Spese, mutui e pregiudizi: quanto costa davvero la singolitudine
I dati ci raccontano che sempre più persone vivono da sole, eppure le strutture economiche, sociali e perfino il linguaggio continuano a penalizzarle. È di questo paradosso che parla Gabriella Grasso nel suo libro “Smettetela di dirci che non siamo felici”, un saggio che smonta l’idea che la felicità coincida con la coppia e che invita a guardare la singolitudine non come una mancanza, ma come una forma piena di esistenza — consapevole, autonoma e, soprattutto, legittima.
Tempo di lettura: 6 minuti
di Annie Francisca
Autrice specializzata sui temi di sostenibilità, esteri e diseguaglianze sociali.
«Andarsene di casa prima dei trent’anni, se sei solo, non è un’impresa ardua: è impossibile. Mi preoccupa che siamo diventati più individualisti, ma che la società non abbia ancora inglobato questa realtà. Così finiamo per pagare ancora un costo da coppia, pur rivendicando il diritto di stare da soli». Così ci racconta Nicole Rossi ai microfoni di Rame, mostrandoci un paradosso sempre più evidente: in una società sempre più individualista ma ancora costruita a misura di coppia, scegliere — o semplicemente essere — singoli resta un atto di resistenza. Eppure, i numeri non fanno altro che mostrarci una grossa contraddizione: sono in aumento le persone che vivono da sole, ma le strutture economiche, sociali e persino linguistiche continuano a penalizzarle.
È di questo che parla Gabriella Grasso nel suo libro “Smettetela di dirci che non siamo felici” – Enrico Damiani Editore -, un’indagine sulle donne senza vincoli che intreccia dati economici, riflessioni femministe e storie di vita. Un saggio che smonta l’idea che la felicità coincida con la coppia e che invita a guardare la singolitudine non come una mancanza, ma come una forma piena di esistenza — consapevole, autonoma e, soprattutto, legittima.
Una rivoluzione silenziosa
Fino a pochi decenni fa, il sistema patriarcale non lasciava alternative: l’unione stabile era vista come l’unica forma di realizzazione accettabile. Ad oggi, invece, la situazione mostra numeri diversi: in Gran Bretagna le famiglie unipersonali sono il 30%, in Svizzera il 37%, in Germania il 41%, in Spagna il 28%. In Italia secondo l’Istat, siamo al 36%, ovvero nove milioni e mezzo di persone che vivono da sole e che diventeranno undici milioni nel 2043, quasi il 43% delle famiglie. E secondo proiezioni delle Nazioni Unite, entro il 2050 globalmente la percentuale arriverà al 35%. Anche il numero dei matrimoni continua a calare, nel 2023 sono stati 184.207 – il 2,6% in meno rispetto all’anno precedente.
«Secondo il sociologo israeliano Elyakim Kislev, il cambiamento che stiamo vivendo nasce soprattutto dall’emancipazione femminile. Nel corso del Novecento le donne si sono rese autonome dal punto di vista economico, hanno ampliato le proprie prospettive di carriera e posticipato la maternità: di conseguenza, la necessità di sposarsi o vivere in coppia è diventata meno urgente», spiega l’autrice. «Poi c’è l’effetto dell’urbanizzazione: vivere in città ha mescolato persone e stili di vita diversi, favorendo l’abbandono dei valori tradizionali. E infine, Kislev lega la trasformazione alla struttura economica capitalistica, che alimenta l’individualismo e la ricerca della realizzazione personale», conclude Grasso.
Il costo di essere singoli
Aumenta il numero di persone singole e diminuiscono i matrimoni, eppure la società resta disegnata sulle famiglie e dal punto di vista economico, le diseguaglianze sono evidenti. A prendere la parola nel testo di Gabriella Grasso è la giornalista del Sole 24 Ore Angelica Migliorisi: «Vivere da soli comporta costi significativamente più alti. Secondo un’analisi di Moneyfarm la differenza è di circa 564 euro al mese: nel 2023 un single ha speso in media 1972 euro, mentre ciascun componente di una coppia 1408 euro. Pesano parecchio le spese per la casa e per le utenze: mediamente 345 euro in più per chi vive da solo rispetto a chi vive in coppia e divide i costi dell’affitto, delle bollette, del condominio. Per quanto riguarda l’alimentazione, la spesa mensile è di circa 337 euro per i single e 266 euro a testa per chi è in coppia».
Ad incidere sulla spesa alimentare è soprattutto la scarsità di formati adeguati, dove le confezioni sono minimo per due persone, e le offerte riguardano soprattutto maxi confezioni. «I formati monoporzione hanno un prezzo al chilo maggiore di quelli grandi: secondo una ricerca di Altroconsumo anche del trenta per cento – oltretutto con un’offerta limitata. Prodotti freschi come carne, verdura e latticini presentano date di scadenza ravvicinate, quindi per essere economicamente vantaggiosi richiedono porzioni più grandi. Però se una persona che vive da sola acquista due chili di mozzarella è difficile che riesca a consumarla entro la scadenza; d’altra parte, comprandone meno la pagherà di più. Quindi deve scegliere tra spendere una cifra maggiore oppure risparmiare rischiando lo spreco alimentare», spiega Migliorisi.
Un altro tema cruciale riguarda le soluzioni abitative. «In media l’affitto di un bilocale costa a una persona singola quanto un trilocale a una coppia, ma essendo il carico sostenuto da un solo stipendio l’accesso alla casa può rivelarsi problematico, soprattutto nelle grandi città. Oltretutto spesso i proprietari sono restii a dare un appartamento in affitto a fronte di un unico stipendio. E lo stesso meccanismo rende difficoltoso accedere al credito: molte banche preferiscono concedere un mutuo a una coppia con doppio reddito piuttosto che a un singolo anche con un buon contratto di lavoro. Secondo un rapporto dell’Associazione Bancaria Italiana nel 2023 il 61% dei mutui concessi era intestato a coppie o nuclei familiari e solo il 24% a persone single», conclude la giornalista.
Il prezzo della libertà
La questione del costo della vita travalica l’ambito economico e tocca inevitabilmente anche quello politico: se vivere in coppia diventa una strategia di sopravvivenza più che una scelta affettiva, la libertà individuale ne risulta limitata. Per molti giovani, costretti a muoversi in un mercato del lavoro sempre più precario, andare a convivere è spesso la via più rapida per conquistare un po’ di autonomia e lasciare la casa dei genitori.
E questa tendenza viene confermata, nel volume, anche dall’antropologo Alessia (Leo) Acquistapace: «Le statistiche ci dicono che gli italiani e le italiane, rispetto ai coetanei europei, escono tardi dal nucleo familiare di origine e, quando lo fanno, è per entrare in una convivenza di coppia. In realtà c’è una parte significativa di loro che lascia la famiglia d’origine e abita con dei coinquilini. E queste coabitazioni non riguardano solo il periodo universitario […]. Si tratta di una necessità economica – dato che oggi gli stipendi sono troppo bassi e gli affitti alle stelle, e questo è un problema – ma anche di una scelta: di autonomia dalla relazione di coppia da un lato, di condivisione con gli amici dall’altro».
La discriminazione più sottile
Esiste poi un’altra forma di discriminazione che colpisce le persone singole e cioè quella che si maschera da affetto o preoccupazione e che si manifesta attraverso domande come: “Ma ancora non hai trovato qualcuno?”, oppure “Ma non vuoi che ti presenti qualcuno?”. «Può sembrare un dettaglio, ma in realtà ogni volta che vengono poste queste domande si sottintende che tu sia fuori dalla norma. Chi la fa ti chiede, in sostanza, una spiegazione per la tua condizione esistenziale. È una discriminazione sottile, perché ti instilla il dubbio di star facendo qualcosa di sbagliato nella tua vita, come se la felicità coincidesse automaticamente con lo stare in coppia», spiega l’autrice.
Si tratta dunque di un pregiudizio silenzioso, che si infiltra nel linguaggio, nei rituali sociali e perfino nelle politiche fiscali o abitative. E proprio perché è “gentile”, è più difficile da riconoscere e da combattere. «Non si può più restare ancorati a criteri del passato, perché la società sta cambiando, e non si tratta solo di riconoscere che le persone singole hanno diritto a essere guardate senza pregiudizi, ma di prendere atto che i singoli stanno aumentando enormemente. E questo aumento ci impone un ripensamento profondo delle strutture sociali e di pensiero attraverso cui continuiamo a leggere la realtà», conclude Grasso.