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Quello che devi sapere su previdenza integrativa e fondo pensione

Di fondi pensione e pensione integrativa si parla spessissimo, ma quando dalla teoria si passa ai fatti, sono tante le domande che assalgono i lavoratori. Per esempio: come posso usare a fine carriera le risorse accumulate? E se mi occorre liquidità, prima del tempo, posso interrompere i versamenti, o addirittura prelevare del denaro? Che succede se cambio lavoro, o se voglio cambiare fondo? E soprattutto: quanto devo versare per avere un’integrazione dignitosa? Ecco qui le risposte ai quesiti più comuni.

Tempo di lettura: 11 minuti

Giorgia Nardelli
Giorgia Nardelli

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Giornalista esperta di diritti dei consumatori e finanza personale.

previdenza integrativa e fondo pensione

Come si sceglie un fondo di previdenza complementare? Come si aderisce? E ancora: come può essere utilizzato il “tesoretto” accumulato, nel momento in cui si esce dal mondo del lavoro? Di pensioni, e di pensioni integrative, si parla tantissimo, ma quando si tratta di passare dalla teoria alla pratica sono molte le domande che si pone chi è chiamato a fare una scelta. Qui abbiamo provato a rispondere ai quesiti più comuni con l’aiuto della longevity planner Emanuela Notari, ecco le sue risposte. 

Come funziona il fondo pensione

«Il fondo pensione è un investimento che guarda lontano», premette l’esperta, «da una parte questo ci penalizza, perché quando un beneficio è lontano nel tempo facciamo fatica a visualizzarlo e a realizzare la sua importanza; d’altra parte, però, è un bene, perché la leva del tempo ne potenzia il rendimento». Ma partiamo dal principio: il fondo pensione è essenzialmente uno strumento che consente di versare somme mensili perché vengano investite sui mercati finanziari, così da ottenere a fine carriere un’integrazione della pensione maturata attraverso i contributi previdenziali obbligatori.

Come abbiamo spiegato qui, esistono due tipi di fondi, quelli negoziali, detti anche chiusi, che nascono su iniziativa delle parti sociali (con accordi collettivi nazionali o accordi aziendali), e riguardano in particolar modo i lavoratori dipendenti di un comparto o di un’azienda, e i fondi aperti, istituiti da banche, società di gestione, compagnie assicurative, aperti a tutti. Aderendo a un fondo pensione, generalmente si sceglie di versare un importo periodico per tutta la durata della propria carriera lavorativa. Ai fondi si aggiungono i piani individuali pensionistici (Pip), un’altra forma di previdenza complementare istituita dalle imprese assicurative, che funziona in modo analogo.

Perché il fondo pensione conviene ai dipendenti

Gli esperti sono tutti d’accordo: per i lavoratori dipendenti del settore privato, aderire a un fondo pensione negoziale è la scelta più conveniente. «Se si è così fortunati da essere assunti da un’azienda che ha un fondo di categoria, si può decidere, entro sei mesi dall’assunzione, se lasciare il proprio Tfr in azienda, e dunque riceverlo in un’unica soluzione nel momento in cui si lascerà il lavoro, o versarlo nel fondo pensione negoziale del proprio contratto collettivo nazionale di lavoro, o individuato tramite accordo aziendale», spiega Notari. Già da diversi anni la legge prevede il principio del silenzio assenso, e cioè che, in assenza di una scelta esplicita, il lavoratore venga iscritto tacitamente alla forma pensionistica collettiva.

Nonostante questo, sono ancora in tanti a firmare per il Tfr in azienda. «Per i dipendenti l’opzione del fondo negoziale è più vantaggiosa, per tanti motivi. Il primo è che se il lavoratore decide di versare oltre alla quota del suo Tfr un ulteriore contributo volontario, il datore di lavoro è tenuto per legge a corrispondere un’ulteriore quota, la cui percentuale è stabilita dai singoli contratti collettivi o aziendali, ma che generalmente è almeno di pari importo, e può in alcuni casi persino raddoppiare. A questo si aggiungono grandi benefici fiscali, perché le somme versate sono deducibili fino a un massimo di 5.164,57 euro all’anno, e il montante, nel momento in cui viene riscosso gode di una tassazione agevolata che parte dal 15% e scende con il passare del tempo oltre i 15 anni dall’iscrizione». 

Lavoratori autonomi, come scelgo il fondo pensione

Diverso è il caso dei lavoratori autonomi o dei liberi professionisti. «Per queste categorie di lavoratori, e in genere, per tutti – ricordiamo che un genitore può iscrivere a un fondo pensione anche un figlio appena nato – la scelta può cadere su un fondo aperto o su un piano individuale pensionistico (Pip). Non è una scelta da prendere alla leggera, e io consiglio sempre di rivolgersi a un bravo consulente previdenziale. Vanno valutati diversi aspetti, il primo dei quali riguarda i costi dei diversi prodotti che, a differenza dei fondi chiusi, possono essere più alti, erodendo i rendimenti e facendo la differenza sul capitale finale; per questo vanno sempre confrontati tra di loro».

«Andrebbero inoltre preferiti fondi solidi, affidabili, meglio se con tanti iscritti, e lo stesso vale per le imprese assicurative, se si è orientati verso un pip. Prima di firmare, meglio informarsi da quanti anni il fondo o la compagnia sono sul mercato, se e cosa è stato scritto di loro sui media, quanti sono gli iscritti». 

Quanto rendono i fondi pensione 

Molti si chiedono se davvero i fondi pensione siano più convenienti del Tfr, che a fine carriera restituisce un tesoretto in liquidità da utilizzare come si preferisce. Se consideriamo solo i dati oggettivi, la scelta del fondo, in passato, sul lungo periodo questa è risultata vincente, anche se, naturalmente, non si ha garanzia che si ripetano le stesse performance. «Il denaro confluito nel Tfr viene rivalutato per legge dell’1,5% annuo, percentuale a cui si aggiunge ogni anno il 75% del tasso di inflazione. Se confrontiamo i dati sul rendimento medio degli ultimi dieci anni dei fondi pensione, vediamo che la percentuale si attesta tra il 2-3% nelle linee bilanciate, con picchi del 4-5%, per i comparti azionari», dice Notari.

Cos’è il comparto e come lo scelgo 

Quando aderiamo a un fondo pensione, ci viene chiesto di valutare anche il comparto, elemento da cui, in sostanza, dipende la composizione del paniere di titoli su cui verranno investiti i contributi versati. Esistono quattro comparti, che condizionano il livello di rischio e il rendimento atteso: si va dal garantito, che offre un rendimento minimo e massima sicurezza sul capitale, all’azionario, che punta in larghissima parte su titoli azionari. Nel mezzo ci sono l’obbligazionario e il bilanciato.

«Fino a oggi – spiega la nostra esperta –  il comparto azionario è quello che ha dato i migliori risultati sul lungo periodo. La decisione, però, non va presa senza riflettere, e dipende in maggioranza dall’età. Un giovane che ha davanti a sé 30 o 40 anni di carriera potrà tranquillamente puntare su un comparto di questo tipo, e, se ci basiamo sui risultati passati, potrà verosimilmente ottenere un buon risultato. Se parliamo però di un over 50, potrebbe essere consigliabile un bilanciato o un obbligazionario, meno redditizi ma più sicuri nel medio termine».

«Tra l’altro, tutti dovrebbero fare un check periodico sulla linea di investimento scelta per i proprio fondi, e calibrarla in base ai mutamenti degli scenari e delle proprie esigenze. In linea generale, poi, per chi da giovane punta su una linea azionaria, il consiglio è di rivedere la posizione nell’ultimo periodo, con l’approssimarsi dell’età  pensionistica, e spostarsi su linee più prudenti».   

Cosa fare se cambio idea (o se cambio lavoro)

Cosa fare, invece, se quando si è entrati in azienda si era deciso per lasciare il Tfr in azienda, ma a un certo punto si desidera aderire a un fondo pensione? Spiega Notari: «La scelta è sempre possibile, anzi è consigliata. Si può accedere a un fondo in qualunque momento del percorso, così come si possono incrementare i versamenti. Se, per ipotesi, a inizio carriera un lavoratore ha una retribuzione a stento sufficiente per pagare le spese fisse, può comunque partire versando il solo Tfr e poi , nel tempo, aggiungere una piccola quota mensile, anche 100 euro. L’importante è cominciare il prima possibile, perché grazie al potere dell’interesse composto, questo permette di accumulare a fine carriera un bel gruzzolo, anche con versamenti molto contenuti». Allo stesso modo, continua la longevity planner, se per un periodo si hanno problemi economici, è possibile ridurre i versamenti, benché non sia un’opzione consigliata.

«Non solo. Se si cambia azienda o settore, è possibile trasferire le risorse maturate nel fondo in un altro fondo. Purtroppo non tutti lo fanno e anzi, chi cambia o perde il lavoro troppo spesso interrompe i versamenti. In questo caso le risorse non vanno perdute, ma si vanificano gli sforzi fatti fino a quel momento: è sempre preferibile continuare a versare, anche se piccoli importi. Molti, poi, non sanno che è possibile anche avere due fondi contemporaneamente, anche se, in questo caso la deducibilità non duplica ma resta complessivamente entro  i 5.164,57 euro annui». 

Quanto devo versare al mese per avere una “buona” pensione integrativa 

«Per la previdenza integrativa vale questo assioma: più tardi si comincia, più sale la somma mensile che andrebbe investita. Per avere un’idea possiamo ricorrere alle simulazioni del portale specializzato Smile Economy», continua Notari. Un dipendente di 30 anni con uno stipendio netto di 1.800 euro al mese, che oggi ha una prospettiva di pensione di 1.244 euro al mese, (il 66%), potrà raggiungere l’80% dello stipendio, e ottenere quindi una pensione di 1.440 (circa 200 euro in più) con un versamento mensile di 91 euro, se sceglie un comparto ad alto rischio. Diverso è per un quarantenne con un reddito netto di 2.000 euro , la cui pensione sarà verosimilmente di 1.415 euro. Per arrivare a 1.600 euro mensili, il versamento mensile dovrà ammontare a 178 euro (comparto ad alto rischio ), o a 249 (rischio basso).

Secondo un’altra simulazione, a un dipendente di 30 anni con uno stipendio netto di 1.800 e una pensione stimata di  1.279,8 euro, basterà invece versare il solo Tfr nel suo fondo pensione, scegliendo un comparto ad alto rischio, per raggiungere un assegno pensionistico mensile pari allo stipendio. 

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Quando puoi prendere i soldi dal fondo pensione 

L’obiettivo del fondo è quello di costruirsi un tesoretto per integrare la propria pensione, e togliere risorse significa, per dirla con la Notari, “impedire allo strumenti di fare bene il proprio lavoro”, e anche impoverirsi quando ce ne sarà più bisogno , quando cioè la capacità di procurarsi altro reddito da lavoro sarà inferiore o nulla. Premesso questo, è prevista in determinate situazioni la possibilità di chiedere un anticipo o un riscatto.

«Può capitare di avere una ragione più che legittima per prelevare risorse, e la legge lo consente. A partire dall’ottavo anno dall’iscrizione, si possono chiedere anticipazioni che arrivano fino al 75% del montante, per spese sanitarie molto importanti o spese di acquisto e ristrutturazione prima casa dell’intestatario o di un figlio. Per altre ragioni, invece, si può chiedere fino al 30% del capitale accumulato». Esiste poi la possibilità di chiedere il riscatto, in caso di perdita del lavoro da più di 12 mesi, mobilità o cassa integrazione – in questo caso si arriva fino al 50% del montante –  o di disoccupazione da almeno 48 mesi e invalidità permanente».

Cosa succede al momento della pensione

Come abbiamo scritto, sottoscrivere un fondo pensione serve a garantirsi una piccola rendita integrativa dal momento in cui si andrà in pensione, ma l’intestatario può scegliere tra due possibili soluzioni: «Posso decidere di ricevere il montante sotto forma di quote mensili, per tutta la durata della mia vita. In questo caso il capitale maturato sarà suddiviso sulla base della mia aspettativa di vita, e riceverò il mio “assegno” anche se vivrò più a lungo rispetto alle statistiche. La seconda ipotesi è quella di suddividere il montante tra capitale (al massimo per il 50%) e rendita vitalizia».

«È un modo per evitare che il contraente ritiri tutto in un’unica soluzione, perché in questo caso andrebbe perduta la stessa ragione d’essere del fondo pensione, che è nato per tutelarci dal rischio di longevità, e aiutare chi invecchia a mantenere il proprio tenore di vita per tutta la durata dell’esistenza. In generale, i fondi pensione danno la possibilità di indicare il beneficiario in caso di premorienza, se, cioè, l’intestatario dovesse venire a mancare prima di aver maturato il diritto alla pensione».

«Se invece la morte sopravviene in fase di decumulo, gli eredi designati o i beneficiari indicati ereditano quanto residuo al netto della rendita già corrisposta, salvo si sia scelta l’opzione rendita vitalizia e si sia già esaurito il capitale a disposizione, nel cui caso non ereditano nulla». La scelta della formula di prestazione (in capitale e rendita o solo rendita) va fatta valutando diversi parametri, continua l’esperta: «Molto dipende da tanti fattori, per esempio dal clima inflattivo nel momento in cui si decide, e dal proprio stato di salute. Se posso immaginare di vivere altri 20 -30 anni, perché sono in buone condizioni, potrebbe convenire la rendita mensile tout cort, per esempio. Anche in questa decisione, però, entrano in gioco tanti elementi».

Con il fondo pensione si va in pensione prima?

Dipende. Oggi la legge lo consente solo a chi rientra nel calcolo della pensione contributiva, e cioè ha iniziato a versare contributi da lavoro dopo il 1° gennaio 1996. Dal 2025 costoro possono chiedere di andare in pensione anticipata a 64 anni di età, con almeno 20 di contributi, ma solo se la loro pensione mensile raggiunge come importo 3 volte il valore dell’assegno sociale minimo, (attualmente 1.616 euro in tutto), soglia che per le donne con un figlio scende a 2,8 volte, per quelle con due o più figli a 2,6 volte. (Attenzione, avverte Notari, c’è anche un limite massimo di 5 volte l’assegno minimo Inps, pari nel 2025 a 3.017 euro lordi mensili)

«Questa soglia minima può essere raggiunta sommando all’assegno previsto per la pensione pubblica anche la rendita maturata con il fondo di previdenza integrativa cui il lavoratore è iscritto. Un motivo in più per ragionare sulla destinazione del TFR a un fondo pensione», conclude Notari.

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