Sottoguadagnatori, come uscirne in 12 passi
Mai sentito parlare dei sottoguadagnatori? Sono un gruppo di persone che cercano di uscire da una dipendenza: quella di sentirsi sempre “non abbastanza”, procrastinare, non saper chiedere un aumento e non riuscire a mettere ordine nella propria vita. Dandosi supporto l’un l’altro, con gli strumenti mutuati dal gruppo degli Alcolisti anonimi, tanti riescono a recuperare. Tre di loro ci hanno raccontato come stanno uscendo dalla “caverna esistenziale”.
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di Giorgia Nardelli
Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

S. era “ubriaca di tempo”. «Iniziavo cento cose per non finirne mai una. Le giornate non bastavano mai, lasciavo mille progetti aperti e a sera mi ritrovavo a non aver concluso nulla». G., invece, aveva un rapporto malato con i soldi che finiva per rovesciarsi sulle sue relazioni: «Vengo da una famiglia molto ricca, che ha perso poi quasi tutto, pensavo che l’unico modo per tornare in quella situazione era sistemarmi con un uomo benestante. Non riconoscevo il valore di me stessa, ho sempre sottostimato le mie possibilità».
E poi c’è T. che ha sabotato se stessa per tutta la vita. A nulla sono valsi il talento, l’università prestigiosa, la passione per il suo lavoro, la sindrome dell’impostora le ha impedito per anni di cogliere le migliori opportunità. «Mi accompagnava la sensazione costante di non essere mai abbastanza. Mi hanno offerto cattedre, incarichi ben remunerati, ma una forza misteriosa dentro di me ha fatto in modo che io mandassi tutto alle ortiche».
Chi sono i sottoguadagnatori
Le incontriamo un pomeriggio, in videoconferenza, per parlare di Sottoguadagnatori anonimi, traduzione Italia di Underearners Anonymous (UA), in cui sono entrate qualche anno fa. Il nome del gruppo si ispira agli Alcolisti anonimi, ma in questo caso, ci spiegano, al centro non c’è una dipendenza da una sostanza, bensì da una condizione esistenziale, o meglio, una caverna esistenziale dentro cui nascondersi, che porta a non darsi il giusto valore e non chiedere la giusta retribuzione, non cogliere le opportunità, scappare e rimpicciolirsi, persino auto sabotarsi, se è necessario. Sul lavoro, ma anche in tutti gli ambiti della vita.
Il contesto non c’entra, anche se oggi il sottoguadagno è quasi un’emergenza sociale, la loro è una condizione interiore, che parte da dentro. I sintomi di questo modo di essere – li leggiamo sul sito italiano – sono tra gli altri la procrastinazione, il rifiuto compulsivo delle intuizioni e delle idee vincenti, la tendenza cronica a perdere tempo, l’attaccamento a beni inutili, lo sviluppare sintomi fisici per non approfittare delle occasioni, un costante senso di colpa. E chissà quanti oggi potrebbero riconoscersi in queste caratteristiche, dopo aver passato pomeriggi interi a scrollare reel o a vagare per casa, con il pc aperto. «Siamo dipendenti dal “non lo faccio, così mi sento più tranquilla”, perché tanto “non funzionerà mai”, non lo chiedo, tanto mi direbbero di no», dice S. Grandi limiti che impediscono di auto affermarsi, ma anche di godere semplicemente degli aspetti piacevoli della vita.
I 12 passi dei sottoguadagnatori
Alla fine degli anni ’10, quando sono nati, i sottoguadagnatori erano soprattutto persone che provenivano dal gruppo dei debitori anonimi, persone in cerca di una via di uscita dagli acquisti compulsivi. S., G., e T. si sono incontrate gravitando intorno a uno dei gruppi europei che teneva riunioni online, e hanno poi deciso di iniziare a incontrarsi virtualmente in Italia, persuase ormai che due persone dipendenti hanno molte più probabilità di uscirne se camminano insieme. «Nasciamo per offrire un luogo sicuro dove condividere esperienze, imparare dagli altri a superare questi schemi limitanti, che ci paralizzano», dice G.
«Ci siamo rese conto che il confronto e il supporto di un gruppo porta a vedere la vita con occhi diversi, ci aiuta a uscire dalla caverna e a migliorare automaticamente anche il lavoro e la relazione con gli altri». Come per gli alcolisti, anche il loro programma prevede 12 step, e spesso si parla di Dio. «Ma non è il Dio cristiano, tra di noi ci sono atei, agnostici, persone di confessioni diverse. Si tratta piuttosto di una dimensione spirituale. Il percorso, invece, si basa sui quattro assoluti, comuni a tutti i gruppi di questo tipo: ammettere di avere un problema; rivelarlo a qualcuno; fare ammenda, chiedere scusa dei comportamenti scorretti e soprattutto cambiare; portare il messaggio», spiega S.
Dallo sponsor al taccuino del tempo, gli strumenti
Per uscire da tunnel ci sono strumenti concreti, a cominciare dallo sponsor, la persona che ti prende sotto la sua ala e con cui ti confronti, prendi degli impegni, chiedi consiglio, ma ci sono anche il gruppo, le riunioni in cui darsi supporto l’un l’altro e parlare, e strumenti come il taccuino del tempo, dove rendere conto delle proprie giornate, o la scheda degli obiettivi. «Ci monitoriamo», dice G. «Se so che la persona di cui sono sponsor è una che procrastina, so che dovrò essere più incisiva, seguiamo un programma strutturato ma il bello è che ci diamo sostegno l’una con l’altra». T, per esempio, ha iniziato con il liberarsi di ciò che non le serve più. Sta pulendo il box perché ha capito che può affittarlo, un modo per valorizzare quello che ha.
L’importanza di attribuirsi il giusto valore
«Ognuno ha la sua esperienza, ma ciò che ci accomuna è che qui si impara a prendersi la responsabilità della propria vita, delle giornate e del tempo, fissando le priorità. Uno dei principali limiti di molti di noi è il vivere nella vaghezza, sperando che qualcuno venga a salvarti, che sia l’uomo o l’occasione della tua vita, o magari i familiari che ti sostengono. Invece realizziamo che dobbiamo diventare maturi», spiega. «Certo, non siamo in palestra, dove il personal trainer ti fa una scheda e tu la segui, ma nel frattempo si inizia a rispettare il proprio tempo, a dare importanza alle proprie idee, fiducia nelle proprie capacità o perlomeno all’idea che Dio o chi per lui ci ha fatto così e ognuno di noi ha un valore».
Anche S. oggi ha trovato ordine nel suo lavoro. «Se non avessi avuto le mie compagne di viaggio non avrei saputo come uscirne, a volte ci incontriamo online, per fare lavori paralleli: tu pulisci il box, io scrivo le email». Il risultato di G. è stato attribuire finalmente il giusto valore a se stessa, fare piazza pulita di convinzioni errate che si è portata dietro per 50 anni. «Oggi mi sveglia grata per le ricchezze che possiedo, non necessariamente materiali. Il denaro era il mio Dio, e nella relazione il mio Dio era rappresentato dall’uomo, io venivo dopo. Adesso ho un lavoro e sento di essere utile, e sono realizzata per quello che faccio».
Il rapporto con i soldi: imparare a “contare”
In UA anche saper gestire il proprio denaro fa parte del percorso. Nel gruppo italiano, spiegano, sono al 98% donne, e per molte occuparsi della parte finanziaria significa superare tabù, parlare di soldi per la prima volta, non vergognarsene. S. racconta che tra i suoi traguardi c’è l’apertura di un fondo di investimento, cosa che non avrebbe mai pensato fino a qualche anno fa.
«Non solo. Con la mia sponsor, che ha una retribuzione oraria, ci chiediamo spesso come fare ad aumentare la richiesta oraria, in questi anni lei ha più che triplicato la somma di partenza. Io, che sono freelance, mi confronto con gli altri, senza vergogna di parlare di numeri, ogni volta che devo preparare un preventivo o fare una richiesta. L’ultima volta mi tremava la mano quando ho scritto l’email al committente, avevo come sempre il terrore che mi dicesse di no. Invece hanno accettato».