bambini l’identità si costruiva attorno a ciò che piaceva, in adolescenza si costruisce attorno a ciò che gli altri ammirano. Nella società di oggi, ciò che si ammira è spesso visibile: una borsa, un paio di scarpe, un orologio. Così anche i figli di famiglie attente all’etica e all’inclusività possono ritrovarsi a deridere chi “non ha le Nike originali” o a escludere un compagno perché “ha i vestiti da bancarella”.
Old Money, cos’è e significato
«Mentre Luca mi parlava di come non avesse voglia di includere un ragazzo per lui sciatto, mi ha citato l’Old Money che io ignoravo, ossia un modo di vestirsi da snob per quanto mi riguarda, e lì ho realizzato che in effetti Luca non indossa più felpe, ma camicie, che non vuole più jeans ma pantaloni e che, in effetti, si veste per andare a scuola come se andasse su un panfilo! Non avevo realizzato fino in fondo questo cambiamento, ero anche contenta che non si mettesse più la stessa felpa ormai sdrucita…e invece non avevo capito nulla. Luca pensa di aver diritto a prendere in giro gli altri, non riesce a capire che non siamo ereditieri, ma solo dei grandi lavoratori che hanno anche avuto fortuna nella vita…mi trovo spaesata».
Oggi gli adolescenti vivono in un mondo incerto: crisi climatica, precarietà economica e aspettative sociali altissime. Il trend Old Money richiama stabilità, controllo, privilegio e rappresenta una fantasia di sicurezza. I ragazzi si vestono da ricchi per sfuggire all’ansia del presente, ma finiscono per perpetuare i meccanismi da cui pensavano di emanciparsi. Vestirsi da ricchi è un modo per illudersi di appartenere a una classe sociale immune da tutte queste preoccupazioni: “Se sembro ricco, sono al sicuro”. L’estetica Old Money affascina i più giovani perché trasmette l’illusione di uno status che non va conquistato, ma ereditato.
Un meccanismo di difesa
Secondo Adolescent.net l’estetica Old Money è una vera e propria “fantasia escapista” che “ignora le profonde disuguaglianze e i privilegi storici su cui si fonda”. I ragazzi si immedesimano in uno stile di vita che sembra nobile, ma spesso è solo un travestimento di classe, che esclude chi non può permetterselo e rafforza l’idea che valere significhi possedere.
Il giornale The Berkeley High Jacket accusa la tendenza di “glorificare la ricchezza ereditaria, il consumismo e la gerarchia sociale, cancellando o romanticizzando la storia di sfruttamento da cui queste immagini derivano”. In altre parole, anziché ribellarsi alle ingiustizie sociali, le ripropongono in formato estetico, illudendosi di esserne fuori così comprare i vestiti al mercato diventa un insulto e qualcosa di cui vergognarsi.
Il ruolo dei genitori
È sempre colpa della famiglia? Non punterei il dito sulle famiglie che, a volte possono essere intrise di pregiudizi e classismo, ma altre volte, come per Marina, possono rimanerne confuse e impotenti. La questione non è solo educativa, ma anche sociale e culturale. Viviamo in una società instabile, in cui il denaro assume un valore simbolico sempre più forte: rappresenta sicurezza, riconoscimento, appartenenza. E quando tutto è incerto, l’idea che i soldi possano garantire un posto nel mondo diventa un’immagine ambita.
Se gli adulti, nel mondo reale o virtuale, mostrano a me adolescente che l’unico modo per evitare l’esclusione o la derisione è adattarmi a certi codici sociali, allora li farò miei. Gli adolescenti sono per definizione insicuri, in costruzione e cercano un modo per trovare il loro posto nel mondo, per sopravvivere emotivamente. Hanno bisogno di modelli per capire come si faccia a vivere nel mondo dei grandi e, se i modelli dominanti premiano chi ostenta, chi domina, chi può permettersi tutto, è facile che li seguano anche se i loro genitori hanno insegnato altro. Tutto questo, unito alla tipica sensazione di invincibilità e onnipotenza dell’età, creano un muro di incomunicabilità con i genitori che non possono far altro che rimanere stabili e solidi nelle loro posizioni come rocce nella tempesta sapendo che prima o poi il figlio potrà aggrapparsi a loro e rivalutare quella posizione.
Nel frattempo, vi chiederete: rimaniamo impotenti? No, continuiamo a proporre idee alternative di successo che non abbiano a che fare con i soldi, ci mettiamo noi nella posizione di abbracciare l’insicurezza e l’instabilità senza sentirci inadeguati e apriamo il dialogo in modo sinceramente curioso e senza giudizio.