Il denaro non è più la mia unica ancora di salvezza
Per Marina, il denaro non è mai stato solo una questione di cifre, ambizione o apparenza, ma soprattutto di sicurezza. Per molto tempo, ha legato al saldo del suo conto non solo la sua stabilità emotiva, ma anche il proprio valore. E oggi, lontana dalle certezze del lavoro dipendente, sta vivendo un cambiamento profondo.
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«In questo momento sto riscrivendo il mio rapporto con il denaro. Prima avevo uno stipendio fisso, una cadenza mensile sicura, e questo mi dava una certa tranquillità. Ora non ho più un’entrata stabile, e sto imparando a sentirmi al sicuro anche in un contesto economico più incerto. È un cambiamento profondo, perché il denaro non è più l’unico punto di riferimento per il mio senso di sicurezza».
Per Marina, il denaro non è mai stato una questione di numeri, di avidità o di ostentazione, ma di sicurezza. Per lungo tempo, ha fatto dipendere dal suo conto in banca non solo il suo equilibrio interiore ma anche il suo valore. Oggi, fuori dagli schemi rassicuranti del lavoro dipendente è in atto un cambiamento profondo per lei, che ha scelto di ripercorrere assieme a noi.
La storia familiare di Marina
Marina Mangiat ha 36 anni, è originaria di Como, e oggi sta costruendo una nuova vita come insegnante di yoga e consulente di design. Da bambina cresce con un rispetto quasi religioso per i soldi.
«Il primo contatto che ho avuto con i soldi sono state le classiche paghette di compleanno, di Pasqua, di Natale, che zii e nonni mi lasciavano. Io li mettevo sempre da parte, cercando di non spenderli inutilmente. Mi ricordo che avevo delle monetine in un salvadanaio: ogni tanto lo svuotavo, le contavo tutte, le dividevo in piccoli gruppi… e poi le rimettevo dentro».
La nostra relazione con il denaro è spesso il frutto di dinamiche familiari che giacciono nel nostro inconscio. Marina se n’è resa conto solo di recente, grazie a un racconto riemerso dal passato.
«L’anno scorso è venuta fuori una storia di famiglia che riguarda la mia bisnonna. Era rimasta vedova nel giro di pochi anni dopo il matrimonio, con due figli a carico e pochi risparmi da parte. Un giorno si presentò un uomo che le disse: “Affidameli, li investo e li faccio fruttare”. Lei si fidò, glieli diede… e lui la fregò. Lì ha avuto un crollo, anche a livello psicologico. Questa storia, venuta fuori solo di recente, mi ha fatto riflettere su alcuni dei miei atteggiamenti attuali nei confronti del denaro».
Atteggiamenti che non hanno alcuna connessione con la reale situazione economica vissuta dalla famiglia di Marina.
«Abbiamo sempre fatto una vacanza all’anno d’estate e a scuola, se c’era una gita, potevo partecipare senza problemi. Non siamo mai stati ricchi, ma nemmeno in difficoltà… siamo sempre stati bene».
La ricerca di libertà
Dopo il diploma, Marina lascia Como per inseguire il suo talento creativo. Si iscrive al Politecnico di Milano per studiare Design della Comunicazione. E appena laureata, trova subito lavoro. Per lei, guadagnare non è solo una questione pratica, ma diventa il mezzo per affermare una libertà personale.
«Lì, sono diventata completamente indipendente, e per me questo ha significato non dover più dare spiegazioni a nessuno su come volevo usare i miei soldi. Se volevo fare un viaggio, lo facevo. Se volevo uscire a cena tre volte a settimana, lo facevo. Nel momento in cui ho raggiunto l’indipendenza economica, è stato come dire: ok, questo è il mio unico strumento di sicurezza. E da lì ho iniziato ad affidarmi totalmente, quasi esclusivamente, al denaro».
Dopo la prima esperienza lavorativa a Milano, Marina trova lavoro in Svizzera, dove guadagna 48mila euro all’anno. Questa maggiore disponibilità economica le fa fare un passo ancora oltre. Le dà il potere di non dover scendere a compromessi, neanche con gli amici.
«Per esempio, magari i miei amici organizzavano vacanze per andare a ballare, mentre io preferivo fare una vacanza per andare a fare snorkeling. Non era solo una questione economica, però di sicuro il fatto di avere un maggiore potere economico mi permetteva di dire: non ho bisogno di adattarmi a quello che vogliono fare gli altri. Potevo permettermi di partire da sola. Fino a quando ho avuto un lavoro da dipendente, questo è sempre stato il mio modo di pensare: non devo aspettare gli altri o adattarmi, posso fare quello che voglio, quando voglio, perché me lo posso permettere».
Un’arma a doppio taglio
Dopo due anni in Svizzera, Marina ha 28 anni, e per la prima volta si accorge che i soldi le danno sì sicurezza, autonomia, potere, ma che per garantirsi tutto questo si è infilata dentro una gabbia di infelicità.
«Mi sentivo come se la mia vita fosse finita lì. Avevo un lavoro a tempo indeterminato in Svizzera, guadagnavo bene, vivevo in un appartamento tutto mio… sembrava che tutto fosse a posto, ma allo stesso tempo sentivo che la mia vita si era chiusa lì. E questa sensazione mi ha fatto impazzire. Ero convinta che i problemi che avevo fossero esterni a me, ma in realtà ero infelice perché cercavo qualcosa che non riuscivo a darmi da sola. Così mi sono detta: vado il più lontano possibile, in un posto con una cultura diversa, una lingua diversa».
E così Marina lascia il lavoro in Svizzera, accetta la proposta di un’azienda tedesca e si trasferisce a Monaco di Baviera. Qui fa carriera, cambia tre lavori e arriva a guadagnare 64mila euro all’anno. Marina, che già lega al denaro il suo benessere interiore, a Monaco impara a chiedere aumenti.
«In Germania c’è una cultura del denaro diversa rispetto alla nostra, e se ne parla molto più apertamente. I miei colleghi, ad esempio, parlavano spesso di come si contratta. Mi dicevano: “Alla performance review potresti chiedere un aumento”. Condividevano quanto guadagnavano, senza paura, senza imbarazzo. Per me, la cosa più importante è stata proprio questa: riuscire a separare l’aspetto emotivo dal denaro. Prima, quando ero in Italia, solo parlare di stipendio mi faceva sentire a disagio. Mi vergognavo un po’ a chiedere di più, mi sentivo in colpa anche solo a pensare a un aumento. In Germania invece è normale: a un certo punto si chiede, punto».
Dopo cinque anni a Monaco, l’azienda per cui lavora avvia una fusione con una realtà francese, e ai dipendenti viene offerta la possibilità di lavorare da remoto. Marina decide così di tornare in Italia. In quel periodo però l’azienda comincia a dare segnali di difficoltà e lei, ormai allenata all’assertività finanziaria, si vede negata la richiesta di un aumento di stipendio.
«Il mio stipendio era fermo al 2020, e in Germania questa cosa è assurda: lì è normale avere un aumento ogni anno, più o meno. Per cui ero molto frustrata, anche dal punto di vista economico. Guadagnavo bene, avevo un ottimo stipendio, ma ero finita in un loop del tipo: non è mai abbastanza, mi merito di più, voglio di più. Anche se stavo bene, io quei soldi li volevo, perché dal mio punto di vista era un mio diritto averli».
La frustrazione però non è solo economica. Marina sente da qualche tempo l’interesse per aspetti più spirituali dell’esistenza, infatti si sta formando per diventare insegnante di yoga. Ma il suo buon guadagno è una gabbia di sicurezza e di orgoglio dalla quale fatica ad uscire.
«Quando sono tornata a vivere in Italia, parlando con il mio consulente di investimenti alle Poste, lui – vedendo quanto guadagnavo – mi ha detto: “Caspita, guadagni bene!”. E in quel momento ho provato una certa fierezza. Ma allo stesso tempo è stata proprio quella fierezza che, in parte, mi ha bloccata: non sono riuscita a licenziarmi. E poi, anche cercare altrove avrebbe significato cercare in Europa, in un posto dove potessero assumermi da remoto, perché uno stipendio come quello che avevo lì, in Italia non l’avrei mai trovato. E io non volevo assolutamente guadagnare meno. Infatti, sarei partita chiedendo almeno 70 mila euro, visto che venivo da uno stipendio di 64 mila: volevo qualcosa in più».
Una nuova strada
Alla fine, quella spinta che Marina non riusciva a darsi da sola, arriva dall’esterno. È l’azienda a prendere la decisione e lei viene licenziata.
«Quando sono stata licenziata, per me è stata una manna dal cielo, perché ero praticamente in burnout al lavoro.Però non avevo il coraggio di licenziarmi, anche perché quel numero che vedevo ogni mese sul conto in banca era come una conferma: cavolo, ho lavorato tanto, faticato tanto per arrivare a guadagnare questo, non voglio rinunciarci. Poi però mi hanno licenziato, e a quel punto ho dovuto semplicemente accettare che quella situazione doveva cambiare. Dentro di me, però, c’era ancora un’idea di status: collegavo un po’ quello che guadagnavo al mio valore personale».
A quel punto, Marina decide di mettersi in proprio, dividendosi tra alcuni progetti di design e l’attività di insegnante di yoga. Ha da parte 30.000 euro di risparmi e può contare su un’ottima Naspi. Ma quell’idea del denaro come unica fonte possibile di sicurezza non è un interruttore che si spegne da un giorno all’altro.
«Ti dico la verità, ci sono ancora momenti in cui mi prende il panico, e letteralmente penso: e se non riesco a ingranare col lavoro, come faccio? È vero, ho ancora dei risparmi, ma i risparmi non sono infiniti. Quindi ci sono momenti in cui riesco a sentirmi a mio agio nell’incertezza, e altri in cui invece ho un po’ di paura».
Mentre muove i primi passi in questo mondo del tutto nuovo, Marina continua a investire e a monitorare con cura ogni entrata.
«Quando ho aperto il fondo d’investimento penso di aver messo circa 5.000 euro, e poi ogni mese versavo 100 euro. C’è stato un periodo in cui le cose andavano piuttosto bene e ho aggiunto altri 10.000 euro. E anche adesso, pur non avendo un lavoro fisso o uno stipendio stabile, continuo a versare 100 euro ogni mese su questo fondo, e 50 euro nel fondo che ho alle Poste. Ho sempre avuto l’idea di reinvestire i soldi, di farli lavorare per me».
E oggi, mentre il suo rapporto con il denaro continua a evolversi, Marina si permette qualcosa che un tempo le sembrava impensabile: allentare la presa sulla sicurezza economica per lasciare spazio al caso e alle possibilità.
«Io ho grande rispetto per il denaro, non lo idolatro, però lo rispetto molto perché lo vedo come il mezzo per realizzare i miei sogni. Secondo me il rapporto con il denaro è in continua evoluzione: non è più la mia unica ancora di salvezza. C’è, forse, più flessibilità, più fiducia nel credere che ciò che mi serve per vivere, ad un certo punto, arriva».