Tre città europee hanno risolto il caro-affitti: ecco come
Vienna, Berlino e Copenhagen hanno abbattuto i prezzi delle case del 30%. La prima con il 60% di case pubbliche, la seconda con il tetto agli affitti, la terza con le cooperative. I numeri di tre modelli che stanno cambiando il mercato immobiliare europeo.
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A Milano l’affitto si “mangia” il 51,6% dello stipendio medio, a Bologna un monolocale costa quanto un bilocale di dieci anni fa, a Roma trovare casa è diventata un’impresa. Un dramma che, a dire il vero, accomuna gran parte d’Europa: tra il 2010 e il 2022, i prezzi delle abitazioni nell’Ue sono aumentati in media del 48%, con picchi del 172% in Ungheria e del 136% in Lussemburgo. E anche gli affitti sono schizzati alle stelle: +18% nello stesso periodo, con punte del +210% in Estonia e del +144% in Lituania, secondo i dati Eurostat. Ma se l’emergenza abitativa accomuna molti paesi europei, c’è anche chi sta sperimentando soluzioni innovative per garantire il diritto alla casa. È il caso di città come Vienna, Berlino e Copenaghen, che grazie a politiche di controllo degli affitti e investimenti pubblici nell’edilizia sociale sono riuscite a contenere in modo significativo i prezzi delle abitazioni rispetto alla media del mercato.
Vienna, la città degli affitti calmierati
Vienna è da anni in cima alle classifiche delle città con la migliore qualità della vita al mondo. E il merito è anche delle sue politiche abitative, che hanno radici lontane. Già negli anni venti, la capitale austriaca si guadagnò il soprannome di “Vienna Rossa” per il suo massiccio piano di edilizia pubblica: in poco più di un decennio, furono costruiti 64mila alloggi popolari, pari al 10% del patrimonio immobiliare cittadino.
Da allora, il Comune di Vienna non ha mai smesso di investire in case pubbliche. Oggi, il 43% degli alloggi in città è “sottratto al mercato”, cioè ha prezzi regolati in base ai costi di costruzione e manutenzione, al riparo dalla speculazione. Di questi, oltre 220mila appartamenti sono di proprietà diretta del Comune, mentre altri 200mila sono gestiti da cooperative edilizie “a scopo di lucro limitato”. Il risultato è che quasi l’80% dei viennesi vive in case pubbliche o sovvenzionate, con affitti che raramente superano i 600 euro al mese. Per accedervi, basta essere residenti in città da almeno due anni e non superare una certa soglia di reddito (53mila euro l’anno per un single, 79mila per una coppia).
Non solo case popolari, però. Vienna punta anche sulla qualità e l’innovazione. Lo dimostrano progetti come Seestadt Aspern, un innovativo progetto di sviluppo urbano costruito sul sito di un ex aeroporto. Combina edifici moderni ed ecosostenibili con ampi spazi verdi e una vasta gamma di servizi, offrendo un modello di vita urbana di alta qualità.
Berlino e il tetto agli affitti
Anche Berlino, come Vienna, sta sperimentando strade innovative per garantire il diritto alla casa. La capitale tedesca, negli ultimi anni, ha visto un boom dei prezzi immobiliari: +120% dal 2004 a oggi, con punte del +20,5% solo nel 2017. Colpa, secondo molti, delle grandi società immobiliari come Deutsche Wohnen e Vonovia, che controllano gran parte del mercato e tengono gli appartamenti sfitti per far lievitare i prezzi.
Per fermare questa spirale, nel 2020 il governo locale ha introdotto il “Mietpreisbremse”, letteralmente “freno agli affitti”. Si tratta di una legge che impone un tetto alle locazioni: i proprietari non possono chiedere affitti superiori del 10% alla media della zona, pena multe fino a 500mila euro. Inoltre, gli inquilini hanno diritto a ricorsi e rimborsi se pagano cifre eccessive. La misura ha suscitato forti polemiche tra i proprietari immobiliari, che l’hanno impugnata davanti alla Corte costituzionale. Ma nel 2021 la Corte ha dato ragione al governo, confermando la legittimità del tetto.
Parallelamente, a Berlino si è aperto un dibattito sulla possibilità di espropriare le grandi società immobiliari per trasformare le loro case in alloggi pubblici. Nel 2021 si è tenuto un referendum in cui il 56% dei berlinesi si è espresso a favore degli espropri. Ma la proposta, per ora, è rimasta lettera morta.
Secondo i critici, il “Mietpreisbremse” ha avuto effetti collaterali: ha spinto i proprietari a spostare le case verso il più redditizio mercato degli affitti brevi, riducendo l’offerta per le locazioni normali. Inoltre, nelle zone non coperte dal tetto si è registrato un aumento degli affitti, per compensare i mancati guadagni. Segno che, per funzionare, le politiche di controllo devono essere affiancate da un robusto piano di investimenti pubblici. Come dimostra l’esempio di Vienna.
Copenhagen e il ruolo delle cooperative
In Danimarca, il problema casa si affronta soprattutto con le cooperative edilizie. Nel paese scandinavo, oltre mezzo milione di alloggi (il 20% del totale) è di proprietà di cooperative, le “andelsboligforeninger”. Si tratta di società no profit i cui soci sono gli stessi inquilini, che versano una quota per diventare comproprietari dell’immobile in cui vivono.
Il vantaggio è duplice: da un lato, i soci pagano un affitto molto più basso della media di mercato, perché commisurato solo ai costi vivi di gestione. Dall’altro, acquisiscono col tempo una quota della proprietà, che possono rivendere (a prezzo calmierato) se decidono di andarsene. Un modo per coniugare i vantaggi dell’affitto e della proprietà, senza però alimentare la speculazione. Nelle grandi città come Copenhagen, gli alloggi cooperativi arrivano a sfiorare il 40% del totale.
Certo, non mancano le criticità. Negli ultimi anni, complice il boom immobiliare, alcune cooperative hanno scelto di sciogliersi per rivendere gli alloggi a prezzi di mercato, generando lauti guadagni per i soci. Una tentazione a cui il governo ha cercato di porre un freno con una riforma nel 2020, che impone alle cooperative regole più stringenti sulla possibilità di liquidarsi.