Il paradosso della ricchezza: più guadagnavo, più mi sentivo infelice
Marco ha 33 anni e viene da Pumenengo, un piccolo paese in provincia di Bergamo. Da tre anni vive su quattro ruote, trasformando un van nella sua casa e facendo della fotografia la sua professione itinerante. Dopo una vita più stabile e convenzionale, ha scelto la libertà, costruendo una quotidianità a contatto con la natura e lontano dai modelli tradizionali di felicità.
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«Ho cambiato tre posti di lavoro, sempre in fabbrica e sempre nel settore metalmeccanico. Ovviamente l’ho fatto per ottenere uno step economico in più, ma era un tipo di lavoro in cui, man mano che aumentava la retribuzione, aumentavano anche l’infelicità e lo sconforto. Alla fine ho capito che non erano i soldi a rendermi felice: avevo bisogno di vivere, di fare esperienze, di abbandonare certe visioni della vita».
Negli ultimi anni, centinaia di migliaia di persone in Italia hanno lasciato volontariamente il proprio lavoro. È il segnale di una crisi profonda, che mette in discussione il valore economico del lavoro e il ruolo che occupa nelle nostre vite. Una spinta collettiva verso priorità diverse, più vicine al benessere personale che alla carriera. Marco Fogliata è una di queste persone.
Il paradosso della ricchezza
Marco ha 33 anni e viene da Pumenengo, un piccolo centro di circa duemila abitanti in provincia di Bergamo. Da tre anni ha scelto di vivere su quattro ruote, trasformando un van nella sua casa e la sua passione per la fotografia in una professione che può fare in maniera itinerante.
Mamma insegnante e papà commerciante, la sua è una famiglia solida, senza difficoltà economiche. I soldi, nella narrazione familiare, sono la chiave che apre ogni possibilità di essere felici.
«Ho sempre visto persone lavorare sempre di più per guadagnare sempre più soldi. Gente intorno a me che si preoccupava tantissimo del denaro, degli investimenti, del fatto che tutto andasse per il meglio. Diciamo che il concetto di vita e di ricchezza era questo: fai i soldi, e con i soldi potrai avere tutto quello che desideri — un buon lavoro, una famiglia, una casa. Questo, teoricamente, sarebbe tutto ciò che ti serve per essere felice. Ma, spoiler: io tutta questa felicità in casa non l’ho mai vista, nonostante ci fossero le disponibilità economiche».
E infatti, fin da quando è bambino, Marco rifugge quest’idea di ricchezza.
«Non volevo sembrare troppo benestante. Mi ricordo che, da bambino, quando dovevo comprare un paio di scarpe, un vestito o qualcosa del genere, cercavo sempre di non apparire “troppo”. Se mia mamma voleva comprarmi delle scarpe da 200 euro, le dicevo: “No, mamma, teniamoci un attimo bassi”. Non mi piaceva, volevo restare umile».
Una vita semplice
Negli anni dell’adolescenza, Marco cambia spesso direzione. Si iscrive a ragioneria, poi prova con l’istituto per geometri. Percorsi iniziati ma mai conclusi, che alimentano il divario tra la sua indole e la visione dei genitori.
«La visione era che, se non studi, non potrai mai ottenere quel grado in più sul lavoro — e quindi non potrai guadagnare certi soldi. Banalmente, resterai sempre un operaio, un impiegato qualsiasi, e non farai mai quel salto che, teoricamente, dovrebbe portarti alla felicità: poterti comprare una bella macchina, una bella casa, tutte cose che dovrebbero renderti felice».
Tutto ciò che vuole Marco, invece, è l’indipendenza economica, e la possibilità di raggiungerla nel minor tempo possibile.
«E quindi, contrariamente a quello che volevano i miei genitori, sono uscito di casa molto presto e ho iniziato a lavorare altrettanto presto».
A diciott’anni Marco lavora come cameriere, si adatta, sperimenta. Poi arriva l’occasione in fabbrica: un posto fisso, un contratto a tempo indeterminato, e la promessa di una vita stabile.
«Il mio primo stipendio in fabbrica era tra i 1.500 e i 1.800 euro. Per me significava potermi permettere di uscire a fare un aperitivo, andare a cena con gli amici, andare in discoteca, e godermi tranquillamente le vacanze di agosto e quelle di dicembre».
È in quel periodo che, insieme alla sua compagna, fa il grande passo e acquista casa.
«I miei genitori avrebbero voluto comprarmi una casa, ma io non volevo: volevo fare tutto con le mie forze. Per me l’indipendenza economica significa cavarsela da soli con i mezzi che si hanno, adattando il proprio tenore di vita a ciò che si guadagna. Io, ad esempio, inizialmente non potevo permettermi un mutuo e sono rimasto in affitto finché non ho potuto farlo».
«Quando poi ho raggiunto una maggiore stabilità economica, ho deciso di fare quel passo in più. Ovviamente, banalmente, i miei genitori — non so, a Natale — hanno l’usanza di regalare a tutti i fratelli 500 o 1.000 euro, e non è che li rifiuto: deve essere un regalo, non un aiuto».
In questa vita regolare ma autonoma che si è costruito, Marco si sente a suo agio.
«Ai tempi mi piaceva il mio paesino. Avevo la mia compagnia, avevo anche la mia ragazza, che era sempre dello stesso paesino, e questo mi piaceva. Avevo una routine: finito di lavorare, si andava a fare l’aperitivo con gli amici».
Ma è proprio mentre tutto sembra andare secondo i piani che Marco inizia a sentirsi stretto in quella vita.
«Poi, ovviamente, col passare degli anni è subentrata la domanda: “Ma io sono felice facendo questa cosa per 8-10 ore al giorno?”. Ho iniziato a sentirmi grato di avere una casa mia, una macchina, la mia indipendenza, ma allo stesso tempo cominciavo a provare un po’ di infelicità. Sentivo che non era tutto e che non potevo continuare a vivere una vita in cui così tante ore della giornata mi venivano portate via da qualcosa che non sentivo mio».
La scoperta di una nuova passione
Nel frattempo, quasi per caso, durante un viaggio alle Hawaii, Marco scopre la fotografia e ci si appassiona subito.
«Avevo scoperto di essere abbastanza portato per la fotografia e che mi piaceva davvero. Così guardavo tutorial, studiavo e leggevo tutte le informazioni che riuscivo a trovare. Pian piano ho capito che poteva darmi una soddisfazione personale, interiore, ma anche economica. Ho quindi iniziato a integrare il mio lavoro in fabbrica con piccoli lavoretti, scattando qualche foto alle famiglie del paese. Poi ho aggiunto, piano piano, altri ambiti come gli eventi, la ristorazione, i matrimoni: un percorso che continua a evolversi».
Col passare del tempo, Marco riesce a costruirsi un buon giro di clienti e inizia a maturare un’idea che fino a poco prima sembrava impensabile: lasciare il posto fisso per dedicarsi completamente alla fotografia freelance.
Non è solo una questione di lavoro. Il desiderio di allontanarsi dalla realtà del piccolo paese si fa sempre più forte. Così, insieme alla compagna, prende una decisione che segnerà un cambio di rotta radicale: acquistano un van e pianificano di trasferirsi in Spagna.
«Con i social network abbiamo scoperto questa possibilità di vita. Vedevamo molte coppie, tante persone che avevano intrapreso questo stile di vita e pensavamo: “Wow, si vive a stretto contatto con la natura, senza tutte quelle spese che a un certo punto della mia vita consideravo inutili».
Ma siamo nel 2020, e la pandemia stravolge ogni piano. Il progetto di una nuova vita in van, sulle strade della Spagna, si blocca ancora prima di cominciare. E anche la loro relazione arriva a un bivio: decidono di separarsi e insieme scelgono che sarà lei a tenere la casa.
«C’è stato un momento in cui mi sono chiesto: “Ok, e ora cosa faccio?”. Non avevo la minima idea di comprare una casa, quindi ho deciso di temporeggiare. Avevo comunque una casa su ruote, un van. Sono rimasto lì, e invece di comprare una casa, ho completamente ristrutturato il van, perché era un posto che mi faceva sentire davvero a casa».
Il cambio di rotta
E così, da tre anni a questa parte, Marco vive nel suo van. Si sposta di continuo, lavorando come fotografo freelance e costruendo la sua quotidianità a stretto contatto con la natura. La sua routine, oggi, segue ritmi completamente diversi rispetto a quelli di un tempo. Nel corso dell’anno si prende lunghe pause per viaggiare.
«Tre anni fa sono stato in Sardegna per sei mesi, perché avevo una certa disponibilità che me lo permetteva. Quest’anno, invece, ho fatto un viaggio — diciamo “solo” — di due mesi e mezzo, perché ho progetti lavorativi più grandi. Indicativamente, la mia stagione lavorativa inizia intorno a marzo-aprile e termina verso novembre-dicembre, semplicemente perché nel mio ramo della fotografia c’è poca richiesta nei mesi invernali: è rarissimo che le persone si sposino a dicembre o gennaio, e anche i servizi di famiglia sono quasi inesistenti».
Prima di lanciarsi in questa nuova avventura, però, Marco non ha lasciato nulla al caso. Si è costruito un fondo d’emergenza: una somma di circa 8.000 euro, pensata come un cuscinetto contro gli imprevisti.
«Quindi non è quella somma che ti fa dire: “Ho 50 mila euro, 100 mila euro, posso permettermi di investirne 70 perché ne ho 30 pronti”. Per me, è una cifra che mi fa stare bene psicologicamente. La mia idea è che questi risparmi non devono mai scendere; questo mi aiuta tantissimo, perché so che quello è il mio zero, deve rimanere intatto. So di averlo e so che al momento mi basta. Se avessi soldi in più, li userei per esperienze: un viaggio più costoso, un traghetto che comporta una spesa maggiore, o un mese in più di viaggio».
Marco fa un budget annuale molto accurato.
«Io ho un progetto annuale di tutte le spese che devo affrontare. Non si tratta solo delle spese mensili come il cibo o il gasolio, ma anche dell’assicurazione, del bollo, della sostituzione delle gomme. Faccio una stima di tutto l’anno e poi la divido per 12 mesi. Molta gente che vive in camper dice: “Noi spendiamo 400 euro al mese”. Sì e no. Certo, si spendono circa 400 euro per cibo, gasolio, ecc., ma non si considerano tutte le altre spese. Onestamente, io spendo intorno ai 700-800 euro al mese».
Nel suo stile di vita oggi non ci sono rinunce. Ma un semplice adattarsi ai bisogni attuali.
«Ho imparato ad avere un tenore di vita basso, forse proprio perché non sono mai stato così legato al fare soldi. Non ho mai guadagnato cifre altissime, e quelle che guadagnavo le usavo per fare esperienze. Al momento non ho famiglia e non sento vincoli. Quando ci sarà, ci saranno sicuramente spese in più da sostenere, e io mi muoverò in base a queste».
Mi resta una curiosità. Che idea hanno i genitori di Marco di questa vita che lui si è cucito addosso.
«Nonostante siano ormai tre anni che vivo in van, c’è sempre qualcuno che dice: “No, ma fermati qui a dormire”, oppure “No, mangia qui”. Io lo capisco benissimo. Non riescono a capire che per me questa è casa. Quindi lo hanno accettato, ma non lo approvano del tutto».