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Violenza economica e indipendenza economica: perché il potere delle donne passa dal denaro

La violenza economica resta una delle forme più diffuse e invisibili di controllo nelle relazioni. L’educazione finanziaria e l’indipendenza economica sono la leva decisiva per la libertà delle donne. Ce ne parlano Valeria Santoro e Chiara Galgani nel libro “Denaro al femminile: una sfida possibile”. Tra dati, stereotipi culturali e testimonianze di manager ai vertici della finanza, le autrici mostrano perché gestire il denaro non è solo una competenza tecnica, ma una forma di potere personale.

Tempo di lettura: 5 minuti

Valentina Ciannamea
Valentina Ciannamea

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Giornalista esperta di mondi digitali con un background da sociologa

violenza economica e indipendenza economica

Quando si parla di violenza contro le donne, la narrazione pubblica continua a concentrarsi quasi esclusivamente sulle forme fisiche e psicologiche, ignorando quella che spesso le precede, le alimenta e le rende possibili: la violenza economica. È una violenza invisibile, che non lascia lividi, ma restringe lentamente lo spazio vitale di una donna fino a impedirle di scegliere, reagire, andarsene. Ed è qui che entra in gioco la dimensione più sottovalutata del potere femminile: l’indipendenza economica.

Ne parlano Valeria Santoro e Chiara Galgani nel loro saggio Denaro al femminile: una sfida possibile (FancoAngeli). Otto donne al vertice della finanza raccontano la loro storia e la loro visione, mentre le autrici mettono a nudo i meccanismi culturali e materiali che ancora oggi impediscono alle donne italiane di essere davvero libere. «Chi possiede il denaro detta le regole, ma soprattutto i confini della libertà degli altri», dicono. «Per generazioni è stato normale delegare a padri, mariti, fratelli le scelte economiche decisive. Le donne erano presenti nella gestione quotidiana, ma assenti da mutui, investimenti, patrimonio. Quando non firmi, non controlli. E quando non controlli, dipendi».

I numeri della dipendenza economica in Italia

I dati confermano lo squilibrio: secondo l’Istat solo il 53% delle donne lavora, e tra chi lavora il divario salariale fotografato da Eurostat è del 16%, che diventa 32,1% nei settori assicurativi e finanziari secondo l’Inps. Una donna italiana guadagna mediamente il 25% in meno di un uomo e arriva alla pensione con assegni più bassi del 30%.

Non sono numeri astratti: sono la condizione materiale su cui si costruisce, o si impedisce, la libertà femminile. «Il principale ostacolo che osserviamo», continuano Santoro e Galgani, «è l’abitudine delle donne a considerare il proprio contributo economico come “secondario”. È un condizionamento sottile, interiorizzato: ed è così che si rinuncia a negoziare stipendi, avanzamenti di carriera, quote di proprietà. È così che nasce la vulnerabilità economica, che può trasformarsi in dipendenza e poi in violenza».

Come si manifesta la violenza economica

La violenza economica non esplode: si insinua. Inizia con frasi che sembrano rassicuranti: “Non ti preoccupare di nulla, ai soldi penso io”. Poi arriva il controllo: accesso limitato ai conti, giustificazioni per ogni spesa, divieto di avere un proprio risparmio, veto su un lavoro considerato “non necessario”.

Le autrici la descrivono così: «È una rete che si restringe lentamente, fino a ingabbiare la donna in una relazione che non può più lasciare perché non ha strumenti per farlo». La radice sta anche nella cultura familiare, dove si imparano ruoli prima ancora che numeri. «Gli stereotipi funzionano come profezie che limitano le nostre scelte», spiegano. «Se ti ripetono che non sei portata per i numeri, resterai lontana da bilanci, contratti, investimenti. Se ti dicono che sei troppo emotiva, ti sentirai fuori posto nei contesti negoziali».

Indipendenza economica: il vero margine di libertà

Molte donne contribuiscono attivamente al bilancio familiare, ma continuano a percepire, e a vedere riconosciuto, il proprio reddito come “di supporto”. È l’effetto delle aspettative culturali: il suo stipendio è quello modulabile, quello sacrificabile, quello che può diventare part-time alla nascita di un figlio.

Ed è qui che le autrici mettono un punto definitivo: «Il problema non è solo chi guadagna: è chi decide. Una donna può lavorare, ma se delega totalmente la gestione finanziaria, la sua indipendenza resta soltanto formale».

Prudenza, rigore, pianificazione: ciò che libera

Le storie delle donne intervistate da Santoro e Galgani, tra cui Gabriella Alemanno, Commissaria Consob; Silvia Rovere, Presidente Poste Italiane; Claudia Cattani, Presidente Bln Bnp Paribas; Giovanna Paladino, Direttrice Generale del Museo del Risparmio, mostrano un altro paradigma: quello della competenza come libertà.

«La prudenza, il rigore, la pianificazione — qualità spesso attribuite alle donne in chiave stereotipata — diventano strumenti di indipendenza economica», dicono. «La prudenza non è paura: è assumere solo i rischi che si comprendono. La pianificazione permette di dire “posso andarmene”, “posso cambiare”, “ho alternative”. E avere alternative significa essere libere».

Non è un caso che Silvia Rovere ricordi che «Le ragazze devono sapere che l’autonomia non sarà mai completa se non impareranno a gestire i soldi»,  e che Claudia Cattani aggiunga che
«Avere il controllo delle proprie risorse economiche significa avere il controllo della propria vita».

Educazione finanziaria come prevenzione della violenza

Le autrici lo ribadiscono: «La libertà non è un concetto astratto: è un insieme di decisioni economiche concrete». Significa avere un conto proprio, un margine di risparmio, una visione di lungo periodo. Significa poter rifiutare relazioni sbilanciate. Significa poter scegliere. Ma per farlo serve un cambiamento culturale profondo: rivedere i ruoli familiari, insegnare alle bambine che le competenze finanziarie non sono “da uomini”, inserire l’educazione economica nelle scuole in modo strutturale.

Tutte le manager intervistate hanno raccontato un momento simile: quello in cui hanno capito che la loro libertà passava dal denaro. Non dal guadagno in sé, ma dalla gestione. Dalla possibilità di decidere. È questo, oggi, il vero nodo dell’indipendenza economica delle donne: capire che non si tratta di “avercela fatta”, ma di avere alternative. E in cui nessuna donna debba più sentirsi dire: “Senza di me, come fai?”.

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