Quando conviene comprare a rate

Accendere un prestito è uno dei tanti tabù culturali di noi italiani. Eppure i prestiti sono il motore dell’economia. Tutto sta a prendere la decisione giusta in base alla propria situazione, scegliere il tasso conveniente e sapere se e quando estinguerlo.

Tempo di lettura: 8 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

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Un tabù culturale da superare

Noi italiani storicamente guardiamo con sospetto ai prestiti. Ce lo conferma Emanuela Rinaldi, ricercatrice in Sociologia all’Università di Milano Bicocca: «Qualche anno fa abbiamo condotto una vasta ricerca sui preadolescenti e il denaro, e alla domanda “avere un prestito è un disonore?”, un 30% ha risposto che era d’accordo o molto d’accordo. Ovviamente non significa che gli italiani non usino i prestiti, ma è una spia di come vengono percepiti in famiglia».

Il finanziamento, però, centra poco con il disonore, ecco perché dobbiamo sfatare un tabù che è duro a morire, e che spesso ci fa vivere le rate con angoscia o senso di colpa.

«I prestiti sono la benzina dell’economia», dice Anna Vizzari esperta di Finanza per Altroconsumo, che da anni aiuta i consumatori a fare i conti su tutto, e a tenersi alla larga dalle fregature. «E serve anche a noi consumatori: dilazionare le spese migliora il nostro stile di vita, perché ci permette di comprare beni essenziali che non potremmo pagare in un’unica soluzione, come una casa o l’auto, ma anche cose superflue, che ci appagano e ci fanno stare bene». Il tutto evitando di impoverire il conto corrente e permettendoci di mantenere un cuscinetto di sicurezza.

Questo non significa, naturalmente, che non dobbiamo stare attenti. Ma il tema è prendere la decisione giusta in base alla propria situazione economica.

Una mentalità da acquisire

«Prima di firmare, dobbiamo metterci bene in testa che una volta partiti, per un determinato periodo, ogni mese, avremo dei pagamenti che dovranno essere onorati», spiega Anna Vizzari. «Guardandolo all’inverso, dovremo ragionare come se le nostre entrate fossero inferiori. Non più, per esempio, 2.000 euro al mese, ma, poniamo, 1.700. Oltre che una questione di tassi (di cui parliamo più avanti), è una questione di testa. Quella parte delle tue entrate non è più tua».

In pratica dobbiamo chiederci – aggiunge Emanuela Rinaldi – se rinunciare a una quota del nostro reddito inciderà, e in che modo, sulla gestione del quotidiano e sugli impegni futuri. Se quindi saremo in grado di sostenere il costo del prestito oppure no.

Le tre domande da farsi

Ecco perché dovremmo farci tre domande.

  1. Mi serve davvero ciò che acquisto, e perché? Comprare qualcosa che non ci serve davvero, solo perché grazie al prestito abbiamo la percezione di non pagarla, è una pessima abitudine finanziaria.
  2. Se mi capita un’emergenza, sarò in grado di affrontarla, o i miei soldi saranno tutti impegnati?
  3. Per quanto tempo sono sicuro di riuscire a ripagare il prestito, compreso di interessi, in futuro?

Solo se le risposte ci convincono, allora si può procedere.

La regola del 50/30/20

Un altro parametro da considerare quando si sta per accendere un prestito è la regola del 50/30/20, declinabile, nelle situazioni contabili più estreme, a 70/20/10.

«Tutte le spese fisse, le bollette, il cibo e le uscite essenziali devono rientrare nella fetta più grande, inclusi il mutuo o le rate dell’auto familiare. Nel secondo capitolo ci sono le spese superflue, come abbigliamento ristorante, palestra, motorino per il figlio. Ma un 20%, o almeno un 10% deve essere accantonato. L’errore più grande che possiamo fare è far divorare dalle rate la quota salvadanaio». Quindi, ancora una volta, prima di accendere un prestito meglio prendere una calcolatrice e tracciare entrate e uscite (qui una veloce guida con tanto di foglio excel per fare una buona pianificazione).

La regola del 33%

Restando in tema di percentuali, c’è un’altra regola che può fare da “guida”, ed è quella utilizzata dalle banche per decidere se concederci o meno un mutuo casa.

«Gli istituti di credito partono dal presupposto che la rata non deve mai superare il 33% del reddito complessivo», dice Anna Vizzari. «E il consiglio è di fare la stessa operazione con le tue, di rate: metti insieme quelle del mutuo, dell’auto, del dentista… Se sei già vicino al 30%, lascia perdere altri prestiti».

Secondo alcuni esperti, per dormire sonni tranquilli la percentuale deve essere ancora più bassa. «Ma nella valutazione entra in gioco l’obiettivo che il prestito ti permette di raggiungere», spiega Emanuela Rinaldi. «Se stai acquistando un computer che ti serve assolutamente per lavoro, allora ha senso che tu arrivi anche al 30%. Se si tratta di spese superflue, meglio restare ben al di sotto. Occhio però a fare bene i conti. Nel mio lavoro mi è successo di intervistare persone che si sono trovate in difficoltà perché si erano “dimenticate” ad esempio di altre spese vincolanti: l’abbonamento alla palestra, o il noleggio del modem».

A proposito: vuoi un decalogo? Qui trovi le dieci regole per non indebitarti.

Il tasso è giusto?

Ora che hai deciso se accendere o no quel finanziamento, devi sapere quale prodotto scegliere. Come fare? «Intanto devi partire dal presupposto che ci sono diversi tipi di prestito, e alcuni hanno tassi più alti di altri. Oltre al mutuo, c’è il prestito finalizzato, che ti viene fatto direttamente in negozio quando acquisti un auto o un elettrodomestico; il prestito personale, che ha tassi un po’ più alti; e la cessione del 5° dello stipendio, in assoluto il più costoso», spiega Anna Vizzari.

«Molto dipende anche dal soggetto a cui ti rivolgi. Spesso le società finanziarie che concedono prestiti con maggiore facilità – non chiedono insomma troppi documenti – sono le meno convenienti. Ecco perché bisogna fare molto caso al tasso di interesse».

Per capire se quello proposto è vantaggioso, usa come guida le tabelle trimestrali della Banca d’Italia sui tassi di interesse: sono indicati con la sigla “Tegm”, che sta per “tasso effettivo globale medio”. Le tabelle riportano da una parte il tasso medio di interesse praticato, dall’altra il tasso soglia, che rappresenta il tetto oltre il quale l’interesse è da considerarsi usurario. Una volta che conosci le medie di mercato, confronta quel valore con quello del tuo prestito, e regolati.

Occhio alla differenza tra Taeg e Tan

«Quando ti parlano di tassi, fai sempre riferimento al Taeg: il tasso annuo effettivo globale, che comprende tutte le spese del prestito, e che tutti gli intermediari devono rendere pubblico. E non confonderlo con il Tan, il tasso annuo nominale», avverte Emanuela Rinaldi.

«Per intenderci, un prestito con Tan zero, magari pubblicizzato come “tasso zero”, potrebbe avere un Taeg maggiore, e non essere a costo zero per te, come vogliono cercare di farti credere. I prestiti realmente a tasso zero sono molto rari, di solito ci sono sempre delle spese di accensione e di gestione pratica, che fanno lievitare la somma da restituire».

Una volta che hai fatto il confronto, puoi fare anche un altro esercizio, per essere sicura di quanto ti costa il finanziamento: chiedi alla banca o alla finanziaria a quanto ammonterà il totale dovuto, cioè la somma complessiva che andrai a versare. Per esempio, se su un prestito da 10.000 euro da restituire in 5 anni, con un Taeg al 5,73%, la cifra che andrai a ripagare è di 11.483, e questo significa che il prestito ti è costato 1.483 euro.

Per capire bene la differenza tra Tan e Taeg, guarda questo semplice glossario della Banca d’Italia.

Cosa leggere prima di firmare?

Non puoi firmare un contratto di finanziamento senza averne letto le condizioni. Ma tutti sappiamo che è un’operazione noiosa e complessa. «Se non vuoi prenderti il tempo necessario, esamina almeno il frontespizio, contiene tutte le informazioni principali, gli interessi e le spese, quello che c’è e quello che ti faranno pagare», consiglia Anna Vizzari.

Le voci da guardare? «Il costo del prestito, ovvero, il tasso di interesse, annuale e globale, che in termini tecnici si chiamano appunto Tan e Taeg», dice Emanuela Rinaldi. «E poi devi guardare le condizioni nel caso di mancato pagamento, ovvero cosa succede se salti di ripagare una rata, e ancora, le eventuali spese accessorie. Infine, considera i rischi legati a un eventuale mancato rimborso puntuale delle rate, questo elemento potrebbe incidere sul costo del finanziamento, allungandone la durata e facendo lievitare l’importo delle rate».

Se vuoi prenderti qualche minuto per capirne di più, consulta la guida della Banca d’Italia o questo schema riassuntivo.

Quando conviene estinguerlo?

Sappiamo che il prestito può essere comodo per evitare di prosciugare il conto corrente, e mantenere una riserva in caso di imprevisti. Ma se quella riserva cresce e raggiungiamo la tranquillità per estinguerlo, conviene davvero farlo?

Molto dipende dal tasso di interesse, spiega Anna Vizzari, ma per verificarlo basta un semplice esercizio: «Parti dal tasso che hai sul prestito, e da quello che spenderai da quel momento fino all’ultima rata, e calcola dall’altra parte ciò che guadagneresti investendo quei risparmi. Se il tasso è molto basso, come quello di certi mutui che hanno concesso fino a qualche anno fa, allora meglio non fare nulla, e usare i tuoi risparmi in altro modo. Se si tratta invece di prestiti personali, che viaggiano anche al 7% è bene liberarsene subito. Ovviamente la valutazione è soggettiva, ma l’importante è non lasciare quei soldi sul conto corrente, perché è come perderli!».

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