Che prezzo mi do?

Compilare un preventivo è come una seduta dall’analista. Non basta considerare le ore che un progetto ci impegnerà, occorre metterci dentro il lavoro nascosto che c’è dietro, la consapevolezza delle nostre competenze, la conoscenza del contesto e una nuova mentalità: col posto fisso vieni pagato per le ore che lavori, da professionista indipendente per il valore che produci.

A cura di Giorgia Nardelli



Guardati dentro 

Non si scappa: il valore che assegniamo ai nostri servizi è legato alla percezione del valore che abbiamo di noi. Questo “dato”, che dato non è, ha a che fare con due elementi, l’autostima e l’autoefficacia, ci spiega Paola Iannello, psicologa e docente dell’Università Cattolica di Milano, dove insegna tra le altre cose Psicologia economica e Benessere.

«L’autostima è il valore che attribuiamo a noi stessi come persona. L’autoefficacia è qualcosa di leggermente diverso, ha più a che fare con la considerazione che abbiamo di noi rispetto alla capacità di fare cose in un contesto specifico».

In altre parole, se sono convinta di essere in grado di fare il mio lavoro, questo non solo influenza la mia performance, ma anche il valore che io mi attribuisco, e di conseguenza il fatto di farlo pagare in modo giusto. Non sempre, però, questa percezione è corretta.

Stimola l’autoefficacia

«Chi lascia di sua iniziativa la comfort zone dello stipendio fisso per buttarsi nell’incerto, in genere ha già una robusta struttura interna, e un buon livello di autoefficacia», premette Paola Iannello. Detto questo, ci sono almeno due modi per alimentarla, due “esercizi” che andrebbero fatti prima di darsi un prezzo. 

  • La lista dei successi: «Si tratta di recuperare dal passato situazioni nell’ambito lavorativo in cui ce l’abbiamo fatta. Questo elenco mentale dei precedenti positivi accresce la consapevolezza di saper fare quel qualcosa in quel contesto e porta ad attribuirsi il giusto valore». 

  • Il confronto positivo: consiste nel riportare alla mente l’esperienza di una persona vicina a noi, che ha fatto un percorso simile al nostro ottenendo buoni risultati. «Il confronto va fatto con l’amica o l’ex compagna di scrivania, non con un modello inarrivabile. È un buon metodo, perché ci dà l’idea che siamo in grado di raggiungere gli stessi traguardi. Meglio ancora è farsi raccontare e consigliare direttamente da questa persona. Entrambe le cose ci aiutano a posizionarci in maniera coerente e realistica in un mercato dove ci sono persone che fanno cose simili a noi, senza over rappresentarci».

Studia la piazza

Questo passaggio non va dimenticato. Non deve diventare una prigione, ma ti serve per definire l’universo in cui stai per entrare e i confini dentro cui muoverti: devi sapere chi sono i tuoi competitor, studiarli, conoscere i servizi offerti, competenze e tariffe.

Micaela Terzi, business coach, ci dà un metodo molto efficace: «Per farti un’idea quanto più precisa devi poter rispondere ad alcune e semplici domande: chi sono i miei clienti? Sono multinazionali, piccole e medie imprese o privati cittadini? Qual è il loro potere di spesa? E la città in cui mi muovo, che piazza è per i miei affari? Conoscere il mercato è fondamentale come conoscere se stessi e il proprio valore. Grazie a questi due elementi è possibile definire una strategia complessiva che ci permetta non solo di organizzare il nostro business e di entrare nel mercato con il "prezzo giusto" ma anche di comunicare ai clienti in modo chiaro quanto vale ciò che offri e spingerli all'acquisto».

Cambia mindset

Il peggior limite dei professionisti con passato da dipendenti, è che spesso continuano a ragionare con la mentalità di chi riceve ogni mese la busta paga, ma ignorano una differenza fondamentale. Lo spiega bene Micaela Terzi in questo suo post che vale la pena leggere:  «I dipendenti ottengono denaro in cambio del loro tempo. Gli imprenditori ottengono denaro in cambio di valore».

Di conseguenza, col posto fisso vieni pagato per le ore che lavori, da indipendente devi dare un prezzo anche al valore che produci.

È vero, gli ordini professionali e le associazioni di categoria hanno tariffari e griglie con compensi di riferimento, il web è pieno di algoritmi per calcolare i compensi in base alle ore, e sono tutti utilissimi, ma come base di partenza. Se il tuo compenso calcola solo le ore che spenderai per quel progetto, restano fuori le tue competenze, la tua esperienza, quei fattori che ti permettono di realizzare un progetto magari in poco tempo, ma portare al cliente un prodotto che ha un valore molto più alto.

Per uscire dalla gabbia delle ore lavorate e fare lo scatto psicologico, prova a mettere insieme come mattoncini tutti i costi e gli elementi che hanno contribuito al risultato finale, come fossero pesetti su una bilancia. «Quando fai il prezzo di un servizio, devi provare a figurarli nella tua mente, è un modo per realizzare che tutti sono pezzi concreti del tuo lavoro. Basta anche solo costruire una piccola tabella, o una check list con le voci da spuntare», consiglia la Iannello

Se il tuo compenso calcola solo le ore che spenderai per quel progetto, restano fuori le tue competenze, la tua esperienza, ovvero tutto ciò che ti permette di realizzare un progetto in poco tempo, ma portando al cliente un prodotto dal valore più alto.

Ragiona sul lordo

Questo consiglio fa il paio con quello del paragrafo precedente: quando eri dipendente ricevevi con un bonifico solo la parte netta del tuo stipendio. Ora, invece, ogni volta che fissi un compenso devi ancora una volta ragionare come un’impresa, e prendere in considerazione il lordo con tutte le tue voci di costo, anche quelle che non vedi. 

Non parliamo solo di tasse e contributi. La tua giornata lavorativa è composta da mille altre attività - o almeno così deve essere, se vuoi che tutto funzioni - e quelle ore vanno retribuite. Quante sono?

Secondo le stime, ogni lavoratore autonomo spende dal 40% al 70% del suo tempo nella gestione della libera professione. Che comprende l’amministrazione, e cioè il tempo impiegato a preparare fatture, inviare solleciti di pagamento e fare operazioni bancarie. Ma ci sono anche l’autopromozione, la partecipazione a eventi, il networking, la formazione (se ti va di approfondire, qui trovi un lungo post dove si parla proprio di queste incombenze e del perché vanno messe nel conto).

Se vuoi renderti conto quanto tempo viene assorbito da queste attività, prova a installare un’applicazione dove puoi tenere traccia di come spendi il tuo tempo. Una delle più collaudate e Toggle

Schiva le trappole psicologiche del preventivo

Quando arriva il momento del confronto con il cliente, ti potrebbe succedere di non “avere il coraggio” di proporre quel prezzo che avevi in mente.

«Facciamo fatica a chiedere quello che ci spetta, perché a livello implicito associamo il denaro a qualcosa di non “alto”, di cui “non sta bene” parlare e di cui ci vergogniamo. E la cosa peggiore è che non ce ne rendiamo conto», dice Paola Iannello.

«Per uscire da questo condizionamento, il primo step è diventare consapevoli di questo pregiudizio inconscio. Come? Facendo spesso questo esercizio: chiediamoci cosa è per noi il denaro, raffiguriamocelo con la prima immagine che ci viene in mente. E poi proviamo a trovare un’immagine alternativa, positiva: il denaro è lo strumento che mi dà libertà di prendermi una settimana di riposo, pagare il mutuo, anche fare beneficenza».

Se non basta, vuol dire che dobbiamo ancora lavorare sulla consapevolezza del nostro valore aggiunto come liberi professionisti. «Ancora una volta dobbiamo fare uno scatto mentale. Ragioniamo su cosa stiamo offrendo noi a quel cliente, qual è il nostro “plusvalore”, ciò che ci differenzia dagli altri professionisti e che solo noi possiamo dare.

È un passaggio fondamentale per posizionarci sul mercato in maniera solida. E se siamo convinti noi, il messaggio passerà anche al cliente».

Quando apponi la cifra in fondo al preventivo, pensa che il denaro è lo strumento che ti dà la libertà di prenderti una settimana di riposo, di pagare il mutuo, anche di fare beneficenza

Arriva preparata alla richiesta di uno sconto

Quando arriva, la richiesta di sconto può provocare un terremoto emotivo, e fare molti danni. Quindi è bene arrivare preparati come ci consiglia la nostra psicologa Paola Iannello: «Concedere un arrotondamento sul prezzo non è un male in sé, ma è una scelta che va fatta con consapevolezza. Se acconsenti devi poterlo giustificare a te stessa, e sapere che lo dai perché c’è una motivazione oggettiva: ti assicura una commessa in più, o magari perché il preventivo era già un po’ arrotondato in eccesso».

Il nodo è qui: decidere a monte se concedere o no lo sconto, e il range di accettabilità. «L’errore peggiore è fare una scelta dettata dall’emotività, darla vinta solo perché ci si sente poco autorevoli».  

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