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L’ora legale ci fa risparmiare, ma ci costa in sonno e sicurezza

Con l’arrivo dell’autunno, torna puntuale una delle abitudini più discusse del nostro calendario: il cambio d’ora. Un gesto semplice che però nasconde conseguenze ben più complesse di quanto sembri. Tra chi apprezza l’idea di “guadagnare” un’ora di sonno e chi ne critica l’impatto su ritmo biologico, produttività e salute, il dibattito sull’utilità dell’ora legale e solare resta più vivo che mai.

Tempo di lettura: 5 minuti

Annie Francisca
Annie Francisca

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Autrice specializzata sui temi di sostenibilità, esteri e diseguaglianze sociali.

risparmio ora legale
Foto di Ahmad Ossayli

A fine ottobre, le lancette dei nostri orologi faranno un giro indietro: guadagneremo un’ora di sonno, ma perderemo un po’ di luce. Il ritorno dell’ora solare segna ogni anno l’ingresso definitivo nella stagione fredda e, con esso, si riaccende il dibattito sulla sua utilità. Introdotta ufficialmente nel 1916 come misura per risparmiare energia durante la Prima guerra mondiale, l’idea di spostare le lancette per sfruttare meglio le ore di luce affonda però le radici molto più indietro nel tempo. E oggi, a più di un secolo di distanza, la pratica continua a dividere: tra chi la considera un retaggio del passato e chi la difende per i suoi presunti vantaggi economici e ambientali.

Cambio dell’ora, le prime idee

Già nel 1784, Benjamin Franklin – inventore del parafulmine – pubblicò sul Journal de Paris alcune riflessioni dedicate al risparmio energetico. Nel suo scritto, Franklin suggeriva modi curiosi per ridurre il consumo di candele, incentivando – o costringendo – le persone ad alzarsi prima, attraverso proposte ironiche e poco praticabili: tasse sulle persiane chiuse, divieti di circolazione notturna e rumorose sveglie collettive. In realtà, Franklin non ipotizzò mai di spostare le lancette dell’orologio. 

Quest’idea trovò un terreno fertile soltanto nel contesto delle esigenze economiche provocate dalla prima guerra mondiale: nel 1916, su idea del costruttore britannico William Willet, la Camera dei Comuni del Regno Unito diede il via libera al British Summer Time, che prevedeva lo spostamento delle lancette un’ora in avanti durante l’estate. A seguire, molti paesi europei imitarono l’esempio inglese, in quanto il risparmio energetico in tempo di guerra rappresentava una priorità non da poco. 

L’ora legale riduce i consumi?

Lo scopo principale dell’ora legale era, e rimane, quello di contenere i consumi energetici. Spostando in avanti di un’ora le lancette nei mesi primaverili ed estivi, si riesce infatti a sfruttare più a lungo la luce solare, riducendo così la necessità di ricorrere all’illuminazione artificiale e ad altre fonti di energia. Dal momento che in estate il Sole sorge molto presto, questo spostamento consente di avere un’ora di luce in più nelle ore serali rispetto ai mesi invernali. Non tutti i Paesi del mondo, però, hanno scelto di adottare questa pratica. L’applicazione dell’ora legale dipende in gran parte dalla posizione geografica e dalle abitudini locali: nelle zone equatoriali, ad esempio, dove la durata del giorno resta pressoché invariata durante tutto l’anno, l’adozione di tale sistema risulta inutile, poiché la disponibilità di luce naturale è già costante.

Ma il risparmio energetico dell’ora legale è davvero concreto? I dati di Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione nazionale, confermano di sì. Nel 2024, nei sette mesi in cui vige l’ora legale, il sistema elettrico italiano ha ridotto i consumi di circa 340 milioni di kWh, un quantitativo equivalente al fabbisogno annuo di circa 130 mila famiglie, con un risparmio economico superiore a 75 milioni di euro. Anche l’ambiente ne trae beneficio: la minore richiesta di energia ha evitato l’emissione di circa 160 mila tonnellate di CO2.

Analizzando un arco temporale più lungo, dal 2004 al 2024, Terna stima che l’ora legale abbia permesso all’Italia di risparmiare complessivamente oltre 11,7 miliardi di kWh, con un vantaggio economico per i cittadini stimato intorno ai 2,2 miliardi di euro.

I rischi sulla salute 

Nonostante questi riscontri, il dibattito sulla possibile abolizione del cambio d’ora è aperto da anni. Nel 2019 l’Unione Europea ha deciso di lasciare a ciascuno Stato la scelta di mantenere in modo permanente l’ora solare o l’ora legale, senza più alternarle nel corso dell’anno, con termine massimo per la decisione fissato al 2021. Tuttavia, la pandemia e le emergenze successive hanno spostato il tema in secondo piano, e oggi Italia e molti altri Paesi continuano a praticare il consueto alternarsi tra orario legale e solare. 

I principali effetti negativi del cambio d’ora riguardano la salute. Secondo un’analisi del Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti, nella notte del passaggio all’ora legale, a marzo, i lavoratori dormono mediamente 40 minuti in meno. Anche se può sembrare una differenza marginale, uno studio della Michigan State University ha evidenziato conseguenze significative: analizzando i dati sugli infortuni minerari registrati dal National Institute of Occupational Safety and Health tra il 1983 e il 2006, i ricercatori hanno scoperto che il primo lunedì successivo all’ora legale si verifica un incremento del 5,7% degli infortuni sul lavoro e del 67,6% delle giornate lavorative perse per incidenti rispetto agli altri giorni.

Anche la sicurezza stradale risente del cambio d’ora: secondo l’Insurance Corporation of British Columbia, il lunedì successivo all’inizio dell’ora legale gli incidenti aumentano mediamente del 23% tra il 2005 e il 2009. Altri studi evidenziano inoltre un disturbo temporaneo del ciclo sonno-veglia, che provoca affaticamento e stanchezza soprattutto nel primo giorno dopo il passaggio all’ora legale.

In conclusione, il bilancio tra risparmio economico e rischi per la salute resta delicato: l’ora legale porta benefici tangibili, ma non è priva di conseguenze, e proprio per questo il dibattito sulla sua utilità continua a essere aperto in Italia e in Europa.

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