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di Rame

Meno lavoro, più famiglia: perché il modello delle 8 ore non funziona più

La Grecia allunga l’orario di lavoro, portando la giornata fino a 13 ore con gli straordinari, la proposta di legge italiana sulla riduzione del monte ore settimanali è arenata in Parlamento. Sempre più persone, però, chiedono di conciliare lavoro e famiglia. Il rischio, se non lo si fa, è che le donne continuino a lasciare i loro posto di lavoro.

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Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

modello 8 ore lavoro
Foto di Selcuk Sarikoz

C’è una notizia che ha fatto il giro d’Europa nei giorni scorsi, e che ha portato in piazza ad Atene decine di migliaia di persone: il Parlamento greco ha varato una legge che prevede la possibilità di lavorare fino a 13 ore al giorno, estendendo le ore di straordinario. Alla giornata lavorativa di 8 ore – in alcuni casi 9 – ci sarà la possibilità di aggiungere fino a 5 o 4 ore di straordinario, una in più rispetto al passato.

Sembrano tante, tantissime, ma anche la legge italiana permette attualmente fino a un massimo  di 250 ore di lavoro straordinario all’anno, limite che supera di gran lunga quello greco, fermo a un massimo di 37 giornate da 13 ore (totale, 185 ore extra). Nel 2023, fonte Eurostat, noi italiani siamo rimasti in ufficio in media per 36,1 ore a settimana, in linea con la media europea, ma comunque ben 4 ore in più dei colleghi olandesi (32,2 ore), austriaci (33,6) tedeschi (34 ore), belgi e scandinavi.

Gli straordinari, una consuetudine per 6 lavoratori su dieci

Non è solo questione di contratti lavorativi. Che si tratti di full o part time, fermarsi alla scrivania oltre l’orario, nel nostro Paese, è per molti una consuetudine. Secondo un rapporto di Inapp plus, nel 2022 il 60% degli italiani faceva regolarmente ore di straordinario, e di questi il 15,6% non veniva pagato e chi ha qualche anno in più ricorderà che nei colloqui di lavoro, specie nelle piccole aziende, non era insolito fino a qualche anno fa sentirsi chiedere una certa “disponibilità” a trattenersi, se necessario.

Sulla carta era un chiedere elasticità in caso di emergenze, in alcuni casi sbrigare il lavoro oltre l’orario standard era considerata la norma, consuetudine figlia di un’eredità difficile da sradicare, che vede di buon occhio il dipendente capace di mettere la dedizione al lavoro davanti a tutto. E invece da tutte le parti, oggi, i lavoratori chiedono altro, più tempo per la famiglia, per coltivare relazioni, affetti e tempo di vita.

Una proposta di legge firmata dai principali partiti dell’Opposizione di governo si è fatta portavoce di queste istanze, e prevede la possibilità di accorciare gli orari di lavoro fino a 8 ore settimanali, ma si è arenata in Parlamento.

Lavorare meno, tutti, per la famiglia

La politica prende tempo, ma l’esigenza è reale e tangibile. La scorsa settimana Rame ha pubblicato sui suoi social un post sulla proposta contenuta nella Legge di Bilancio 2026, che incentiverebbe il part time per i genitori con tre o più figli. Abbiamo sottolineato il fatto che la misura rischia di mettere in una situazione ancora più sbilanciata le madri lavoratrici, che già oggi scelgono il part time il 37,3% dei casi, contro il 4,8% dei padri, con effetti negativi su retribuzioni, indipendenza finanziaria e pensioni. Eppure, tra i più di 400 commenti è emerso chiaro e forte il grido di dolore dei genitori a tempo pieno, che non riescono a conciliare vita privata e lavoro.

Molte mamme lavoratrici hanno dichiarato di desiderare tempi di lavoro più corti per poter stare più vicini ai propri bambini, e non delegare ad altri assistenza ed educazione. «Ci sono mamme lavoratrici che chiedono il part time perché vogliono andare a prendere i figli a scuola, alle recite e portarli a nuoto», scrive Amarenita. Isa aggiunge: «Pur facendo un lavoro che amo io sceglierei il part time altre 1000 volte». Secondo Iris stare vicini ai figli oggi è possibile solo con un part time per uno dei genitori e anche Val ammette che lei e suo marito sarebbero «felicissimi di avere entrambi un part time di 6 ore al giorno per poter stare con nostro figlio tutti i pomeriggi e vederlo crescere».

“Ritoccare gli orari di lavoro”

È però Angelo a riassumere quella che forse emerge come la vera esigenza: non part time retribuito con metà dello stipendio, a uno solo dei genitori, ma più tempo per entrambi: «La vera riforma è toccare gli orari di lavoro: un genitore deve avere diritto di lavorare quando i propri figli sono a scuola». Le giornate lavorative in Italia, tra spostamenti e fuori programma  rischiano di allungarsi a più di 10 ore, il lavoro non è sempre il lavoro dei sogni, e la vita offre molti altri modi per realizzarsi come persona. La maternità è una di questa, sebbene abbia una scadenza: i figli crescono e nel frattempo bene che tu abbia trovato forme di realizzazione alternative.

Lo smart working, che permette di tagliare spostamenti e tempi morti, è parso per un po’ di tempo la chiave giusta per trovare un compromesso degno di tale nome, è cresciuto e piace, tanto che l’Osservatorio del Politecnico di Milano prevede che i lavoratori agili saranno 3,75 milioni entro la fine di quest’anno. Mentre però si registra una crescita nelle grandi aziende, dove sono quasi 2 milioni i dipendenti coinvolti, nelle piccole medie imprese gli agili scendono da 570 mila a 520 mila, una contrazione di quasi il 10%.

Chi paga il conto: le mamme

Cosa rischiamo, allora? Una risposta la suggerisce l’Economist, che racconta come negli Usa, per la prima volta in 80 anni, più di 600.000 donne abbiano lasciato il lavoro nell’ultimo anno, mentre il divario di partecipazione tra uomini e donne ha registrato il suo maggiore aumento dagli anni ’50. Il report del network di consulenza e servizi alle imprese Kpmg attribuisce parte del fenomeno alle difficoltà delle giovani madri a conciliare lavoro fuori casa e lavoro di cura. Le ragioni? La crisi dell’assistenza all’infanzia – nel 2023 i fondi ad hoc stanziati negli Stati Uniti si sono esauriti –  l’inflazione, la crisi dello smart working.

Questo Kpmg, citato dal Corriere della sera: «Per i genitori con figli piccoli, il passaggio da zero giorni in ufficio a uno, due o tre giorni sconvolge gli accordi di assistenza esistenti. Di fronte a questi cambiamenti improvvisi, uno dei genitori, in modo sproporzionato la madre, riduce l’orario di lavoro o abbandona completamente la forza lavoro. Infine, i manager poco collaborativi e le culture aziendali rendono più difficile per alcune donne rimanere nel mondo del lavoro». Le donne, appunto, in perenne equilibrio tra orari impossibili, lavoro di cura, spese extra alle stelle e retribuzioni più basse.

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