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Quanto dobbiamo preoccuparci per l’inflazione 

L’inflazione sembra averci dato tregua, ma il carrello della spesa continua a correre, e le associazioni dei consumatori stimano che ogni famiglia spenderà quest’anno 527 euro in più. Intanto, uno studio stima che nel 2050 il costo di una tazzina di caffè potrebbe superare i 4 euro. Perché comprare beni di prima necessità è sempre più costoso? E dobbiamo davvero preoccuparci per il futuro? Lo abbiamo chiesto all’economista Luciano Canova. Ecco cosa ci ha detto.

Tempo di lettura: 7 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

Inflazione
Foto di Kenny Eliason

La buona notizia: a maggio l’inflazione è scesa dello 0,1% su base mensile e aumentata dell’1,6% su base annua, percentuale decisamente accettabile. La cattiva: a salire è però il “carrello della spesa”: sui beni di prima necessità l’indice ha segnato +2,7%. Federconsumatori calcola che ogni famiglia spenderà 527 euro a famiglia, e il peso dell’aumento si farà sentire soprattutto sui ceti medio bassi, stremati da tre anni di caro vita, e sui cui bilanci pesano soprattutto i beni essenziali. 

Ma nel tempo, lo sappiamo, i prezzi dei beni sono destinati a salire. Secondo una proiezione di Moneyfarm, elaborata seguendo le serie storiche dell’Istat, se l’inflazione segue il trend degli ultimi 25 anni, nel 2050 i prezzi potrebbero essere cresciuti del 64%. Se invece si prendesse come riferimento il dato medio dal 1948 a oggi, la percentuale salirebbe al 255%, il costo di un caffè arriverebbe a 4,26 euro. 

Non è però il dato in sé a dover destare preoccupazione, secondo Luciano Canova, economista e divulgatore scientifico. L’inflazione in quanto tale, specie se in certi range, non dovrebbe fare paura. «I prezzi aumentano nel tempo per un effetto naturale della crescita economica e della domanda. Sale la domanda, salgono i consumi, salgono i redditi. Se uno confronta il prezzo di un pacchetto di figurine Panini nel 1960 e oggi, si accorge appunto che c’è una variazione assai significativa. Il tema vero è dunque il potere d’acquisto: i redditi devono aumentare di pari passo o di più dei prezzi delle cose. E qui si entra nel grande tema tabù dell’economia italiana: la produttività». 

Inflazione buona e cattiva

Non solo. Come spiega Canova, così come esiste un colesterolo buono, anche l’inflazione può essere positiva, ed essere indice di un buono stato di salute dell’economia. «L’inflazione aumenta perché aumenta la domanda delle cose: le persone sono più ricche e si possono permettere di acquistare di più. Questo porta a un’espansione del mercato dei beni, e a un aumento dei prezzi connesso a queste migliorate prospettive. In sé è l’olio che fa girare il motore dell’economia. L’importante è, come con tutti i motori, che i prezzi non salgano troppo e che il motore non si surriscaldi».

Qual è la soglia di questo tasso di inflazione ideale? «Le Banche centrali adottano il target del 2%, ma è un valore indicativo, da monitorare anche in funzione di ciò che succede nel sistema, tant’è che negli ultimi anni molte banche centrali stanno parlando di nuovi modelli di inflation targeting». Esiste però anche un’inflazione più “cattiva”, o da monitorare con più attenzione, quella che Canova definisce “da costi”, e che abbiamo subito negli ultimi anni: «I prezzi aumentano perché aumenta il costo di fare le cose. Sono i cosiddetti shock all’offerta, come quello che ha portato il prezzo dell’energia a schizzare in su dopo l’invasione russa dell’Ucraina».

«L’energia è una voce di costo importante per tante produzioni, di conseguenza quell’aumento di costo si riflette a valle, e soprattutto sulle attese di consumatori e imprese: se mi aspetto che i prezzi aumentino e restino alti per tanto, rivedo la mia pianificazione (di consumo o di produzione) in funzione di quelle aspettative, incidendo così sull’aumento dei prezzi stessi. L’inflazione è una bestia da domare con saggezza e continui monitoraggi, proprio come le analisi del sangue per tenere sotto controllo il colesterolo», conclude l’esperto.

Il carrello della spesa: perché pesa di più

C’è però un altro tema: oggi il prezzo dei beni di prima necessità segna indici di crescita ben più alti degli altri beni, pesando sui ceti medio bassi. Un fattore dovuto alla maggiore volatilità dei prezzi di questi beni, che sono soggetti a oscillazioni più marcate. «Il tasso di inflazione aggregata, l’Indice dei prezzi al consumo, comprende anche i prezzi tipicamente più volatili, come energia e alimentari. Dall’altra parte, viene misurato anche il tasso di inflazione core, depurato da questi prezzi. Per questo è corretto sottolineare la differenza, e per questo i prezzi degli alimentari, soggetti a fluttuazioni più importanti, aumentano sensibilmente di più di altri».

Non ultimo, aggiunge Canova, c’è il fattore psicologico, che incide in maniera significativa sulla nostra percezione: «Banalmente, andiamo molto più spesso al supermercato e dunque la frequenza con cui vediamo quei prezzi è maggiore. Beni il cui prezzo si riduce nel tempo, come i tecnologici, soprattutto, entrano più difficilmente nel nostro immaginario, anche perché vengono acquistati più sporadicamente».

Perché l’inflazione percepita è sempre maggiore di quella reale

È lo stesso motivo per cui l’inflazione percepita è sempre più alta di quella reale, gli aumenti ci sembrano ben più marcati rispetto a quelli registrati dall’Istat. Di recente un’indagine di Noto Sondaggi, ha rilevato che ad aprile 2025 l’incremento dei prezzi avvertito dai consumatori è stato del 9,9%, contro un’inflazione annua dell’1,9%. «Qui entrano in gioco diversi elementi: in primis la frequenza con cui andiamo in posti come il supermercato, ci porta a prestare più attenzione ai prezzi dei beni alimentari. Inoltre, è inevitabile accorgersi dei prezzi che salgono, ma d’altra parte si presta meno attenzione quando i prezzi si riducono».

«Infine, un aspetto che sottolineo sempre alle classi in cui insegno: il cosiddetto IPC – l’Indice Prezzi al Consumo che porta a calcolare tasso di inflazione aggregata – è indicativo del consumatore rappresentativo. Ma la verità, è che nessuno lo è! Pur rappresentando al meglio una vasta popolazione, ognuno di noi, singolarmente, ha pattern di consumo diversi. Per calcolare il nostro “tasso di inflazione personale”, consiglio sempre di prendere uno scontrino della spesa, sottolineare i beni che normalmente entrano nel carrello, registrare i prezzi, e confrontare quei prezzi con uno scontrino dopo 3 o 6 mesi: quello è un po’ il “nostro tasso di inflazione personale”».

Quando al caro vita si aggiunge il caro mutui, la politica della Bce

Le difficoltà degli italiani degli ultimi anni sono però scaturite anche dalla politica della Banche centrale europea, che per contenere i prezzi ha inizialmente aumentato il costo del denaro, ora fortunatamente in discesa. In tanti si sono chiesti se non ci fossero soluzioni alternative, ma la risposta dell’economista è definitiva: «Le banche centrali hanno fatto quello per cui hanno il mandato ad operare, cioè decidere la politica monetaria, e la leva tradizionale con cui agire è il tasso di interesse. Quando i prezzi aumentano – anche, ahimè, quando lo fanno perché c’è stato uno di quelli che prima abbiamo definito come shock all’offerta -, le banche centrali aumentano il costo del denaro. Sono consapevoli che i potenziali costi sono elevanti, aumentando il rischio di una recessione e di un eccessivo stop alla domanda – sia di beni, sia di investimenti».

L’analogia dell’automobile

Per spiegare il concetto, Canova usa l’analogia dell’automobile: «Se il motore si surriscalda, la banca centrale frena e ahimè può essere che, in curva, ciò abbia l’effetto di una sterzata eccessiva. Il punto è che l’istituto cerca di contenere l’aumento dei prezzi all’interno di un limite (il 2% famoso) considerato come riferimento, per agire su quelle aspettative che abbiamo visto essere cruciali. Lo scopo è indurre gli agenti economici (consumatori e imprese) a convincersi che la spirale di aumento dei prezzi è scongiurata».

«Non è facile il lavoro dei banchieri, soprattutto quando qualche governante o politico si mette ad annunciare dazi sconsiderati che hanno una probabilità alta di avviare una spirale di aumento dei prezzi e di creare incertezza. Io penso che dobbiamo imparare a rispettare il lavoro delle banche centrali, tanto più che negli ultimi anni sono state preziose nel limitare i danni di Covid, garantendo liquidità nel sistema quando la macchina era ferma, e bloccando la spirale inflattiva alle prime avvisaglie dopo l’invasione russa dell’Ucraina».

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