Quanto costerà all’Italia il conflitto tra Iran e Israele?
Il conflitto tra Iran e Israele, pur non avendo finora effetti diretti sull’economia italiana, inizia a generare segnali di allarme. A preoccupare sono l’aumento dei prezzi dell’energia e l’incertezza geopolitica, che incidono su mercati, imprese e investimenti. Le conseguenze potrebbero essere gravi se la crisi si prolungasse, con impatti pesanti soprattutto sulle PMI italiane.
Tempo di lettura: 4 minuti

La buona notizia: per ora, il conflitto tra Iran e Israele, e tra Usa e Iran non ha avuto impatti diretti sull’economia italiana. Niente blocchi agli scambi, niente embargo, nessuna crisi energetica conclamata. La cattiva notizia: qualche effetto inizia già a vedersi. E se la crisi dovesse durare, le conseguenze – anche pesanti – potrebbero non tardare ad arrivare. Non tanto per via dei rapporti diretti tra l’Italia e i Paesi coinvolti, quanto per tutto ciò che gravita attorno.
Lo spiega chiaramente Roberto Cellini, direttore del Dipartimento di Economia e Impresa dell’Università di Catania e presidente della Società Italiana di Economia: «Il commercio italiano con Iran e Israele è relativamente modesto, quindi l’impatto diretto è limitato. Tuttavia, la regione è nevralgica per gli approvvigionamenti globali e per le catene del valore. La stabilità geopolitica internazionale rimane dunque un punto fondamentale».
Energia, volatilità, incertezza: ci risiamo
La prima voce da tenere d’occhio è – prevedibilmente – il prezzo dell’energia. Petrolio e gas sono tra i primi mercati a reagire alle tensioni geopolitiche. Dopo l’attacco israeliano in Iran del 12 giugno, il gas naturale alla Borsa di Amsterdam è salito del 4%, mentre il petrolio (Brent) ha registrato un balzo del 7,37%, toccando i 74,47 dollari al barile. Il greggio WTI è cresciuto dell’8%.
In un Paese come l’Italia, che importa oltre il 90% del gas naturale e il 95% del petrolio consumati, anche una variazione moderata può tradursi in un incremento significativo dei costi di produzione e delle bollette. «Nonostante nel nostro Paese sul piano di approvvigionamento energetico sia in atto una certa diversificazione», osserva Cellini, «i conflitti che coinvolgono il Medio Oriente incidono sull’approvvigionamento di materie prime. E questo si traduce in una incertezza generale e un aumento dei costi».
Il possibile impatto sulle imprese
Ma quanto potrebbe costare alle imprese italiane questa crisi? Secondo un’analisi del Centro studi di Unimpresa, se le tensioni dovessero protrarsi e i prezzi dell’energia restassero stabili ai livelli attuali, il costo aggiuntivo per le imprese italiane potrebbe superare i 10,5 miliardi di euro solo sul fronte del gas, con altri 8,7 miliardi di rincari legati al petrolio. Di questi, oltre 11 miliardi ricadrebbero direttamente sulle piccole e medie imprese, che rappresentano il 60% del fabbisogno energetico industriale.
Sempre secondo Unimpresa, i settori più vulnerabili sono: Trasporti e logistica, dove l’energia incide per oltre il 30% sui costi; Industria pesante e manifatturiera (acciaio, ceramica, vetro), con incrementi potenziali fino al 20%; Agroalimentare, fortemente dipendente dal gas e dai carburanti; Chimica e plastica, colpite dall’effetto moltiplicativo del rincaro del petrolio.
Le preoccupazioni degli italiani tra inflazione e volatilità
Il timore di molti è che possa ripresentarsi lo spettro dell’inflazione, che sembrava sotto controllo gli interventi delle Banche Centrali negli ultimi due anni. «Naturalmente – spiega ancora Cellini – è difficile fare previsioni, ma personalmente sono abbastanza ottimista: se la crisi si risolvesse in tempi rapidi, non dovrebbero esserci conseguenze rilevanti sul piano inflattivo». Diverso è invece l’impatto sulla volatilità. «Un esempio lampante è il prezzo del petrolio, che fino a poco tempo era basso e ora sta risalendo rapidamente. La volatilità dei mercati – che in questo periodo è già molto accentuata, anche in relazione a comportamenti politici imprevedibili come quelli del presidente USA Trump – alimenta l’incertezza e riduce la volontà di investire».
Come modulare gli investimenti?
«Di fronte a questo, per i risparmiatori, il consiglio rimane sempre quello di mantenere una buona diversificazione nei propri investimenti e non farsi prendere dall’emotività». Insomma: niente panico, ma nemmeno troppa leggerezza. La crisi tra Iran e Israele, almeno per ora, non è paragonabile – per l’Italia – a quella scatenata dall’invasione russa dell’Ucraina. Però è un campanello d’allarme. Perché ci ricorda che in un mondo interconnesso, le guerre non sono mai davvero “locali”. Possono far aumentare il prezzo del gas in Italia anche se i missili cadono a migliaia di chilometri. Possono bloccare una nave nello stretto di Hormuz e far saltare un’intera catena di approvvigionamento in Europa. Possono far cambiare rotta alla politica economica della BCE. E, più semplicemente, possono farci ripensare l’ennesimo investimento o rinunciare all’ennesima spesa.
Ecco perché la geopolitica ci riguarda, anche se a volte non ci sembra. Ecco perché – come dice Cellini – «non bisogna mai sottovalutare il potere dell’incertezza. Perché se è vero che la guerra, per fortuna, non è arrivata fin qui, i suoi effetti rischiano comunque di farsi sentire. Silenziosamente, ma in profondità».