Cambiamento climatico: come il caldo minaccia il l’economia
Mentre le amministrazioni locali cercano di proteggere i lavoratori dai rischi del caldo estremo, il peso delle conseguenze economiche continua a crescere: produttività in calo, attività rallentate, perdita di Pil. L’emergenza climatica non è più un fenomeno episodico, ma una forza che sta ridefinendo profondamente le dinamiche economiche. Affrontarla con consapevolezza e investimenti mirati non è più una scelta ma è una priorità inderogabile.
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di La redazione

Appena qualche mese fa, la notizia aveva destato una certa impressione: secondo le rilevazioni di Copernicus, il programma di osservazione della Terra dell’Unione Europea, il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato a livello globale, con la temperatura media superiore di 1,5° rispetto ai livelli preindustriali. Neanche il tempo di assimilare la portata di tale fatto che la parola “record” è tornata a fare capolino tra telegiornali e caroselli social. I 47° registrati nella cittadina portoghese di Mora la scorsa settimana, uniti ai 46° di alcune località andaluse e ai 40° toccati in diversi punti della Francia, dell’Italia e della Grecia, hanno fatto scattare non soltanto bollini e allerte rosse, ma hanno anche riportato l’attenzione, una volta di più, sugli effetti sempre più evidenti del cambiamento climatico.
Lavoro e caldo: misure urgenti ma costose
Sempre secondo Copernicus, citato da Pagella Politica, quello appena trascorso è stato il giugno più caldo mai registrato in Italia. Non stupisce, perciò, che le amministrazioni locali siano corse con prontezza ai ripari per tutelare i lavoratori più esposti al rischio di un colpo di calore. In gran parte delle Regioni sono state emanate delle ordinanze che impongono lo stop ai lavori all’aperto nella fascia oraria tra le 12:30 e le 16:00. I provvedimenti suggeriscono anche la necessità di riorganizzare la turnazione e rendono obbligatorie, nei cantieri e nel settore agricolo, la disponibilità di acqua e di ombra e i momenti di pausa.
Decisioni di buon senso che, tuttavia, se da un lato si impegnano a tutelare la salute dei lavoratori, dall’altro producono un impatto di non poco conto sul versante economico. Perché, se il cambiamento climatico si manifesta con le sue evidenze ambientali più estreme, è anche vero che, spesso, finisce per farlo attraverso conseguenze non immediatamente visibili.
L’impatto economico globale del caldo estremo
Le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro raccontano che circa 2,5 miliardi di persone fanno i conti con difficoltà professionali legate al caldo estremo. Il calo della produttività nei mesi estivi si traduce in una perdita del 2,2% delle ore lavorative. Per intenderci, l’equivalente di circa 80 milioni di posti di lavoro a tempo pieno e di 2400 miliardi di dollari all’anno. Per l’Italia, il danno è considerevole: si parla, infatti, per il 2025, di una perdita dell’1,2% del PIL, doppia rispetto alla previsione europea e ben al di sopra di Francia e Germania, che si “limitano” rispettivamente allo 0,3% e allo 0,1%.
Una differenza notevole, che mette in luce come l’intervento legislativo non basti da solo a mitigare le criticità. Il nostro Paese, secondo quanto messo in luce da Wall Street Italia, soffre di un’endemica difficoltà infrastrutturale e di una non sempre ottimale capacità di adattamento urbano. Una realtà che fa il paio con la cosiddetta paralisi delle attività. Così la definisce lo studio condotto da Allianz Trade sulle conseguenze delle ondate di calore sull’economia, il quale sottolinea che, con temperature di 32°, la capacità di compiere lavoro fisico scende del 40%, arrivando persino a sfiorare il 70% in prossimità dei 38°.
Cambiamento climatico: servono consapevolezza e prevenzione
Salute e produttività sono, dunque, inconciliabili nel nostro Paese? No, se tutte le parti in causa compiono il proprio dovere. Se è vero, infatti, che le istituzioni possono ancora compiere passi importanti nell’affrontare il cambiamento climatico non più come emergenza episodica ma come minaccia costante e strutturale, investendo sulla prevenzione e sulla tecnologia degli ambienti che ospitano i lavoratori, anche i cittadini comuni possono imprimere una sterzata allo stato delle cose.
Come ha ricordato nella sua recente intervista al Corriere della Sera il climatologo Dino Zardi, «molti ancora faticano a collegare i disagi che ogni estate si ritrovano a fronteggiare con la questione più generale del cambiamento climatico». Certo, lo stesso Zardi ricorda come le guerre, «con le bombe che, oltre a distruggere ed uccidere, producono particolati, polveri e solfati che hanno un’influenza diretta sull’atmosfera», e i protagonisti della geopolitica, che perlopiù «non rispettano gli accordi di Parigi sulle emissioni», non aiutino a mitigare i fenomeni. Ma il primo passo è la consapevolezza. Non soltanto delle misure di contrasto al caldo estremo. Ma anche del perché ci ritroviamo a doverle emanare e rispettare con sempre maggiore frequenza.