Lavorare dopo la pensione: scelta di vita o necessità economica?
Una volta la pensione era considerata il traguardo finale dopo anni di lavoro. Oggi, però, un numero crescente di italiani sceglie – o è costretto – a rimanere attivo anche dopo il pensionamento. Spinti da motivazioni economiche, sociali o culturali, sempre più over 65 si ritrovano a lavorare anche in età avanzata. Ma cosa c’è dietro questo trend? È davvero una scelta o una necessità?
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di La redazione

C’era una volta la pensione. Quel traguardo che generazioni di italiani hanno inseguito come un sacro riconoscimento del loro impegno e del loro diritto a prendere le distanze dalla frenesia della vita attiva. Un obiettivo in cui oggi, tuttavia, un numero sempre crescente di lavoratori under 60 non si riconosce più allo stesso modo. Lo rivela l’ultimo report di Eurostat (2023), secondo cui nel nostro Paese il 9,4% dei neo pensionati si mantiene attivo professionalmente anche dopo aver maturato i requisiti di accesso. Tradotto: 1 italiano su 10 considera la pensione non più come una tappa finale, ma come un passaggio intermedio.
E se è vero che il dato si colloca al di sotto della media europea, che si attesta al 13% e che vede in cima alla graduatoria i paesi nordici nei quali rientrare a lavoro anche a distanza di anni dal pensionamento è un’abitudine piuttosto consolidata, è altrettanto significativo che il trend sia in continua ascesa. E che a determinarla contribuisca un insieme di fattori.
Motivazioni economiche e sociali
L’aspetto economico, in tal senso, non può essere ignorato. Sempre più spesso, l’assegno pensionistico si rivela insufficiente per sostenere un tenore di vita adeguato. A livello europeo, il 30% di chi rimane attivo anche in età pensionabile addebita la sua scelta alla necessità di integrare le proprie entrate. Un tema particolarmente sentito dagli italiani: non soltanto perché da anni si richiede a gran voce una riforma delle pensioni, ma anche per il contesto specifico nel quale queste vengono percepite. Nonostante l’Italia si collochi al 6° posto per importo medio delle pensioni – davanti anche alla Francia e alla Germania – l’importo erogato è tra i più tassati d’Europa, specie per i redditi medio-bassi.
Un ruolo fondamentale è giocato anche dal desiderio dei pensionati di continuare a sentirsi utili alla propria comunità. Sempre secondo Eurostat, un altro terzo di chi prosegue le sue attività professionali è spinto da questa motivazione, con una preferenza abbastanza marcata per le soluzioni part-time. Non fa eccezione l’Italia, dove il fenomeno si intreccia ad un’altra questione di non poca rilevanza: il progressivo invecchiamento della popolazione.
A fronte di una media europea del 21,6%, gli over-65 nel Bel Paese rappresentano il 31,1%. La natalità in continua discesa – anche nel 2025 secondo Istat – e la disoccupazione giovanile incidono sulla lentezza del ricambio generazionale e finiscono per prolungare la permanenza della vecchia guardia. Che di frequente viene impegnata nell’ambito della formazione e della trasmissione delle competenze trasversali. Un recente articolo de IlSole24Ore suggerisce anche che tra coloro che sono inclini a non ritirarsi rientrano quelli che hanno un partner ancora lavorativamente impegnato.
Poca educazione finanziaria e previdenza integrativa: un problema culturale
C’è poi da considerare un ulteriore elemento, che potremmo definire “culturale”. I risultati non esaltanti che il nostro Paese ha fatto storicamente registrare in quanto ad educazione finanziaria – nel 2024 con un punteggio di 56 su 100 – si riflettono anche sulla scarsa abitudine degli italiani ad accedere a forme di previdenza complementare. Secondo il Mercer Global Pension Index 2024, su 48 paesi presi in esame l’Italia occupa il 35° posto.
Il nostro sistema pensionistico è giudicato come “poco sostenibile” anche a causa del fatto che i lavoratori – soprattutto le donne che faticano ancora a ritagliarsi spazi di autonomia economica e che sono impegnate il più delle volte in professioni non stabilizzate – sono poco responsabilizzati rispetto alla necessità di attrezzarsi per tempo con forme di integrazione al reddito, che siano fondi pensione o Piani Individuali Pensionistici. Viene allora da chiedersi: nel nostro Paese lavorare oltre la pensione è più una scelta o una necessità? O, forse, è uno stato di cose che solo una profonda revisione politica e strutturale potrebbe sostanzialmente modificare?