Quell'ossessione per il risparmio anche quando avrei potuto tirare il fiato

Sasha Damiani ha 44 anni e, come in certi film, vive una doppia vita: per mantenersi e soddisfare tutti i suoi bisogni materiali è medico anestesista, per incanalare la sua creatività è blogger e podcaster, founder della community Mamme a Nudo. Nata in una famiglia in cui i soldi erano pochi, Sasha cresce con la dedizione al risparmio, in una maniera quasi ossessiva: non si concede il lusso di dedicare tempo a se stessa o di comprare cose che non siano prettamente necessarie. Dopo il diploma mette da parte le sue velleità artistiche e sceglie una facoltà e, successivamente, una specializzazione che le permettano di trovare un lavoro subito dopo la laurea e di rendersi economicamente indipendente. Per molto tempo si sente prigioniera della sua ansia per i soldi, che la costringeva dentro una routine di solo lavoro e che non le permetteva di dare nessuno sfogo alla creatività. Poi, a 40 anni, due eventi cambiano la sua percezione del denaro e del lavoro, e la fanno ritrovare la voglia di scoprire i desideri che negli anni aveva accantonato: la maternità e la diagnosi di Adhd.

Ascolta il podcast della puntata:

C’è quella frase orribile, “se vuoi puoi”, che può dire solo chi ha sempre avuto le spalle coperte. Però io mi trovavo in una situazione paradossale, per cui in realtà potevo e volevo, ma non me ne rendevo conto. Ero bloccata e dicevo a me stessa “Non posso, non posso, non posso”. Poi, a un certo punto mi sono resa conto che potevo, che avevo le spalle coperte, non dai miei genitori, non da mio marito, ma da quello che avevo accumulato fino a quel momento. E lì, per la prima volta, ho pensato: ‘Facciamo questo salto nel vuoto e usiamo i soldi per stare bene’.

Sasha Damiani ha 44 anni e vive, come in certi film, una doppia vita. Per mantenersi e soddisfare tutti i suoi bisogni materiali è medico anestesista, per incanalare la sua creatività dentro un’attività compiuta è blogger e podcaster, founder di Mamme a Nudo, una community in cui parlare di maternità oltre gli stereotipi. Nata e cresciuta a Firenze, nella sua famiglia, come sempre accade quando i soldi sono pochi, le conversazioni legate al denaro non sono affatto tabù. 

«Il problema è che se ne parlava per dire che non c’erano, quindi era un pensiero sempre molto angoscioso per tutti quanti e io l’ho recepito poi in modo particolare. Forse dipende anche dal carattere però io sentivo molto questa cosa della mancanza di stabilità. I miei non mi hanno mai detto “Non puoi fare questo, non puoi fare quest’altro”, e soprattutto nello studio sono stati sempre molto incoraggianti nel dirmi che io avrei dovuto fare quello che volevo fare. Però avevo abbastanza le idee chiare sul fatto che non puoi dirmi che ho carta bianca se di fatto poi ci sono tutta una serie di limiti. Quindi cercavo di non chiedere, di costare il meno possibile. Se mi facevano un bel regalo per Natale mi prendeva l’ansia perché la prima domanda che mi facevo era: “Ma se lo possono permettere? Non è che a causa di questo regalo poi non ci possiamo permettere il dentista?».

Una visione del denaro distorta

Sasha cresce intrappolata in due esempi familiari molto diversi tra loro: quello del padre, nato in uno Stato socialista dove era il governo a provvedere ai bisogni dei propri cittadini, e quello della madre, costretta a lasciar perdere le proprie passioni per portare a casa uno stipendio.

«Mio padre era emigrato dalla Croazia, allora Jugoslavia, quindi lui era convinto che qualcuno gli avrebbe sempre coperto le spalle. Mia mamma, al contrario, era cresciuta in una situazione abbastanza agiata che poi era andata a peggiorare negli anni successivi, e a un certo punto si era trovata a essere l’unica a lavorare. Si era rimboccata le maniche facendo un lavoro che non le piaceva assolutamente, rinunciando alla sua passione per il teatro. Però qualcuno a casa lo stipendio lo doveva portare».

C’è però un’altra figura nell’adolescenza di Sasha, che prova a piantare il seme di una concezione differente dei soldi.

«Fortunatamente c’era mia nonna: era l’unica che mi parlava di soldi in modo positivo. Per lei erano una gioia perché pur senza cadere mai negli eccessi e senza mai sprecarli, i soldi sono quelli che ti consentono di fare la vita che vuoi fare e soprattutto batteva tantissimo il tasto sull'indipendenza finanziaria. Lei aveva avuto dei trascorsi personali abbastanza dolorosi nel matrimonio, quindi aveva fatto dell’indipendenza finanziaria per le donne una missione».

Mi diceva spesso: “Guarda, se proprio ti devi sposare nella vita, cercalo ricco e poi cerca di guadagnare più di lui”. Perchè per lei non ci si doveva mai trovare in una situazione di inferiorità economica.

La paura di restare senza niente

Sasha si diploma al Liceo Classico, e per quanto fosse propensa a continuare gli studi in ambito umanistico, il background economico della sua famiglia la spinge a mettere da parte le sue passioni, come aveva fatto sua madre prima di lei.

«Io sono anche un po’ cresciuta con questa idea, che non è del tutto campata in aria, che il lavoro artistico-culturale te lo devi anche poter permettere. E io ero consapevole di non potermelo permettere, che tutte le mie velleità creative, che pure avevo, erano delle cose da mettere nel cassetto e fare nel tempo libero. Questo perchè non potevo assolutamente immaginare di farmi pagare la vita mentre io provavo a trovarmi uno stipendio decente. Per esempio, avrei voluto studiare le lingue, ma poi alla fine mi chiedevo: “Ma se poi non posso neanche permettermi un affitto fuori Firenze, cosa le studio a fare?”».

Sasha si iscrive così alla facoltà di Medicina.

«Io avevo proprio questa urgenza di essere economicamente indipendente. Quindi mi sono chiesta: “Medicina mi piace? Sì, abbastanza, è una roba concreta, quindi la devo fare e dopo questi sei anni sono anche relativamente certa che posso avere uno stipendio decente, cosa che probabilmente dopo quattro anni di lettere non avrei”. E lo stesso è successo dopo la laurea: ho scelto una specializzazione che, per quanto mi piacesse, era scelta sulla base di quella che avrebbe portato più facilmente a un lavoro».

Quindi, erano tutte scelte basate sul sicuro, sulla concretezza, sul cercare di avere finalmente le spalle coperte. Perché io le spalle coperte non le avevo e dovevo trovare un modo per coprirmi da sola.

I primi anni di specializzazione Sasha guadagna 900 euro al mese, e ne spende 450 per l’affitto. Risparmia letteralmente su tutto: incluso farsi la doccia in ospedale, perché in casa ha il riscaldamento a GPL. Tutta questa dedizione al lavoro, finalizzata ad un cuscinetto economico, però, le fa perdere il focus sulla sua vita personale e su ciò che desidera veramente.

«Ho iniziato anche a fare tantissimi straordinari per avere quel qualcosa in più che mi facesse sentire al sicuro. E tutti questi straordinario hanno significato anche non avere tempo per me. Per un certo periodo della mia vita, intorno ai 30 anni, io lavoravo e basta, non facevo altro. Mi rimaneva addosso questa paura che avrei potuto perdere tutto e quindi cercavo di vivere al minimo. Mi faceva paura l’idea di comprare una borsa che costasse più di 30€, perché “Oddio, non me la posso permettere”, in realtà me la potevo permettere. Però cercavo sempre di stare basso profilo con un’angoscia che un po’ mi porto ancora dietro per tutto ciò che è legato ai soldi».

Il momento della diagnosi

Questa relazione complicata con i soldi, Sasha l’ha sempre fatta risalire alla sua esperienza familiare. Poi un giorno è arrivata una diagnosi. 

«Il mio problema di gestione non è stato non è mai stato solo e semplicemente quello legato all’ansia e all’angoscia, ma proprio anche a un’incapacità a gestire questo tipo di cose. Nell’ultimo anno ho scoperto di essere Adhd».

La sindrome da deficit di attenzione e impulsività può avere spesso anche questa difficolta di gestione in alcune attività quotidiane: c’è chi ha più difficoltà a guidare la macchina, chi a fare una cosa rispetto che un’altra. Però, l’aspetto finanziario spesso ricorre.

«Lì mi sono resa conto che probabilmente molte delle mie difficoltà e dei miei blocchi non erano da imputare tanto all’infanzia o a un problema di questo tipo, ma che veramente era un problema di gestione, che magari hanno altre persone Adhd che pure hanno avuto una situazione economica completamente diversa dalla mia».

La diagnosi di Adhd è qualcosa che molte persone, compresa la Sasha del passato, non possono permettersi. Si tratta di un percorso costoso che nel servizio sanitario nazionale ha tempi biblici. Spesso si rende necessaria una terapia farmacologica o un supporto psicologico, e sono ulteriori spese, la maggior parte delle volte a carico dei pazienti. 

«Quindi se tu invece sei sempre stata quella brava, quella tranquilla, perché magari hai incanalato la tua irrequietezza in altri modi, quella che non dava mai disturbo, e che ha anche fatto degli studi universitari impegnativi, pensi “No, non è possibile, è una cosa che che non mi può riguardare”. Poi ti confronti con colleghe che hanno il tuo stesso percorso di studi e loro hanno fatto diagnosi, e ti raccontano delle cose di loro e tu lì dici: “Aspetta, ma allora forse ce l’ho anche io”».

Ad esempio la procrastinazione, che per me è sempre stata un cruccio e quindi mi sforzavo di fare le cose un po’ per volta, come si dovrebbe fare, e mi venivano peggio. Da quando so di essere una persona Adhd, io mi sono arresa a questa mia caratteristica, perchè so che è proprio una cosa che fa parte di me. Però, quando si tratta di pagare le bollette è un disastro.

Il momento della svolta

Per lungo tempo Sasha si è sentita prigioniera della sua ansia per i soldi, che la costringeva dentro una routine di solo lavoro e che non le permetteva di dare nessuno sfogo alla creatività. Prima ancora della diagnosi di Adhd, ad aiutarla è stato un altro evento della sua vita.

«Quest’angoscia è un po’ passata con la maternità, che per me è arrivata a 40 anni. Diventare madre mi ha fatto sentire ancora più l’insofferenza per questa mancanza di spazio e tempo per me; quindi ribollivo proprio dalla voglia di cambiare qualcosa nel mio lavoro. E poi, pian piano ho iniziato a prendere consapevolezza del fatto che finalmente potevo permettermi certe cose. La mia specializzazione si presta bene al lavoro nel privato, quindi appena ho avuto una buona occasione, ho colto la palla al balzo e l’ho fatto. Quando sono andata dal commercialista per aprire la partita IVA, ne sono uscita tutta sudata. Mi sembrava veramente di aver fatto una maratona».

L’atto coraggioso di mettersi in proprio ha l’effetto di rivoluzionare la sua gestione dei soldi nella vita di tutti i giorni.  

«Ad esempio ho smesso di avere solo i soldi lì pronti per ogni evenienza e mi sono decisa che una piccola cifra la posso anche investire, perché anche se per caso non la dovessi più vedere, riesco a cenare lo stesso quella sera. Continuo a essere per nulla interessata al lusso, però in alcuni momenti mi sono sforzata per cose banali, tipo la pizza con gli amici».

Per esempio: questa pizza costa 15€ anziché 12. Basta! Io li spendo, perché quei 3€ in più io mi devo convincere che me li posso permettere ed è una cosa banale però veramente quando sei cresciuto con l’idea che 3€ fanno la differenza non è facile togliersi da quel mindset.
 

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