L’app
di Rame

Rituali di Benessere Finanziario: cosa abbiamo scoperto parlando di soldi in Italia nel 2025

Durante quest’anno, il tour dei Rituali di Benessere Finanziario, realizzato in collaborazione con Alleanza Assicurazioni e la partecipazione di Adecco, ci ha portato in 14 città italiane, da Trento fino a Catania. Abbiamo ascoltato centinaia di persone raccontare paure, desideri, scelte e sogni legati ai soldi. Ecco cosa abbiamo imparato.

Tempo di lettura: 9 minuti

Rituali di Benessere Finanziario

Immagina una sala piena: centinaia di persone che non si conoscono, sedute una accanto allaltra, e che per la prima volta parlano apertamente di soldi. Raccontano paure, desideri, errori, conquiste. E in quel mormorio quasi rivoluzionario succede qualcosa: il denaro smette di essere un tabù e diventa un linguaggio comune, un modo per capire chi siamo davvero.

È quello che è successo quest’anno nei Rituali di Benessere Finanziario, un tour di Rame realizzato in collaborazione con Alleanza Assicurazioni e la partecipazione di Adecco, che nel 2025, alla sua seconda stagione, ha attraversato l’Italia in un viaggio di 14 tappe con un unico obiettivo: cambiare per sempre il nostro modo di pensare ai soldi.

Il rapporto con il denaro: identità, famiglia, possibilità e desideri

Tappa dopo tappa, abbiamo visto nascere un modo diverso di abitare la propria relazione con il denaro. Un lavoro che non riguarda solo i numeri, ma ciò che quei numeri rappresentano, perché il nostro conto economico è sempre più di un saldo: è la somma della famiglia che ci ha cresciuto, delle possibilità che abbiamo – o non abbiamo – avuto, dei compromessi che abbiamo accettato, del nostro carattere e dei nostri desideri.

📌 In breve: cosa abbiamo scoperto parlando di soldi in Italia (Rituali 2025)

  1. Parlare di soldi rivela identità, possibilità e limiti sociali.

  2. Il prezzo del genere cambia tra Nord e Sud, ma riguarda tutti.

  3. La precarietà economica e culturale pesa sulle scelte di vita.

  4. Gli italiani non investono per paura e scarsa conoscenza, non per mancanza di denaro.

  5. I desideri profondi, più che i bisogni essenziali, definiscono il nostro benessere.

 

Il prezzo che paghiamo per esser chi siamo: le differenze tra Nord e Sud

Proprio dalle voci del nostro pubblico sono arrivate le riflessioni più potenti. In ogni città abbiamo posto una domanda semplice ma capace di aprire crepe profonde: «Qual è il prezzo che hai pagato per appartenere al tuo genere?». Una domanda che ha ribaltato prospettive e fatto emergere il punto in cui identità, aspettative sociali e denaro si intrecciano e diventano esperienza quotidiana.

Al Nord, da Torino a Trento, da Trieste fino a Milano, è emerso con forza il tema della performance: donne che devono dimostrare di più degli uomini per ottenere lo stesso riconoscimento, disparità salariali normalizzate e la fatica del conciliare carriera e vita privata. Qui il prezzo del genere si paga in competenza da esibire e in formazione su cui investire costantemente per essere prese sul serio. Al Sud, da Catania a Pescara, il peso si sposta sulla dimensione familiare. Le risposte parlano di sogni sacrificati per sostenere la famiglia e di percorsi di studio o lavoro abbandonati. Una pressione che incide sulla libertà più che sulla carriera, riportando tutto allalveo del dovere” femminile. Ma anche gli uomini pagano il loro prezzo, spesso fatto di aspettative costanti: performare, provvedere alla famiglia, mantenere i figli, guadagnare.

Le testimonianze raccolte in questo viaggio non parlano solo di chi le ha condivise ma raccontano lItalia intera, tracciando una geografia emotiva di un Paese dove le diseguaglianze continuano a definire spazi e opportunità. Ma è anche un Paese in cui cresce la consapevolezza e il desiderio di cambiamento.

Le voci delle nostre ospiti: lavoro, precarietà e libertà economica

Dentro questa cornice, le storie delle nostre ospiti hanno aggiunto nuove angolature. Le loro parole non solo hanno confermato ciò che il pubblico ha condiviso, ma lo hanno amplificato. Tra loro, spicca quella di Francesca Florio, avvocata penalista con un grosso seguito sui social, che ha scelto consapevolmente di rinunciare alla ricchezza facile che questi le avrebbero garantito: «Se decidessi di fare linfluencer potrei vivere di sponsorizzazioni e guadagnare molto di più… la mia è una scelta antieconomica, ma pur sempre la mia scelta». Una scelta radicata in una consapevolezza rara: sapere quanti soldi servono davvero per una buona vita. Perché la libertà non nasce sempre dallabbondanza: spesso nasce dal limite che scegliamo e dalla capacità di riconoscere ciò che è abbastanza.

Ci sono poi le conversazioni che ci hanno portato nei territori più bui della precarietà, a partire da quella artistica. Arianna Porcelli Safonov lo ha detto con chiarezza:

«Il problema dellarte è il fatto di non essere più libera. Non c’è denaro che possa restituire la libertà di espressione a determinati contesti dove larte cerca ancora di fare il proprio».

E anche quando è il denaro a mancare, il meccanismo non cambia: lartista resta fragile, schiacciato dalla narrativa dellart pour lart, quella secondo cui parlare di soldi è «volgare» e «la qualità del lavoro dovrebbe prescindere dalla retribuzione», come racconta Alessandra Faiella.

Una precarietà strutturale, che costringe a una forma di realismo. «Tra le stabilità economica e la fama, sceglierei la stabilità», confessa Nicole Rossi. Non per mancanza di ambizione, ma per un desiderio più semplice e universale:

«Non cerco larricchimento illimitato, ma la possibilità di godere delle cose semplici».

Il costo di essere donna: riconoscimento, carriera e vita privata

Questo conversazioni ci hanno permesso di mettere a fuoco anche la condizione delle donne dentro un sistema che, nonostante i passi fatti, resta ancora profondamente patriarcale. Lo racconta Anna Gregorio, astrofisica dellEsa coinvolta in missioni spaziali internazionali, eppure esclusa dal meritato riconoscimento economico e professionale: «Sono passati tutti i miei colleghi davanti a me, io proprio in coda ultima». Una frase che non parla di talento o impegno, quelli non sono mai mancati, ma di come il valore femminile continui a essere sistematicamente sottostimato.

Lo conferma anche Vera Gheno, che svela come le dinamiche economiche si insinuino persino nello spazio più privato delle relazioni.

«Un uomo disoccupato e scontento del suo percorso lavorativo vive il mio sostegno come unonta… con conseguenze pratiche anche nella relazione, perfino nella sessualità».

La sua esperienza mostra quanto lindipendenza economica femminile possa ancora essere percepita come una minaccia. Non è un caso che la stabilità sentimentale, racconta, sia arrivata solo con qualcuno «molto felice del suo percorso professionale».

Perché serve parlare di educazione finanziaria: cosa dice l’Edufin Index 2025

Secondo l’Osservatorio Edufin Index, in Italia, il punteggio medio di alfabetizzazione finanziaria e assicurativa è 56 su 100, 4 punti al di sotto della sufficienza. E il gender gap è netto: 59 punti per gli uomini e 54 per le donne. «L’Edufin Index 2025 ci racconta una verità importante: l’Italia è ancora sotto la soglia di sufficienza. Nonostante i progressi, il divario tra Nord e Sud e il gender gap resta evidente. Ma questi numeri non devono scoraggiarci: devono spronarci. L’educazione finanziaria non è un lusso, è una competenza vitale, che incide sulla libertà, sulla sicurezza e sul futuro di ogni persona. Significa saper affrontare le sfide della vita con consapevolezza, proteggere i propri progetti e quelli dei propri cari», dice Claudia Ghinfanti, responsabile Marketing e Comunicazione di Alleanza Assicurazioni.

«Con il nostro tour vogliamo trasformare i dati in azioni, le statistiche in storie di cambiamento. Vogliamo essere accanto alle persone, ovunque, per dare loro strumenti concreti e fiducia. Perché un Paese più informato è un Paese più forte, e noi crediamo che la cultura finanziaria sia la chiave per costruire un domani più equo e sostenibile».

Per questo, il viaggio dei Rituali di Benessere Finanziario è diventato anche uno spazio dove denudarsi finanziariamente, un luogo in cui chi saliva sul palco, o semplicemente ascoltava, trovava il coraggio di raccontarsi senza filtri, rendendo visibile ciò che di solito rimane nascosto.

Il tabù degli investimenti: perché gli italiani non investono

In questo viaggio abbiamo anche toccato anche un tabù dentro il tabù: quello degli investimenti. Secondo il rapporto Blackrock il 71% degli italiani non investe, e se andiamo a fare una spaccatura di genere, le donne investono il 29% in meno degli uomini. Eppure, per noi di Rame, investire è prima di tutto un atto immaginativo: una sorta di macchina del tempo che prende i soldi di cui non abbiamo bisogno oggi e li sposta nel futuro. Un futuro in cui vogliamo realizzare qualcosa: far studiare i figli, anticipare la pensione, comprare una casa al mare o semplicemente garantirci una vecchiaia serena.

Durante il tour abbiamo provato a capire che cosa trattenga davvero le persone dal fare questo passo. Le risposte raccolte in città diverse ci raccontano una realtà sorprendentemente uniforme: la barriera principale non è la mancanza di denaro, ma la mancanza di conoscenza. A Bari e Venezia quasi la metà delle persone dichiara di non capirne abbastanza”, mentre a Firenze questa incertezza si mescola a una paura più forte che altrove. Milano fa storia a sé, con una partecipazione agli investimenti molto più alta, ma anche qui la difficoltà non sparisce: manca liquidità.

Eppure, ovunque andiamo, questi dati ci mostrano che lasciare i soldi fermi sul conto non è mai una scelta consapevole, bensì è il retaggio di una cultura finanziaria piuttosto fragile.

Scoprire i propri desideri: ciò che davvero migliora la vita

La rivelazione più grande di questo tour è arrivata quando abbiamo iniziato a guardarci dentro e abbiamo chiesto al nostro pubblico quali fossero i loro bisogni più autentici: quelli che spesso non consideriamo veri bisogni”, ma che rivelano chi siamo davvero e cosa ci rende felici.

Spesso tendiamo a pensare che i bisogni siano solo le cose essenziali, quelle senza le quali non sopravvivremmo, e che i desideri siano tutto il resto. Ma non è così semplice: ci sono desideri che potremmo non definire mai bisogni, perché possiamo tranquillamente vivere senza di loro, eppure si tratta di esperienze e scelte che appartengono alla nostra identità più profonda e ci permettono di essere davvero noi stessi.

Al Nord, da Trento a Genova, il bisogno dominante riguardava la cura di sé, la meditazione, lo sport, il viaggio, il tempo per coltivare quella parte interiore che il ritmo della performance tende a soffocare. Al Sud, invece, il bisogno ha assunto unaltra sfumatura: non era fuga dalla pressione, ma costruzione di autonomia. Sono emersi desideri di studiare, emanciparsi, sostenere la propria famiglia. Bisogni che parlano di legami e di un benessere che migliora la vita propria e di chi si ama.

Eppure, dentro questa diversità, c’è un punto che unisce tutte le città: il tempo. Perché quando comprendiamo che ciò che davvero migliora la nostra vita spesso non ha un valore economico, il denaro smette di essere un fine e torna a essere lo strumento per decidere come vogliamo vivere.

Condividi

Rame è sostenuta da

Sostenitori