Non potrei mai stare con una donna che guadagna più di me

Mariano ha 32 anni, abita a Napoli ed è un ricercatore universitario. Figlio di un operaio e di una casalinga, per distaccarsi dal difficile contesto familiare ed economico, si impegna nello studio e riesce a laurearsi in meno di cinque anni. Una volta terminato il percorso, però, sceglie la carriera universitaria, e ancora oggi vive all’interno di un contesto molto precario, che non gli permette di fare investimenti sul futuro. Se suo padre con uno stipendio da operaio aveva permesso a tre figli di laurearsi, lui non riesce neppure a immaginare di fare un mutuo. Non solo. Fin da bambino osserva le dinamiche di potere legate al denaro tra sua madre e suo padre, e si rende conto che è proprio tramite i soldi che passano tutti i rapporti di forza. Al punto che oggi dice una cosa piuttosto perentoria: «Non riuscirei a stare con una donna che guadagna più di me». Gli è già successo: la sua ex ragazza pagava le vacanze e gli faceva regali bellissimi. «All’epoca non me ne rendevo conto però mi faceva stare molto male questa cosa”. Mariano ci permette di sporgerci sull’abisso creato dalle disuguaglianze economiche. Un abisso che fingiamo di non vedere raccontandoci che non ci importa, che apparteniamo tutti alla stessa classe sociale, ma che riusciremo a colmare solo se avremo il coraggio di guardarlo fino in fondo. 

Ascolta il podcast della puntata:

«A volte mi sento, mi sento schiacciato tra l’esempio di padri, zii che portavano avanti la famiglia, facevano molto lavoro e so di non essere in grado di farlo. So che nel mondo di oggi non è più possibile. Ed è una cosa che mi dà un po’ una sensazione di impotenza».

Mariano ha 32 anni, abita a Napoli, è un ingegnere, un ricercatore di tecnica delle costruzioni all’Università Federico Secondo e come molti suoi coetanei sta vivendo la diminuzione del potere d’acquisto rispetto alla generazione precedente. Per lui, però, questa condizione è particolarmente sofferta. Perché i soldi equivalgono al potere, come ha imparato fin da bambino.

Le prime mancanze

Mariano è figlio di un operaio e di una casalinga. In casa sono tre fratelli e i soldi sono prima di tutto una mancanza. 

«La prima cosa che mi sono accorto che mi mancava rispetto agli altri era la vacanza estiva. I miei amici, piccoli come me, in estate andavano in vacanza, mentre noi non ci andavamo. Forse questa è la prima cosa che ricordo e che associo ai soldi, quindi al fatto che i soldi servivano anche per fare questo. Le cose essenziali non mi sono mai mancate, quelle più frivole invece sì».

Come spesso accade nelle famiglie povere, di soldi si parla in continuazione.

«Noi non siamo mai stati separati dagli adulti quindi fin da piccoli abbiamo sentito parlare, ad esempio, di problemi di soldi; di familiari che magari facevano cose sbagliate con i soldi che avevano, o che non avevano, magari indebitandosi o cose del genere».

Fin da molto piccolo ho sempre avuto la percezione dei soldi come una cosa fondamentale che consente di realizzarsi, ma che soprattutto può rovinare le persone che non li usano bene o se usano quelli che non hanno.

È in quei discorsi, non rivolti a lui, ma fatti in sua presenza, che mette radici la grande repulsione che ancora oggi Mariano ha verso il debito. 

«Anche la spesa più grande che ho fatto per una cosa mia personale è stata comprare un motorino nuovo, abbastanza costoso, ma l’ho fatto prima risparmiando, arrivando alla cifra completa e poi comprandolo».

La forma del riscatto

Mariano patisce molto il contesto familiare e sogna di lasciarselo alle spalle. 

«La prima cosa che ho capito, anche grazie a delle maestre molto lungimiranti, era che l’unico modo per uscire da quella situazione che non mi piaceva, e cioè la situazione economica non facile, era studiare. Io questo concetto l’ho fatto mia fin da piccolo, quindi ho sempre studiato tantissimo».

Non è facile, però, passare quella stessa consapevolezza ai suoi genitori. 

«Io mi ricordo che quando andavo alle scuole medie dovevo fare le battaglie per farmi comprare i libri piuttosto che scarpe o vestiti. Mia mamma più mi capiva, più cercava di accontentarmi. Con mio padre invece era diverso. Però, anche grazie all’influsso della scuola, almeno mia mamma ha capito che quella era la strada giusta. Quindi anche quando facevo l’università, anche a costo di studiare senza comprare libri, mi sono laureato in meno di cinque anni».

Per me l’autonomia si poteva anche rimandare alla fine dell’università purché poi arrivasse. Forse se avessi lavorato mentre studiavo ci avrei messo di più a laurearmi e il momento dell’uscita di casa, e cioè il mio obiettivo, si sarebbe ritardato.

Anche la scelta della facoltà è stata determinata dal desiderio di uscire da casa il più in fretta possibile.

«All’epoca si diceva tra i miei compagni di classe, ma tuttora so che circola tra gli studenti quest’idea, che con ingegneria si lavora subito e si guadagna subito. Quindi, questo è solo uno dei motivi per cui ho scelto quel lavoro. L’obiettivo è sempre stato quello era uscire di casa».

Una volta laureato, però, Mariano non fa la scelta più economicamente vantaggiosa, quella di entrare in azienda, ma decide di rimanere all’università, facendo il dottorato. E guadagnando appena mille euro al mese.  

«Nel corso degli anni io sono uscito di casa alla fine del secondo anno di dottorato, dopo due anni di stipendio in cui non mi sono concesso quasi nulla. Tutto ciò che guadagnavo, lo mettevo da parte. Avevo risparmiato circa 10, 15mila euro e con quella base trovai una casa, che è quella dove abito tutt’oggi, e dove pago un affitto di 300 euro».

Finito il dottorato, ottiene l’assegno di ricerca e inizia a guadagnare qualcosa in più. 1600 euro al mese.

«In alcuni momenti non è stato facile perché è una carriera precaria, quindi capitava di stare qualche mese scoperto, tra un assegno e l’altro. Quindi bisogna sempre tenere qualcosa da parte però con qualche sacrificio ce la si fa».

Il paradosso di nascondere il privilegio

Per lungo tempo, la carriera universitaria è stata un lusso per persone abbienti, che potevano permettersi stipendi bassi e e un incedere lento. Ma oggi le cose iniziano a cambiare.

«Forse in passato l’università era qualcosa di più settario e dedicato a chi aveva già di per sé un potere sociale o economico. Adesso, oltre ai miei colleghi, ci sono persone come me che campano con lo stipendio che prendono e altri che ovviamente stanno meglio, hanno famiglie, vengono da contesti più importanti. Però tutto sommato le cose funzionano abbastanza bene, abbastanza bene».

C’è comunque una certa furbizia: chi sa di stare in una posizione più privilegiata magari non lo dà troppo a vedere. Ed è una cosa fastidiosissima, perché non bisogna vergognarsi di quello che si ha guadagnato o di quello che si ha.

Oggi Mariano ha un contratto a tempo determinato come ricercatore nel campo dell'ingegneria sismica: studia il comportamento dei edifici in cemento armato durante i terremoti.

«Mi faccio passare qualche sfizio in più cercando sempre però di stare molto attento alle mie spese. Io ho l’Excel sul desktop e mi segno tutto ciò che spendo, tutto ciò che entra e tutto ciò che esce. Sono un po’ maniaco su queste cose, però il controllo finanziario è uno strumento di libertà. Certo, ogni tanto penso “Vorrei una motocicletta più grande e più bella”, però si tratta di solo di aspettare. Quello che cambia è probabilmente solo il fatto che se guadagnassi di più la motocicletta me la comprerei tra due anni invece così me la comprerò tra quattro».

Pensare a qualcosa di più impegnativo di una motocicletta, però, è difficile.

«Certo, dentro di me c'è sempre la paura del tipo: “Se tra tre anni non vincerò il concorso, perderò il lavoro”. È un mondo molto competitivo, sicuramente, a tratti anche tossico, come qualsiasi ambiente lavorativo. L’importante è andare avanti per la propria strada». 

Il confronto con suo padre che è riuscito a mandare 3 figli all’università con uno stipendio da operaio, neanche tutto utilizzato in casa, si fa quasi doloroso. Ma non è sufficiente a far perdere a Mariano la bussola di ciò che desidera veramente.

«Forse la cosa che mi spaventa di più, avendo visto qualche collega più grande che cominciava a comprare casa, a fare mutui, eccetera, è stata rendermi conto che finché non avrei avuto una posizione fissa non avrei potuto permettermi determinate cose».

Però tra il cambiare lavoro, farne un altro, avere la possibilità di fare un mutuo e continuare a fare questo lavoro, preferisco continuare a fare questo lavoro e stare in affitto.

C’è un’eredità però della sua infanzia che condiziona ancora oggi il modo in cui Mariano vive i soldi nel rapporto con gli altri. Fin da bambino osserva le dinamiche di potere legate al denaro, tra sua madre e suo padre. Lei si era occupata della casa per anni e a un certo punto, quando lui aveva 18 anni, aveva iniziato a lavorare come collaboratrice domestica.

«Ovviamente ha cominciato a lavorare per bisogno, nel senso che c’era bisogno che lei guadagnasse. E all’inizio non credo l’abbia presa bene. Per lei è stato uno shock, accompagnato anche ad altri tipi di vicende familiari, tra cui la perdita della sua nonna che le ha fatto da madre, perché mia madre è orfana. Dopodiché però, dopo questo shock ho notato anche un miglioramento, nel senso che lei, cominciando poi a guadagnare dei soldi suoi che, comunque spendeva per la famiglia ovviamente, è cambiata in senso positivo».

Le relazioni di potere

Anche se non ha il potere economico per divorziare, esito che sarebbe stato naturale, secondo Mariano, per il rapporto di coppia dei suoi genitori, la madre fiorisce non appena inizia a guadagnare.

Mio padre aveva più potere, nel senso che è chiaro che mia madre non era assolutamente autonoma: non avrebbe potuto portare avanti la famiglia da sola, in quella fase. Questo è in linea molto teorica perché poi dal punto di vista pratico i soldi che guadagnava mio padre non finivano tutti in famiglia, anzi forse una abbastanza piccola.

Questa dinamica però si scolpisce nell’immaginario di Mariano al punto che lui oggi dice una cosa piuttosto perentoria: 

«Non riuscirei a stare con una donna che guadagna più di me. È una frase brutta, però è vera, io lo penso veramente».

In quella situazione in qualche modo ci si è già trovato.

«La mia prima relazione seria con una ragazza fu abbastanza importante. Durò tre anni e lei spendeva molti soldi per la relazione e per me. Mi faceva dei bellissimi regali che io non potevo farle e questa cosa, all’epoca non l’avevo tanto focalizzata, mi faceva stare molto male. Forse è una questione legata a nuovi rapporti di forza. In generale, nelle relazioni che ho io preferisco avere una posizione di forza. Ad esempio, nel mio lavoro non ho una posizione di forza, quindi devo sempre stare a sentire il professore, e questo mi pesa. Ho l’obiettivo di avere una posizione di forza anche sul lavoro ma è un obiettivo che è a lungo andare. E credo che tramite i soldi passino tutti i rapporti di forza».

Però, in quella relazione per me era lei ad avere una posizione di forza perché io non potevo fare nulla. Per esempio, la vacanza estiva la pagava lei. Io si, ci mettevo qualcosina, ma alla fine pagava lei. E col senno di poi, per me era un po’ un’umiliazione.

Dicendo l’indicibile, Mariano ci permette di sporgerci sull’abisso creato dalle disuguaglianze economiche. Un abisso che fingiamo di non vedere raccontandoci che non ci importa, che apparteniamo tutti alla stessa classe sociale, ma che riusciremo a colmare solo se avremo il coraggio di guardarlo fino in fondo. 

«Talvolta ho notato il fatto che chi ha più soldi e si accorge che tu ne hai di meno ti tratta bene solo finché ne hai di meno. Appena cominci a uscire fuori e ad averne anche tu, a volte i rapporti cambiano, come se alcuni amassero quella posizione generosa. E finché non gliela togli va tutto bene. Quando poi gliela togli, le cose possono cambiare… i rapporti possono cambiare».

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