Pressione sociale: perché ci indebitiamo per andare in vacanza?
Mentre una parte del Paese si prepara a partire, a prenotare voli e a condividere tramonti sui social, un’altra parte resta ferma. Secondo i dati più recenti, nel 2025 saranno 8,4 milioni gli italiani che rinunceranno alle vacanze. Ma accanto a chi resta, c’è anche chi parte facendo ricorso al credito, arrivando a indebitarsi pur di non rinunciare alla pausa estiva. Cosa spinge sempre più persone a chiedere un prestito per partire? Solo le difficoltà economiche o anche la pressione sociale?
Tempo di lettura: 4 minuti

di Annie Francisca
Autrice specializzata sui temi di sostenibilità, esteri e diseguaglianze sociali.

C’è un’Italia composta da 8,4 milioni di persone che quest’estate non partirà, chiuderà le persiane e resterà immobile nelle sue città arroventate, rinunciando alle vacanze. Secondo un’indagine condotta da Facile.it con EMG Different, nel 69% dei casi — pari a circa sei milioni di persone — la motivazione è economica: non ci sono abbastanza risorse per permettersi una pausa. Tra questi, il 48% ha dichiarato di non essere riuscito a risparmiare, travolto dall’aumento del costo della vita. Un ulteriore 20% ha spiegato di aver rinunciato perché i prezzi dei viaggi sono diventati semplicemente insostenibili.
Oggi, una vacanza estiva — considerando solo trasporto e alloggio — costa in media 2.700 euro per una famiglia di tre persone. Una cifra che, per molti, non è più accessibile. Da mesi, infatti, milioni di famiglie affrontano rincari continui, bollette che aumentano e spese imprevedibili. E quella che un tempo era una parentesi di riposo, oggi appare sempre più come un privilegio riservato a pochi.
L’altra faccia della medaglia
Ma c’è anche un’altra parte del Paese: quella che, pur di partire, sceglie di indebitarsi. È l’altra faccia della stessa rinuncia: non fermarsi, ma pagare il prezzo in un secondo momento. Negli ultimi mesi, si è registrato un aumento significativo delle richieste di prestiti personali destinati a coprire le spese per le vacanze. Secondo un’analisi di Facile.it e Prestiti.it, nei primi tre mesi del 2025 le domande sono cresciute del 18% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, superando i 100 milioni di euro erogati.
La tendenza è particolarmente diffusa tra i giovani: quasi una domanda su tre arriva da persone con meno di 30 anni. L’età media di chi fa richiesta è di 37 anni, sensibilmente più bassa rispetto a quella rilevata per altri tipi di prestiti. Anche le differenze di genere raccontano una dinamica interessante: il 72% delle richieste proviene da uomini, che domandano in media 5.909 euro, ovvero circa il 13% in più rispetto alle donne.
Indebitamento economico o sociale?
Negli ultimi anni si è registrato un cambiamento nelle abitudini di consumo: sempre più persone tendono a privilegiare le esperienze rispetto ai beni materiali. Le vacanze, in particolare, vengono considerate da molti come un’occasione per staccare dal lavoro e, allo stesso tempo, per arricchirsi sul piano personale e culturale. Questo mutamento ha contribuito a rafforzare la percezione del viaggio come forma di investimento sul proprio benessere, spingendo una parte crescente della popolazione a ricorrere a forme di finanziamento per potersi permettere una pausa estiva, anche in assenza di risparmi sufficienti.
Ma a questo, secondo noi di Rame, si aggiunge un altro fattore, meno visibile ma allo stesso modo significante: la pressione sociale, che in alcuni casi può far percepire la vacanza non più come un’opportunità, ma come una sorta di obbligo. La presenza costante dei viaggi altrui sui social media, in particolare, accentua questa dinamica, generando un confronto implicito e costante. In questo modo, il viaggio non è più soltanto un’esperienza personale da vivere, ma una performance pubblica: chi non parte non si limita a perdere un’occasione, ma rischia anche di sparire socialmente.
Pressione sociale, cos’è la notriphobia
In un interessante articolo di Samantha Maggiolo su Geopop, si parla di notriphobia, ossia l’ansia di non viaggiare “abbastanza” e non avere vacanze in programma in un mondo che premia la mobilità. Non è una fobia clinica, ma un sintomo sociale: chi resta fermo rischia di sentirsi escluso dalla narrazione collettiva. Ad oggi, infatti, non viaggiamo più per “possedere luoghi” o visitarli, ma per sentirci rigenerati e trasformati.
«In questa prospettiva, il viaggio si trasforma in un vero e proprio prodotto emozionale: deve suscitare sensazioni autentiche, profonde, memorabili. Allo stesso tempo diventa una forma di investimento identitario – si parte “per ritrovare sé stessi”, “per riconnettersi con la natura” – e un contenuto narrabile, da fotografare, condividere e consumare socialmente. Chi non viaggia, o non può farlo, rischia di sentirsi escluso da questa costruzione di senso e valore», conclude Maggiolo. E la notriphobia nasce proprio qui: quando si interiorizza l’idea che solo chi si muove possieda un’identità interessante e riconosciuta, mentre chi resta fermo finisce per apparire invisibile.
La questione è emersa anche in un sondaggio informale rivolto alla nostra community. Diverse risposte hanno evidenziato il disagio legato alla pressione sociale: “Tutti vanno in bei posti, tutti vanno in vacanza, e tu ti senti uno sfigato”, “La pressione si sente, ma credo che qualcosa non funzioni se il lavoro paga solo la sussistenza”, “Ogni anno la stessa storia, e io non la sopporto”. Si tratta di osservazioni soggettive, ma ricorrenti, che suggeriscono come la vacanza stia assumendo anche un valore simbolico. In questo contesto, l’indebitamento per le vacanze non è solo una scelta economica, ma anche una risposta a dinamiche sociali più ampie.