Per tre volte ho visto la mia famiglia evolvere e poi tornare al punto di partenza
Raffaella ha 45 anni ed è figlia di due operai. Cresciuta in un contesto finanziario che le ha sempre garantito solo l’indispensabile, Raffaella prova ad affermarsi individualmente, ma le problematiche familiari la riportano sempre a casa, in un contesto dove alla desolazione del fallimento si mescola il senso di colpa di non aver fatto abbastanza. Ma da suo padre impara a non darsi mai per vinta e, una volta cresciuta, si batte affinché i suoi figli crescano in un contesto migliore.
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“Ci si vergogna quando si va a rubare, ci si vergogna delle malefatte, non della fatica o del fatto che il lavoro non sempre ti ricompensa. Bisogna andare avanti anche dopo aver subito un fallimento. Ripartire da zero o, come ho fatto io da sottozero, si può”.
Il primo fallimento familiare
Raffaella ha 45 anni, è nata e vive a Bitonto, una cittadina di 60.000 abitanti in provincia di Bari. Lavora in un’azienda dov’è entrata come assistente controller, ma ora si occupa di concessioni: «Noi donne paghiamo il prezzo delle gravidanze, della maternità e cominciamo a non essere più utili in determinati posti e ci spostano altrove. Ci rimpiazzano facilmente».
La città in cui abita offre ottime scuole ed è vicina sia a Bari sia al mare, però è anche caratterizzata da una forte delinquenza che condiziona la crescita di Raffaella.
Sua madre lavorava nel settore tessile, mentre il padre nel settore della telefonia. A causa del fallimento dell’azienda per cui lavorava la madre, decidono di aprire una propria attività assieme a un socio: un negozio di elettrodomestici. Inizialmente gli affari vanno bene, fino a quando non subiscono un furto. La madre lo scopre una mattina aprendo il negozio. Questo le provocherà un grave esaurimento nervoso e rappresenterà anche il primo fallimento economico familiare.
«Nel momento in cui subisci un furto, tu subisci un mancato guadagno, perché tutto quello che hai comprato non è stato venduto. Ovviamente anche noi figli abbiamo subito questo fallimento perché vedevamo mia madre stare male e mio padre che si dimenava tra i vari lavori senza riuscire a tenere le redini della situazione. Io, però, sono stata sempre ottimista. Ho sempre cercato di guardare il lato positivo delle cose».
“Pensavo sempre ‘tanto papà anche questa volta ci tirerà fuori’. Vedevo mio padre come un supereroe”.
E ce la fanno, grazie ai tanti sacrifici e ai prestiti di alcuni familiari. Non solo: riescono anche a comprarsi una casa e a entrarci. A lei e suo fratello non manca niente. Se con quel niente intendiamo l’indispensabile.
«Non il jeans all’ultimo grido, non la t-shirt di marca del momento, non le uscite fuori dall’ordinario. Anche essere invitata alle feste per me era un momento di disagio perché non potevo partecipare ai regali con le stesse quote che mettevano gli altri. Mia madre pur di farmi andare mi comprava qualcosina, però non era paragonabile a ciò che portavano gli altri».
Guadagnare per affermare se stessi
Fin da quando era bambina, Raffaella è sempre stata affascinata dalla lettura, però a casa sua non esistevano i libri, sia perché i suoi genitori non avevano mai studiato, sia perché quella spesa non rientrava tra le priorità economiche familiari. Dovevano pagare il mutuo e far fronte a tante spese, “figuriamoci se si preoccupavano di comprare libri e giornali”. Un giorno però, Raffaella viene invitata a casa di una compagna di scuola, e resta affascinata dalla grande libreria piena di romanzi posta a divedere due spazi.
“Quando entrai in quella casa mi sembrò di trovarmi in un mondo magico. Ho pensato subito che sarebbe piaciuto pure a me avere così tanti libri. E cosa potevo fare per comprarli? Guadagnare in autonomia”.
«Con i primi soldi mi ricordo di aver comprato una collana dei grandi classici che pubblicizzavano in televisione. In più riuscivo a uscire con qualche amica. Mi sentivo comunque a disagio. Era l’epoca dei Levi’s 101, e quindi io dovevo comprarmi per forza i jeans di marca. Non potevo stare senza Levi’s 101. Quindi, con i primi soldi ho cominciato anche a vestirmi in una certa maniera, perché dovevo essere all’altezza degli altri».
Il secondo fallimento familiare
Nel frattempo, il padre di Raffaella apre un’azienda per il fratello. Inizialmente gli affari vanno talmente bene che decidono di fare ulteriori investimenti. In quel periodo, però, il fratello vince un bando per un lavoro in Francia, si trasferisce e conosce una donna di cui s’innamora perdutamente.
«Decide che di tutti gli investimenti che sono stati fatti non gli importa più niente, che questo era il sogno di mio padre non il suo e che il suo sogno adesso è di vivere questa storia d’amore. Io avevo poco più di 18 anni quando succede questa cosa».
Decide così di mollare tutto e di non tornare più a Bitonto a gestire l’azienda che il padre aveva aperto per lui.
«E qui arriviamo al momento del nuovo fallimento. Mi rendo conto che in qualche modo adesso devo diventare grande e che non posso lasciare tutto nelle mani di mio padre. All’epoca avevo iniziato l’Università di Economia e Commercio, e stavo studiando diritto privato. Tra le cose che studiavo, c’era la procura. Così penso che, visto che mio fratello se n’è andato, posso provare a farmi rilasciare una procura e a portare avanti l’azienda».
“C’erano i soldi della famiglia in quell’azienda. Buttarli così non sarebbe stato carino. Tra l’altro, grazie a quell’azienda io mi ero potuta iscrivere all’università”.
Raffaella prende in mano la situazione. Grazie al fatto di essere assunta nell’azienda di suo fratello, riesce a ottenere un mutuo con cui comprare la casa che i genitori avevano acquistato con tanto sacrificio, salvandola così dai creditori e dando nuova linfa alla famiglia. Poi, pian piano, riesce a chiudere l’azienda senza fallire.
«Nonostante ciò, mio l’ha vissuto come un fallimento, non solo economico, ma come genitore, perché mio fratello gli continuava a rinfacciare di averlo fatto solo perché lo voleva lui. Quindi, mio padre doveva dimostrare a se stesso, a mio fratello e a tutto il paese, che non aveva perso. In un luogo dove si conoscono tutti, devi dimostrare che chiudi una cosa per fare qualcosa di meglio. Così, mio padre decide di aprire una nuova attività».
Imparare a lottare per i propri obiettivi
Per la terza volta ci riprovano. Nel frattempo però Raffaella prova a lasciare la Puglia. Subito dopo la laurea si trasferisce a Dublino per imparare l’inglese. Un viaggio molto importante nella sua crescita personale che le insegna a badare a se stessa e a gestire il suo denaro.
«In quella situazione ho imparato veramente che cosa significa farsi un piano per poter far fronte a tutte le spese. Cosa che, se i miei genitori l’hanno fatto, a me non l’hanno mai insegnato. Loro hanno sempre navigato a vista, facendosi aiutare anche con prestiti familiari; io, invece, dovevo riuscire non solo a sostenere le mie spese, ma l’obiettivo era di tornare a casa anche con un gruzzoletto».
“Volevo fare un master e sapevo che da allora non avrei più potuto chiedere ai miei di continuare ad aiutarmi per studiare e terminare il mio percorso. E quindi sono partita e ho sperimentato veramente che cosa significasse pianificare e risparmiare”.
Si accorge che Dublino offre più possibilità dal punto di vista lavorativo. Potrebbe decidere di restare, avrebbe possibilità di crescere nel luogo in cui lavora. Eppure, l’attaccamento alla famiglia e alle problematiche familiari, la riporta a casa. Suo padre, nel frattempo, riacquista di nuovo tutte le certificazioni e porta avanti l’azienda, lavorando solo sul territorio, senza manie di grandezza. Coinvolge come soci i suoi vecchi dipendenti nella nuova impresa e anche Raffaella porta la sua esperienza e le sue competenze nella neonata attività. Le cose sembrano andare bene per la famiglia, Raffaella si sposa e al padre si prospetta la possibilità di acquisto di una nuova casa.
«Dovevamo decidere con mio marito dove andare ad abitare. Una casa intestata io ce l’avevo, ma era la casa che abitavano i miei genitori e io non volevo toglierla a loro. A quel punto si prospetta per mio padre la possibilità di un acquisto di un capannone con due appartamenti attigui. Uno lo avrebbe potuto utilizzare come ufficio e nell’altro, saremmo potuti entrare io e mio marito. Mio padre avrebbe pagato il mutuo per quello in cui stavamo entrando noi, mentre io continuavo a pagare per quello in cui vivevano loro. Quindi ci saremo compensati in questa maniera».
Alla deriva per la terza volta
La dinamica della delinquenza, però, si ripresenta nelle loro vite, portandoli alla deriva un’altra volta.
“Sul cammino di mio padre si presenta una persona che inizialmente si dimostra molto amico, ma che poi lo rende vittima di un racket. Lavorava per una delle società con cui mio padre collaborava e che a un certo punto gli dice che se voleva continuare ad avere lavori, doveva dargli una quota sottobanco”.
«Le richieste del signore diventavano sempre più importanti fino a che mio padre ha detto “guarda, io non ci sto più, non mi piace questa situazione”. Più mio padre si tirava fuori da questa storia, meno lavori gli arrivavano. E quando non arrivano i lavori, ovviamente non arrivano le entrate. E se non arrivano le entrate non si può far fronte agli impegni presi con le banche, con i dipendenti. A quel punto, si è innescata la procedura concorsuale del fallimento».
“Questa volta siamo stati dichiarati letteralmente falliti. E non puoi immaginare il devasto emotivo che questo ha portato. Mia madre si è vergognata davanti al mondo”.
Raffaella si convince che se al suo posto avessero avuto un commercialista esterno o un avvocato in grado di consigliargli, probabilmente non avrebbero preso determinate scelte.
«E lì mi sono colpevolizzata, perché probabilmente con le mie competenze e le mie conoscenze avrei potuto evitare ciò che è successo. E invece non l’ho fatto e sono stata ingoiata dalla situazione. Ero così brava a pianificare, ma non sono stata brava a capire che dovevo tirare i remi in barca e cominciare ad allentare la presa affinché non ne fossi coinvolta personalmente. Adesso, col senno di poi, se ci rifletto dico “forse sono stata un po’ sciocca io a impegnarmi in questa maniera”. Poi però penso che se tornassi indietro e mi trovassi ancora in quella situazione, probabilmente farei di nuovo esattamente quello che ho fatto».
“Alcune decisioni non sono dettate dalla ragione. Quando vedi tuo padre che si sente umiliato, non pensi. In quel momento non mi interessava pensare, ragionare. Mi interessava intervenire nella maniera più istintiva possibile”.
La potenza del riscatto
Raffaella, oggi, è riuscita a prendere le distanze dalle problematiche familiari. Ognuno lavora per conto proprio e lei sta facendo progetti insieme a suo marito. Prende decisioni dettate dalla razionalità e ha imparato a pianificare le proprie azioni prima di lanciarsi nell’ignoto. Animata dal suo carattere forte, ereditato dal padre, combatte per fare in modo che i suoi figli vivano un futuro migliore.
«Quello che ho ereditato da mio padre non è niente di economico, ma è la perseveranza, la tenacia, la voglia di riscatto, la voglia di farcela per i miei figli, così come i miei genitori hanno cercato sempre di farcela per i loro».
“Mio padre con noi ha puntato sul fatto che avessimo la cultura; la cultura per poter andare avanti a testa alta. Non avremo una barca di soldi, ma abbiamo la forza di metterci in gioco”.