Cosa fare se vieni licenziato (per salvare le finanze)
Succede sempre più spesso, specie a chi ha un’occupazione a tempo determinato o ha contratti di collaborazione, ma anche a chi ha il cosiddetto posto fisso: perdere il lavoro non è più un tabù. Ma cosa si può fare, nel concreto, se si viene licenziati o comunque quando l’entrata fissa mensile viene a mancare? Come si fa fronte allo shock finanziario e come si contengono i danni nel bilancio, in attesa di trovare nuove fonti di reddito? Abbiamo provato a capirlo con l’aiuto di alcuni esperti.
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di Giorgia Nardelli
Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

Se messa a confronto con gli altri Stati, l’Italia è ancora il Paese del posto fisso. Un rapporto di lavoro medio dura 12 anni, contro gli 8 della media degli altri Paesi Ocse: licenziamenti e dimissioni sono più infrequenti che altrove. Eppure, i primi 6 mesi del 2024, ci dicono che le dimissioni dal posto di lavoro sono state 1.030.462, i licenziamenti economici 257.695, questi ultimi in aumento del 5,29% rispetto allo stesso periodo del 2023. E ci sarebbero da aggiungere a questi numeri quelli della moltitudine di finte partite Iva senza tutele né paracadute, di lavoratori a progetto e a somministrazione, per i quali il mancato rinnovo di una collaborazione o di un contratto è, se non pane quotidiano, un’eventualità molto più che remota da mettere in conto.
Cosa fare, in tutti questi casi, se si viene licenziati o comunque quando l’entrata fissa mensile viene a mancare? Come si fa fronte allo shock finanziario? Abbiamo provato a capirlo con l’aiuto di alcuni esperti.
Cosa ti spetta quando vieni licenziato (le cose da fare subito, dal Tfr alla ferie)
Quando viene a mancare un’entrata fissa, è importante capire su quali somme si può fare affidamento, per rivedere il proprio budget. Si comincia dai documenti: la prima cosa utile da fare è verificare cosa prevede il contratto di lavoro su preavviso, eventuali buonuscite aggiuntive e altri aspetti economici. Diventa insomma importante assicurarsi di conoscere tutto ciò che prevede l’accordo scritto.
Quanto al Tfr, non dare per scontato che riceverai le somme che ti spettano subito e in un’unica soluzione: anche se alcuni contratti collettivi possono prevedere un termine entro il quale liquidare la somma, la legge non vieta al datore di lavoro di chiedere una dilazione e spalmare il versamento in più rate. Potresti aspettare mesi per avere l’intera cifra e questo aspetto va contabilizzato. Controlla anche se nella tua situazione è prevista un’eventuale buonuscita ulteriore, un’indennità di preavviso, e verifica che le ferie non godute siano computate in maniera corretta.
Fondo pensione
Un tema che merita un ragionamento a parte è quello del Fondo pensione. «Molti lavoratori dipendenti, specie coloro che sono stati assunti negli ultimi anni, versano le quote mensili di Tfr in un fondo pensione», spiega Giuseppe Colletti del patronato Inca Cgil. «In questa eventualità, il dipendente deve fare una riflessione per capire come agire. Per chi viene licenziato, per esempio, in presenza di determinate condizioni che vanno verificate, c’è la possibilità di riscattare le somme; in alcuni casi il lavoratore può scegliere di mantenere il fondo, oppure di continuare ad alimentarlo con contributi volontari. Le opzioni sono diverse, per questo è molto importante, anche sulla base della propria situazione finanziaria e delle prospettive future, contattare subito il fondo e capire quali sono le strade percorribili e le loro proposte», consiglia l’esperto.
Naspi e Dis-coll: chi può chiederle e come funzionano
Non tutti ne sono al corrente, ma anche chi non ha un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ha spesso diritto a sussidi di disoccupazione. «Gli iscritti al fondo lavoratori dipendenti, anche con un rapporto di lavoro a tempo determinato, possono richiedere la Naspi dopo il licenziamento, – qui le categorie interessate -, mentre chi ha rapporti di collaborazione, i ricercatori o è iscritto alla Gestione separata Inps può fare richiesta della Dis-coll», dice Colletti. «In entrambi i casi bisogna fare però attenzione alle tempistiche, importanti per non perdere il diritto al beneficio. Il lavoratore che viene licenziato a cui scade il contratto ha 68 giorni di tempo per fare richiesta a partire dalle date indicate sui documenti. Trascorso questo periodo non è più possibile inviare la domanda.
Il consiglio è di fare presto, e informarsi per capire se si hanno i requisiti, considerando anche che se inviata entro l’ottavo giorno dalla chiusura del rapporto di lavoro, la decorrenza della prestazione parte dall’ottavo giorno successivo alla cessazione, i tempi si restringono. La domanda si può fare online dal sito Inps o con l’aiuto di un patronato, che offrono assistenza gratuita. Sono sufficienti pochi documenti: carta d’identità, codice fiscale e Iban per l’accredito, perché l’Inps già possiede molte informazioni, ma bisogna rispondere a una serie di quesiti. Per esempio, bisogna indicare se si possiede una partita Iva o un altro lavoro, e in quel caso quali redditi si percepiscono».
Quali sono i requisiti per accedere alla Naspi e della Dis-coll
Le indennità non spettano sempre e comunque, o comunque non sempre nella stessa misura. «Intanto, per la Naspi la cessazione del lavoro deve essere involontaria, in caso di dimissioni non ha diritto a nessuna indennità. È poi necessario avere maturato nei quattro anni precedenti almeno 13 settimane di contributi versati. Per la Di-scoll serve invece almeno un mese di contributi nel periodo tra il 1° gennaio dell’anno precedente alla cessazione del rapporto di lavoro, e la data in cui è cessato il rapporto», spiega Colletti.
Anche la durata del sussidio è variabile, dipende da quanto si è lavorato nei periodi precedenti, e questo è un dato da calcolare con anticipo per fare bene i conti: «La Naspi, per esempio, viene erogata per un periodo pari alla metà dei periodi di contribuzione, fino a un massimo di due anni. Significa che se hai lavorato per 12 mesi, otterrai sei mesi di indennità. La Dis-coll ha invece una durata massima di 12 mesi».
Quanto si prende di Naspi: il tetto e le attese
Sapere con anticipo a quanto ammonterà il proprio assegno di disoccupazione è un’informazione preziosissima per pianificare a livello finanziario i mesi successivi. La strada più veloce, però, è quella di rivolgersi a un patronato, perché la formula di calcolo è abbastanza complessa. «Per la Naspi, si prende come riferimento il 75% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, indicata in busta paga, facendo riferimento al valore medio degli ultimi 48 mesi. Al di sopra di una certa soglia, però, il calcolo cambia, e in ogni caso la Naspi ha un tetto massimo, che per il 2025 è di 1.562,82, euro. Tra l’altro, l’indennità si riduce del 3% a partire dal sesto mese, dall’ottavo per gli over 55», continua l’esperto.
Andranno poi tenuti in conto i tempi tecnici per l’erogazione dell’indennità. «Fortunatamente le pratiche si sono snellite, e adesso, generalmente la somma viene erogata nel giro di massimo un mese, ma è sempre meglio informarsi, perché molto dipende dalla sede territoriale Inps», conclude Colletti.
Tagliare le spese e aumentare i bonus: dal mutuo all’Isee
Una volta calcolate le entrate a tua disposizione, la liquidità del Tfr o del fondo di emergenza, puoi essere in grado di sapere a spanna se hai sufficiente denaro per coprire le tue uscite. Prima di lavorare “chirurgicamente” sul bilancio e sul piano di risparmio – qui ti spieghiamo come fare, a partire dall’analisi delle uscite – è utile fare un’analisi delle principali uscite fisse. Alcune voci piuttosto onerose, infatti, possono essere congelate per un periodo. È il caso del mutuo prima casa: il cosiddetto fondo Gasparrini consente a chi viene licenziato o subisce una variazione importante della propria situazione lavorativa, di sospendere per un periodo il pagamento delle rate.
Per rientrare nella misura occorrono determinati requisiti (per esempio un Isee fino a 30.000 euro), ma vale comunque la pena verificare i parametri e condizioni. Un’analisi simile può essere fatta sugli altri finanziamenti in corso: anche se spesso non ce ne rendiamo conto, molti prestiti sono agganciati a polizze che prevedono una qualche forma di sostegno in queste eventualità. Vanno sempre valutate le condizioni, ma una buona idea è andare a ripescare i contratti o contattare la società finanziaria.
Come cambia l’Isee dopo il licenziamento
C’è poi il tema Isee: l’indicatore della ricchezza familiare, sulla base del quale sono parametrati tutti gli aiuti e i bonus di vario tipo. Allo scendere del valore aumenta la possibilità di accedere a determinati benefici, o aumenta il valore dei bonus stessi (è il caso dell’assegno unico per i figli), fattore da non trascurare. L’Isee viene di solito aggiornato ogni anno tra gennaio e marzo, ma in caso di cambiamenti importanti può essere modificato una seconda volta anche nell’anno in corso, richiedendo l’Isee corrente.
Spesso a chi viene licenziato è consigliato questo passaggio, ma va tenuto in conto che è possibile solo a determinate condizioni, per esempio se il reddito del nucleo è calato almeno del 25%. «Chi percepisce un sussidio di disoccupazione, che comunque viene conteggiato nel calcolo Isee, potrebbe non rientrare in questa possibilità, è quindi necessario capire di quanto si modifica la propria situazione reddituale. In questo caso bisognerà attendere l’anno successivo. Di norma l’Isee fa riferimento ai redditi dell’anno precedente», spiega Colletti.
Strategie per ricollocarsi più velocemente, i trucchi per giocare d’anticipo
Dopo un licenziamento, o comunque ogni volta che si perde un’entrata o il lavoro, è essenziale elaborare il prima possibile una strategia per ricollocarsi e rimpiazzare il mancato guadagno. Il piano deve prevedere ovviamente un’analisi delle proprie competenze, delle richieste del mercato, un programma di networking e di riqualificazione professionale, ma ci sono piccole accortezze che possono rendere più facile la ricerca di una collaborazione o di un nuovo impiego.
«C’è una sorta di “regola” da adottare con costanza, anche in situazioni di normalità, ma a maggior ragione se c’è aria di licenziamento, di mancato rinnovo del contratto o di voglia di cambiamento. Il consiglio è di creare un file word o excel – ma va bene anche un quaderno dedicato – e compilarlo periodicamente come se si trattasse di un diario di bordo personale trimestrale. Nel documento va indicato trimestralmente ciò che si è fatto, per esempio il progetto completato del valore di x euro, il cliente portato in azienda che rappresenta un aumento del volume di affari dell’x%, la nomina a leader di un team di 10 persone, il corso di aggiornamento seguito».
«Non serve segnare dati precisi e informazioni aziendali confidenziali, ma competenze acquisite, traguardi raggiunti, che ci aiuteranno a tracciare un quadro più preciso in sede di redazione di cv o di portfolio e in fase di colloquio, nel momento in cui ci dovremo ricollocare», spiega la career coach Stefania Baita. «Tra l’altro, “studiando” questi file sarà più facile trovare il filo rosso che percorre la nostra carriera, e che in un certo senso racconta chi siamo e quali sono i nostri punti di forza».
La lettera di referenze e le perfomance review
Un suggerimento che danno in tanti, prima di uscire di scena, è di chiedere ai propri superiori una lettera di referenze, sempre che si sia in buoni rapporti. L’idea è sempre utile, dice Baita, ma con due avvertenze: «La prima: chi leggerà il documento sarà consapevole del fatto che chi ha scritto quella lettera era in un certo senso “tenuto” a parlare solo degli aspetti positivi, saprà che sarà come leggere le recensioni di un albergo che pubblica solo commenti di chi è stato bene».
«La seconda: facciamo in modo che la lettera serva comunque a mettere in luce i nostri punti di forza, diamo una traccia a chi deve scrivere di noi. Chiedere referenze senza specificare cosa ci occorre può mettere l’altro in crisi e aprire la porta a un testo nel migliore dei casi generico, e dunque il più delle volte inutile. Un’idea può essere quella di chiedere a chi ci è di fronte di strutturarla rispondendo a 5 domande, che gli daremo noi».
Le domande da fare
«Le domande ruoteranno attorno a ciò che vogliamo venga messo in luce. Sarà come chiedere a un pasticciere una torta di compleanno: non gli chiederemo semplicemente di fare ciò che vuole, spiegheremo di prepararne una cioccolato, con la panna, senza frutta e facile da fare a fette, in altre parole restringeremo il campo dando una traccia precisa. Anche l’intelligenza artificiale può aiutarci a formulare le domande».
Se poi lavoriamo in una grande azienda, prosegue l’esperta, non trascuriamo il fatto che i grandi gruppi hanno sistemi di definizione e obiettivi che prevedono performance reviews dei singoli dipendenti. «Se le nostre sono positive, possiamo utilizzare le review, eliminando i dati sensibili, come i nomi dei progetti, e utilizzarli a nostro vantaggio: sono meglio di una lettera di referenze perché raccontano in modo oggettivo se le cose le abbiamo fatte bene, e qual è stato il nostro contributo al raggiungimento dei risultati aziendali», conclude Baita.