Quel debito con lo Stato che pesa sul mio futuro

Aurora ha 36 anni, vive a Pesaro ed è un’artigiana della stampa. La terza generazione, nella sua famiglia, a portare avanti l’antico mestiere di serigrafa. Ma questa non è la favola di una bambina cresciuta nella bottega di famiglia, che la prende in mano e la fa rinascere. L’impresa di famiglia, per molto tempo, è una maledizione per Aurora. Quando è adolescente, nel 2000, gli affari vanno così male che per tappare i buchi della società i suoi sono costretti a vendere la grande casa in cui abitavano tutti. Aurora decide di allontanarsi dalle tensioni familiari, e già al liceo va a studiare a Urbino. È in quegli anni che si accorge di essere un po’ diversa dai suoi coetanei: fatica a dormire e soffre di allucinazioni e sonnambulismo. Anche fare l’università le risulta impossibile: prova a frequentare Beni culturali, Medicina e Farmacia. Ma niente. Così lascia l’università e si mantiene facendo un’infinità di lavoretti. Poi conosce quella che è la sua attuale moglie, molla tutto ciò che sta facendo e va a vivere con lei. Si trasferiscono a Bologna. Lì Aurora rispolvera le sue conoscenze nel campo della serigrafia e inizia a lavorare per l’alta moda. Nel momento in cui ha la sensazione di aver trovato una stabilità, la precarietà economica torna a bussare alla sua porta. Nel 2020 Aurora scopre di avere un grosso debito con lo stato di cui non era a conoscenza. Quando arriva il pignoramento, ha un crollo e viene ricoverata in ospedale con forti sintomi psichiatrici. I suoi la portano a Pesaro per starle vicini, e Aurora dopo essersi rimessa, torna a lavorare nella piccola impresa di famiglia. Il suo debito è ancora lì, ma quell’azienda che inizialmente ha rappresentato per lei una maledizione, si trasforma in salvezza.

Ascolta il podcast della puntata:

È assolutamente normale che la piccola impresa, l’artigiano e il piccolo commerciante abbiano difficoltà economiche. Si fallisce, si sbaglia, si hanno anni difficili, si hanno debiti, è normale, ce li hanno tutti. Io sono cresciuta con il debito sempre presente nella mia vita e una carenza cronica di fondi. Quindi ho vissuto sempre i soldi in un modo un po’ difficile ma sicuramente con l’assunto che per un imprenditore questi vanno e vengono e che non sono qualcosa di statico e fisso: sono una partita che gira.

Aurora ha 36  anni, vive a Pesaro ed è un’artigiana della stampa. La terza generazione, nella sua famiglia, a portare avanti un mestiere antico.

«La serigrafia è la tecnica di stampa più vecchia in assoluto. Io rappresento la terza generazione della mia famiglia in questo settore».

La serigrafia, spiega Aurora, è ovunque.

«Si trova nell’80% delle cose che hai attorno a te, a partire dagli smartphone, perché le schede interne vengono stampate ancora in serigrafia. Poi si utilizza nell’ambito tessile e anche nei composti ceramici, perché finora è la tecnica che meglio si adatta agli svariati supporti, dal piatto all’abito».

La storia della serigrafia marchigiana è strettamente intrecciata alla storia della famiglia di Aurora. 

«Mio nonno da giovanissimo lavorò in tipografia e il mastro tipografo del tempo vide in lui una grande capacità e lo mandò a studiare serigrafia. E poi lui ha importato la serigrafia qui nel centro Italia. La famiglia negli anni ’60, ’70, ’80 e anche ’90 ha vissuto un boom economico incredibile. Esportava perfino in Libia, era un personaggio di un certo spessore. Tutti i suoi figli hanno lavorato per questa impresa, poi l’azienda ha cominciato ad andare male. E adesso io sono l’unica nipote che ci lavora».

Probabilmente stai pensando alla favola di una bambina cresciuta nella bottega di famiglia, che la prende in mano e la fa rinascere. Ma non è questo il caso. Quella piccola impresa di famiglia è una maledizione per Aurora, ma poi, un giorno, si rivelerà la sua salvezza.

Aurora non è cresciuta sognando di diventare serigrafa.

«Non era la mia prima scelta, io volevo fare tutt’altro. Poi, una serie di situazioni nella vita, hanno tracciato questa strada. E quindi, nonostante la mia inquietudine, ho detto “Va bene dai, diamogli una chance”».

La voglia di scappare

L’inquietudine che scandisce la vita di Aurora mette radici proprio in quel senso di precarietà con cui ha vissuto la prima parte della sua vita. Quando Aurora è adolescente, nel 2000, l’azienda di famiglia va male, e per tappare i buchi della società i suoi sono costretti a vendere la grande casa in cui abitavano tutti.

«Mia madre e mio padre fecero fagotto e andarono ad abitare con mia nonna materna in una casa dove, fisicamente, non ci stavamo tutti. Infatti io per tutta la mia adolescenza ho dormito in una terrazza verandata perché non avevo una camera».

Aurora si iscrive al liceo artistico di Urbino, una città che dista un’ora di autobus da Pesaro. 

«Per me è stata la rampa di lancio. Sono scappata proprio. Tornavo a casa tutti i giorni, facevo avanti e indietro, ma ho conosciuto tante persone che come me venivano da fuori. Ho avuto modo di scoprire altre città e altre realtà e da lì ho cominciato a dire “Vabbè, a casa posso anche non tornarci” perché c’erano delle situazioni di tensione molto intense, quindi era la scusa perfetta».

Aurora, in quegli anni, pensa di essere una ragazza con un brutto carattere, pigra, irascibile, volubile. Una persona fatta male, insomma. La verità è che fin da ragazzina fatica a dormire come gli altri. Il suo cervello non si spegne mai, soffre di sonnambulismo e allucinazioni notturne.

Ci sono sempre stati questi episodi dove magari io mi mettevo a dormire dentro il camino spento piuttosto che addormentamenti istantanei all’asilo o allucinazioni dove il cervello non sa distinguere tra cosa è reale e cosa no.

Il momento della diagnosi

Negli anni ’90 non c’erano né gli strumenti diagnostici né la sensibilità familiare per indagare certi comportamenti. Crescendo, fortunatamente le cose sono un po’ cambiate. Sarà sua moglie, infermiera, a dare finalmente un nome a quello che Aurora ha sempre pensato fosse un difetto di fabbrica.

«Ed è stata la prima, circa sei anni fa, ad accorgersi che c’era qualcosa che non andava a livello fisico nel mio modo di vivere perché io soffrivo tantissimo di stanchezza e avevo degli orari completamente sballati rispetto alla realtà. Da lì la mia incapacità di fare un lavoro continuativo e di rispondere in maniera soddisfacente al mercato del lavoro. Perché una persona costantemente stanca e che dorme male di notte e tanto di giorno è ovvio che non riesce a fare le classiche 8 ore, timbrare ed essere produttiva».

Prima ancora del mondo del lavoro, era stata l’università a respingere Aurora, che aveva fatto il test di ammissione a Medicina e poi aveva provato a frequentare Beni Culturali e Farmacia.

«Non sono mai riuscita a portarne nessuno a termine. Anche perché faticavo a mantenere la concentrazione per molto tempo consecutivo sulla stessa cosa. Io, per esempio, leggo tanto ma leggo poco per volta. Quindi mi ritrovo a fare mille cose tutte insieme, però tutte contingentate in piccoli task perché se no mi addormento. E questo porta poi a problemi di memoria, problemi di percezione temporale e problemi anche nel rapportarsi agli altri. In università vedevo tutti gli altri andare avanti, mentre io per memorizzare una cosa ci mettevo dieci volte di più».

Il ritorno della precarietà

Così Aurora lascia l’università e si mantiene facendo la barista, la commessa, un’infinità di lavoretti. Poi nel 2017 conosce quella che è la sua attuale moglie. Molla tutto ciò che sta facendo e va a vivere con lei, prima a Padova poi a Bologna. Ed è in queste due città che Aurora mette da parte i suoi lavoretti e rispolvera le sue competenze nel campo della stampa artigianale. Diventa una specialista e inizia a lavorare per l’alta moda.

«Facendo la libera professionista guadagnavo molto bene, 3-4mila euro al mese. Ero unica nel mio settore, non c’era nessun altro che facesse quel lavoro quindi avevo delle fee abbastanza importanti e lavoravo per imprese molto strutturate». 

Proprio quando Aurora ha la sensazione di avercela fatta, l’instabilità e la precarietà economica tornano a bussare alla sua porta. Nel 2020 Aurora scopre di avere un debito con lo Stato di cui non era a conoscenza.

Nel lontano 2007 mio padre aprì un’azienda a mio nome. Io lo sapevo, era una ditta individuale solo che lasciò un grande debito. Debito che tutt’oggi è pendente. Per una parentesi della mia vita ero diventata una piccola risparmiatrice, ma tutto quello che avevo messo via è sparito in 24 ore.

«Nel 2020, in concomitanza con la pandemia, lo Stato è arrivato e ha preteso il pignoramento di tutto quello che avevo messo da parte fino a quel momento. Quella situazione è rimasta a mio carico, cioè io figuro debitrice dello Stato per una cifra di 347.000€. Il debito vero in realtà è di 170.000, il resto sono interessi e more. Quindi dal 2007 a oggi hanno continuato a incrementarsi, pur avendo cercato io di dimostrare che non potevo fronteggiare il debito. Ho chiamato consulenti, ho pagato molti avvocati, ho cercato di fare di tutto, eppure il debito è ancora lì».

Quando arriva il primo pignoramento, Aurora ha un crollo. Viene ricoverata in ospedale con forti sintomi psichiatrici. Sua moglie intanto sta fronteggiando l’emergenza Covid in corsia. Così i genitori vanno a prenderla da Bologna e la portano a Pesaro per potersi occupare di lei.

«Sono stata seguita a livello psichiatrico e neurologico da due equipe fenomenali della Santa Chiara di Pisa, tutto a carico dello Stato. Per la mia esperienza posso dire che abbiamo un sistema sanitario che funziona, pur nonostante in molti dicano di no. Successivamente poi, mi è stata anche riconosciuta un’invalidità importante».

Il ritorno alle tradizioni di famiglia

Tornata a Pesaro, Aurora può fare solo una cosa. Riprendere in mano l’attività di famiglia. Quell’impresa che è stata all’origine di tanti suoi problemi fisici e psichici, sembra l’unica ancora di salvezza.

«Ad oggi lo ammetto senza vergognarmi ma io non sono in grado di gestire le giornate e il lavoro come le altre persone. Ho una stanchezza costante e ho bisogno di riposare spesso. Con questo lavoro posso farlo, perché mi permette di dormire quando ne ho necessità, tipo ogni 2 ore, 3 ore o quanto sia. Ho degli orari che non sono compatibili con quelli delle persone normali».

Il ritorno nell’azienda di famiglia sta aiutando Aurora a fare pace con i soldi e a riscoprire in sé potenzialità nascoste. 

Mio padre mi dà una fee per per quello che faccio ma sono io a controllare i loro soldi e sono diventata io l’amministratrice di quello che entra e che esce. Tra l’altro mi sono scoperta discretamente brava in questo tipo di lavoro forse proprio perché non percepisco i soldi come una cosa statica, ma sono predisposta all’investimento, alla vendita e alla compravendita. Perciò riesco a capire quando è il momento di comprare e quando è il momento di lasciare.

Il debito con lo Stato pesa ancora sul suo futuro, ma Aurora ha imparato a vederlo con nuovi occhi.

«Questo lo dico ai tanti imprenditori che non ce l’hanno fatta o che hanno pensieri molto negativi a riguardo. Esiste la legge salvasuicidi e ve lo dice una persona che ci è andata tanto tanto vicino, che ci ha provato, quindi posso confermare che sono periodi veramente bui. Esistono delle leggi che tutelano le persone che hanno un grosso debito e che non possono farvi fronte. Lo Stato non è sempre cieco, sicuramente è difficile averci una comunicazione sana e semplice però ci sono esperti, avvocati e persone che lavorano per questo. Io adesso vado avanti, e so che prima o poi qualcosa succederà. Non voglio pormi il dubbio del quando, io intanto lavoro e cerco di fronteggiare la vita per quella che è, perché poi, la vita è quello che vivi quotidianamente, non è l’attesa di un momento specifico».

 

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