Black Friday: perché non dobbiamo comprare per forza
Il Black Friday sta incontrando un crescente movimento di opposizione tra commercianti e consumatori. Alcuni piccoli esercenti hanno scelto, quest’anno, di non aderire, rifiutando la pressione verso acquisti eccessivi e poco riflessivi. I piccoli commercianti denunciano gli effetti dannosi di sconti precoci sulla sostenibilità economica dei negozi locali e sulla percezione del giusto prezzo, aggravati dal confronto con i grandi marketplace e il fast fashion.
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di Giorgia Nardelli
Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.
«Care amiche e clienti, quest’anno ho scelto di non partecipare al Black Friday, perché rappresenta per me una pressione verso un consumo eccessivo e poco riflessivo». Inizia più o meno così un lungo post pubblicato da un negozio di abbigliamento bolognese qualche giorno fa, in cui la proprietaria annuncia che il prossimo venerdì 29 novembre, giorno in cui cade il Black Friday 2024, non farà sconti. E’ in buona compagnia, visto che da qualche anno sono sempre più numerosi i commercianti che dicono no alle promozioni del venerdì nero. In piena stagione, con la merce appena arrivata, i prezzi ribassati non si fanno.
Le ragioni del movimento “No Black Friday”
Il “No Black Friday” non è roba recente. Da diversi anni, ormai, fa sentire la sua voce il movimento di protesta contro la frenesia degli acquisti di fine novembre, che generano impatti negativi sulle finanze personali dei consumatori, sull’ambiente e sui lavoratori. Un po’ come i dark pattern del web – questa la motivazione – gli sconti a scadenza inducono i consumatori a cedere all’impulso del momento, per non perdere l’occasione di un acquisto a prezzo scontato, comprando spesso oggetti totalmente superflui o di bassa qualità, comportamento che li rende inevitabilmente più poveri, con gli armadi e le case pieni di abiti e accessori di cui non si sentiva il bisogno, regali inutili e oggetti low cost e di bassa qualità, spesso destinati a finire in discarica. Un fenomeno, questo, che genera non pochi problemi ambientali. Inoltre, tra i grandi marketplace la mole gigantesca di ordini concentrati in poche ore genera un sovraccarico sulle spedizioni che si riversa sulle spalle dei lavoratori, spesso precari, malpagati e soggetti a condizioni di lavoro nella migliore delle ipotesi discutibili.
La rivolta dei commercianti, perché crescono i no
A questi temi si è aggiunto di recente anche quello dei piccoli commercianti “reali”, perlopiù del settore abbigliamento, che negli anni precedenti si erano accodati ai grandi colossi per cercare di frenare l’emorragia di clienti finiti sul web, ma che evidentemente, a conti fatti, hanno notato che i black days generano più danni che benefici, per sé e per i fornitori, magari aziende italiane di fascia media, già costrette a vedersela con la concorrenza del fast fashion o dei grandi outlet. Fa riflettere la già citata commerciante, quando spiega che mettere in svendita gli articoli a stagione appena iniziata rischia di svalutare e sminuire i marchi e il lavoro di quei produttori che «cercano di portare sul mercato articoli di qualità, realizzati pagando il lavoro al giusto prezzo», nonché quello di chi li sceglie e li porta in negozio. «Con il cambiamento del clima, che ha spostato in avanti l’arrivo della stagione invernale, chi vende abiti o scarpe comincia a realizzare i primi incassi molto più tardi rispetto al passato. La stagione delle vendite inizia praticamente a novembre, ma se a fine mese ci metti una o due giornate di promozioni, hai l’effetto di ritardare ulteriormente gli acquisti e di concentrarli in un solo week-end, quello degli sconti. Se poi ci metti che a inizio gennaio iniziano i saldi, questo significa dover vendere quasi tutta la merce a prezzo ribassato. E a lungo andare non ci stai con i conti», spiega a Rame un addetto ai lavori.
Il rischio: perdere di vista il giusto prezzo
La stessa Confesercenti, in passato, ha più volte preso posizione contro il Black Friday, dichiarando che l’attesa delle promozioni di fine novembre paralizza gli acquisti per alcune settimane, per poi favorire soprattutto grandi brand perlopiù digitali, penalizzando i piccoli. Anche Confcommercio non è stata tenera, e come ha sottolineato la scorsa stagione il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, il vero problema è forse che chi compra perde di vista il giusto prezzo dei prodotti, e che forse vale la pena rimettere al centro «il valore delle cose e quel rapporto di fiducia con i negozi di prossimità, dove la trasparenza e il servizio, oltre che il prezzo, sono più che garantiti tutti i giorni dell’anno».
Trasparenza e Black friday, è davvero un grande affare?
La trasparenza, appunto. Per anni le associazioni dei consumatori hanno denunciato dati alla mano il ricorso a “falsi sconti” che consiste nell’apporre accanto al prezzo scontato una cifra gonfiata, o semplicemente corrispondente al prezzo di lancio dell’articolo (che però scende fisiologicamente nel tempo). L’effetto è lo steso di un’illusione ottica, dove il consumatore vede una percentuale di sconto molto maggiore rispetto a quello che sarà il suo risparmio effettivo. Dal 1° luglio 2023 è entrata in vigore una norma a tutela dei consumatori che impone a chi promette promozioni e offerte, di esporre accanto al prezzo promozionale il prezzo più basso praticato negli ultimi trenta giorni. Nonostante ciò, l’anno scorso l’Unione nazionale consumatori ha riportato le segnalazioni di molti cittadini che, monitorando determinati articoli sui siti di grandi catene, hanno notato prezzi spacciati come “scontati”, ma in realtà identici e se non addirittura superiori di quelli esposti nei mesi precedenti.
A gennaio si risparmia di più
Come se non bastasse, a gennaio 2024 Altroconsumo ha mostrato che, almeno per certe categorie di merci come i prodotti tecnologici, a fine gennaio i prezzi delle principali catene sono in media pari o più bassi rispetto quelli del Black Friday. C’è poi il tema del dynamic pricing, il fenomeno per cui, grazie a sofisticati algoritmi e tecnologie avanzate che analizzano costantemente i dati di mercato e i movimenti di ogni singolo consumatore, il prezzo dei prodotti online si muove sulla base non solo della domanda generale, ma anche degli interessi del singolo. È la ragione per cui, se sono interessato a un certo oggetto e ne cerco in continuazione il prezzo su diversi marketplace, con il passare dei giorni potrei fare fatica a trovare offerte più convenienti. Per aggirare il problema dovrei navigare in anonimo e trovare altre tecniche sofisticate per “ingannare” l’algoritmo.
Il consiglio: acquista solo ciò che ti serve e se è sostenibile
Alcune associazioni come Adiconsum, molto attenta ai temi del sovraindebitamento e della sostenibilità, hanno preso da tempo una posizione ben precisa, e accanto ai consigli per non farsi fregare lanciano un monito: compra solo se ti serve e se è sostenibile. Un po’ come consiglia la nostra venditrice, che nel suo post conclude: «Se desiderate fare acquisti vi invito a farlo con tranquillità scegliendo con attenzione ciò che più vi rappresenta senza la pressione di “dover acquistare ora”. Ogni giorno è il momento giusto per fare scelte consapevoli», per poi chiudere: «Insieme possiamo fare la differenza». Il momento, certo, non è dei migliori. Secondo l’Osservatorio Findomestic, le intenzioni d’acquisto a novembre sono in calo per il secondo mese consecutivo, segnando -7,2% rispetto a ottobre, e se è vero che quasi metà degli italiani (47%) attende il prossimo venerdì per fare acquisti, il 26% dichiara che spenderà meno. Non è l’etica, però, a pesare su queste decisioni, ma carovita e incertezza sul futuro.