La mia cura per lo stress era comprare, comprare, comprare…

Maurizio ha 47 anni e vive a Parma con la moglie e due figlie. Proviene da una famiglia benestante: entrambi i genitori avevano un buon stipendio, e durante la sua adolescenza non gli hanno mai fatto mancare niente, se non la visione che esistesse qualcosa all’infuori dello studio e del lavoro. Secondo la loro “religione”, andare bene a scuola era la priorità, tanto che Maurizio inizia già dalle scuole primarie a sentire lo stress del dover sempre emergere. Un peso che si porta dietro anche da adulto, quando si rende conto che il mondo lavorativo è pieno di ingiustizie e disparità. Inizia così a sfogare la rabbia nelle spese superflue, depotenziando lo stress che accumula nello shopping compulsivo. Compra oggetti di ogni tipo, tanti di ogni tipologia: 3 tavole da surf, 30 skate, decine di zaini sportivi, migliaia di libri, cd, vinili... Tutti chiusi in cantina, dentro scatole. Con il tempo, tanta psicanalisi e l’aiuto di sua moglie, Maurizio ha iniziato a liberarsi delle cose superflue, vendendole sulle piattaforme dell’usato: «Non ho mai sopportato l’essere vincolato a qualcosa e ho capito che avevo finito per sentirmi ostaggio degli oggetti. Le prime volte in cui li ho lasciati andare ho fatto fatica: li mettevo in vendita, poi li toglievo, li rimettevo e così via. Dopo però è stato più forte il piacere di vendere che quello di tenere».

Ascolta il podcast della puntata:

Io compravo tantissimi cd, libri, fumetti. E poi c’erano i vestiti, le scarpe, gli zaini. Non che dovessi farci chissà che cosa, però ero un accumulatore seriale. Ne compravo tantissimi e di tantissimi tipi. I miei acquisti non erano focalizzati a un utilizzo, però avevo questa modalità di gestione dello stress. E il risparmio non era nelle mie priorità.

Comprare può ridurre lo stress e la malinconia. Ma cosa succede quando le cose prendono il comando sulla tua vita? In questa puntata di Rame, Maurizio ci accompagnerà per mano a scoprirlo.

Un’adolescenza permeata da studio e disciplina

Maurizio, classe 1976, vive a Parma con la moglie e due figlie e lavora in un’azienda come tecnico commerciale. Proviene da una famiglia benestante: entrambi i genitori facevano gli insegnanti, avevano un buono stipendio, e durante la sua adolescenza, non gli hanno mai fatto mancare niente, se non la visione che esistesse qualcos’altro oltre lo studio e il lavoro. 

«Durante tutta la mia infanzia, più che dei soldi i miei si occupavano del lavoro come status sociale, quindi non c’era nient’altro che il lavoro e niente interessi che fossero troppo strani. Rapportato però alla mia infanzia, più che il lavoro c’era lo studio. Quindi si trattava di studiare, studiare, studiare».

Andare bene a scuola era fondamentale secondo la religione del “lavorare sodo” professata in casa. Maurizio però, inizia già nelle scuole primarie a sentire lo stress del dover sempre emergere.

«Le elementari sono andate abbastanza lisce, ma ero sempre in pole position tra quelli che facevano un po’ tutto. Alle medie i miei hanno scelto un collegio privato maschile e quindi sono stati tre anni di studio praticamente senza fine e con poche amicizie. Poi alle superiori ho fatto una scelta personale. Anche in quel periodo, però, sentivo sempre la pressione di dover essere il primo della classe. Per loro era importante dare sempre il massimo e non c’era giustificazione a non andar bene».

Per far fronte al peso di essere sempre il più bravo della classe, Maurizio  trova un suo metodo.

Tutto questo stress lo sfogavo nelle spese superflue. Quindi questo acquisto compulsivo si era già manifestato quando io facevo le scuole per gestire lo stress di queste elevate prestazioni richieste.

Dopo le scuole superiori Maurizio si iscrive a Ingegneria Civile e inizia quello che è stato il suo primo vero periodo di crisi. 

«Era una crisi legata al fatto che non ero più il primo della classe. Stavo perdendo tempo perché non avevo fatto la scelta giusta per me, però non mi è mai venuto in mente di cambiare università. Mi sono intestardito a finire ingegneria. Poi, durante i primi anni mi sono un po’ perso e ho deciso di fare un corso molto più breve, quindi ho finito i corsi di studio in tre anni e sono andato subito a lavorare. Nonostante spendessi, sentivo sempre la pressione di avere pochi soldi, o di non averne. Ero ossessionato da questo pensiero, per cui prima finivo l’università, meglio era».

Maurizio, durante gli studi lascia che i genitori lo mantengano. E benché questo avvenga senza particolare fatica da parte loro, a un certo punto la mancata autonomia finanziaria inizia a essere un problema angosciante. 

«Molti miei amici invece si facevano le campagne, lavoravano, guadagnavano e si pagavano gli studi. A ripensarci, forse all’epoca sarebbe stato più stimolante uscire da Parma e trovarmi in una situazione più difficile, magari cercando un lavoretto e mantenendomi. Forse sarei stato anche più lucido. Anche in questo senso forse avevo meno l’idea del denaro come obiettivo per poterlo utilizzare per le cose primarie. Invece io avevo un po’ tutta la pappa pronta perché i miei mi hanno sempre pagato l’università».

La rabbia di non trovare ciò che cerca

Maurizio ha fretta di iniziare a lavorare, ma il mondo del lavoro non è come se lo aspettava.

«Io ho lavorato sempre nel mondo dell’edilizia, quindi ho visto situazioni lavorative e personaggi direi abbastanza spiacevoli. Dove sono adesso tutto sommato si sta bene, però sentendo anche i miei amici e le stranezze che hanno vissuto, direi che ho una pessima opinione del mondo lavorativo. Io di mattina mi alzo sempre innervosito, sia per la questione del risparmio, sia sapendo che ci sono degli squilibri di stipendi pazzeschi. C’è gente che prende stipendi altissimi, e altri che a parità di titoli di studio ne prendono molto meno». 

Quello che ti costringe il lavoro a fare mi innervosisce perché il lavoro dovrebbe essere una cosa che tu fai in maniera piacevole per accrescerti oppure per realizzazione personale. Per me non è così. In Italia, la situazione lavorativa è ferma a cinquant’anni fa.

La rabbia per le disparità salariali allontanano progressivamente Maurizio dalla visione che i suoi genitori avevano del lavoro, che per lui oggi è solo lo strumento per guadagnare i soldi per vivere.

«Attualmente, con l’età che ho, ho lasciato perdere i sogni che avevo. Prima non mi interessava andare verso altre direzioni lavorative, adesso forse sì. Ma farlo in questo momento con tutta la famiglia a carico è un po’ complicato e non me la sento di buttarmi e stravolgere tutto. Per cui si tratta solo di arrivare alla fine del mese. Purtroppo, perché non erano quelle le idee che avevo da ragazzo».

Anche il tempo adesso è diventato una merce di scambio. Tu baratti il tuo tempo per anni con qualcuno che ti dà dei soldi per stare lì. Io lavorerei anche un po’ meno per avere forse anche meno. Però vorrei avere più tempo per la mia famiglia.

Il suo modo di depotenziare lo stress

Maurizio è arrabbiato perché guadagna troppo poco, 1500 euro con 20 anni di esperienza alle spalle.  A quella rabbia, però, da forma bruciando più della metà del suo stipendio in oggetti del tutto voluttari. Ama il Giappone e acquista decine di stampe e oggetti giapponesi. Adora gli zaini e arriva a possederne più di 20. 

«Come sempre mi appassiono a tutto e compro tutto. Ma finisce che le cose stanno chiuse in cantina, per cui di fatto non le utilizzo. E anche quello è un peccato, perché sono tanti soldi buttati per niente. E nelle scatole ci sono riviste, giornali, dvd. Ho comprato migliaia di cd perché mi piace moltissimo la musica, anche di libri ne avevamo a vagonante. A pensarci bene potrei liberarmi di tutto perché non c’è nulla di indispensabile però se dovessi dire una cosa di cui sono contento sono le tavole da surf e quelle da skate».

Di tavole da surf ne ha tre di tavole, da skate circa 30. Maurizio nel corso della sua vita è passato da un analista all’altro, sviscerando tutto il possibile. Finalmente ha trovato una microstrategia difensiva.

Imparare a lasciar andare gli oggetti

«Col tempo ho messo insieme diverse cose che mi hanno detto in tanti, e cioè che quando questo impulso incredibile di comprare una cosa perché in quel momento sono girato di scatole, devo rimanere un attimo calmo, non fare assolutamente niente, perché potrei creare un disastro, e lasciare un attimo scorrere la questione e poi riprenderla in maniera successiva. Riprenderla dopo perde tutta la carica che ti può far spendere in maniera compulsiva».

Oltre a fermare la sua mano prima di premere il tasto “compra”, Maurizio ha iniziato a vendere tutto ciò che ha accumulato.

«Poco alla volta, anche mia moglie mi ha insegnato un po’ a fare di decluttering. Ogni X mesi buttiamo un sacco di cose. Per esempio, con degli zaini che avevo comprato ci siamo fatti un viaggio quest’estate. Quindi ne spendevo troppi e li spendevo male». 

Ma cosa si prova a lasciar andare qualcosa che si è comprato per riempire un vuoto?

«Le prime volte ho fatto fatica, perché le mettevo in vendita, poi le toglievo, le rimettevo e così via. Però è stato più il piacere di vendere dopo che quello di tenere».

Io non ho mai sopportato l’essere vincolato a qualcosa e mi sentivo un po’ ostaggio degli oggetti. Quindi adesso quando vendo un oggetto sono molto, molto, molto contento e molto più rilassato. Anche il risparmio mi fa alleggerire perché non mi sento prigioniero dell’acquisto.

Oggi Maurizio è arrivato a contenere le spese voluttuarie a un terzo del suo stipendio. 

«L’obiettivo è quello di ridurre le spese extra e di trovare un equilibrio tra quello che può servire durante un mese e il resto cercare di metterlo da parte. Mi piacerebbe arrivare a dire “Sono tranquillo questo mese perché non devo prendermi tutte le cose che mi saltano in testa. Quindi, quali soldi posso spendere per la famiglia e quali posso metterli da parte?”»

Consapevole del suo percorso, Maurizio sa bene che cosa vuole dal suo futuro e cerca, nella sua quotidianità, di lottare per il suo obiettivo.

Tra cinque anni mi aspetto di avere ormai raggiunto uno status di equilibrio, di non avere più questo demone della spesa compulsiva che ho sempre sulla spalla. A livello lavorativo mi piacerebbe crescere un po’, però il fatto di poter spendere meno e aver maggior controllo delle mie spese, sarebbe già tanto.

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