Quel passaggio generazionale gestito senza mai parlare di soldi
Camilla Negri ha 34 anni ed è originaria di Fontana Fredda di Cadeo, un paese in provincia di Piacenza, dove il padre negli anni ’80 avvia un’azienda che vende attrezzature per la ristorazione.
Fin da quando è ragazzina, Camilla nutre una forte repulsione per quell’attività di famiglia, in perenne lotta con i competitor, le banche, i pagamenti. In più, l’azienda fagocita tutte le energie dei suoi genitori, a discapito di altri aspetti della vita. «Da parte loro mi è mancato proprio quel tipo di rapporto per il quale si fanno cose insieme».
Da ragazza Camilla ha tutt’altri sogni per il suo futuro, ma dopo la laurea si scontra con un mondo del lavoro predatorio: «I miei colloqui si svolgevano più o meno così: ti prendiamo sei mesi, non ti diamo neanche un rimborso spese e non pensiamo neanche di assumerti dopo». Capisce che non può permettersi di sbattere la porta in faccia alla fortuna che ha: entra così a lavorare nell’azienda di famiglia che un giorno erediterà.
Impara molto e lavora sodo, consapevole che un giorno saranno lei e i suoi fratelli a mandare avanti l’azienda. Eppure il passaggio di conoscenze e competenze da parte dei suoi genitori è come inceppato. E in questo, ancora una volta, c’entra il tabù dei soldi. «Si parla di problemi, mai di soldi. Magari i fatturati sono in decrescita, ma non ci viene data un’idea chiara di quali sono le entrate, quali i costi, i finanziamenti in essere. Oggi i miei genitori non pensano che io e mio fratello siamo in grado di gestire l’azienda, e probabilmente hanno ragione. Ma se portassero il tema soldi nella conversazione, forse nel giro di poco tempo ne saremmo capaci».
Intanto, con l’arrivo di una seconda figlia, Camilla ha un nuovo obiettivo su cui focalizzarsi: liberarsi dalla trappola casa-lavoro-famiglia e imparare a godersi la vita.