L’app
di Rame

Ho guadagnato tanto per poter scegliere, non per spendere

In un mondo in cui accumulare ricchezza diventa quasi un riflesso automatico, da cui è difficile sottrarsi, Ingrid sceglie di offrire ai suoi figli un’altra prospettiva: quella di potersi fermare, riconoscere la stabilità conquistata e investire parte di ciò che ha ottenuto in un progetto personale, senza certezze, ma ricco di significato.

Tempo di lettura: 11 minuti

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Ascolta il podcast della puntata:

«Oggi, guadagno molto meno di mio marito, ma non sono più quella persona che ha scelto economia solo per avere un lavoro stabile e uno stipendio sicuro. Ho fatto un percorso di crescita e mi sono riconosciuta nel mio lavoro. Per questo sono felice di trasmettere ai miei figli un messaggio diverso: nonostante le difficoltà economiche che affronto, vedono una madre realizzata, non frustrata».

In un sistema in cui l’accumulo di ricchezza diviene un automatismo da cui si fatica a uscire, Ingrid sceglie di mostrare ai suoi figli una via alternativa: la possibilità di fermarsi, godere della sicurezza economica raggiunta e investire parte della ricchezza in un progetto proprio, dal risultato non garantito.

L’infanzia in Albania

Ingrid Leka ha 45 anni, vive a Milano e oggi fa l’artista. La sua storia, però, inizia dall’altra parte dell’Adriatico, in Albania, dove ha vissuto i primi tredici anni della sua vita. Era il 1993 quando, insieme alla madre e al fratello, ha raggiunto il padre in Italia.

«In realtà mio papà è arrivato due anni prima di noi, con il famoso barcone che attraccò a Bari. Dopo l’arrivo ha trovato lavoro, si è sistemato, e poi ha potuto chiedere il ricongiungimento familiare. Così è iniziata per me, mia madre e mio fratello una nuova vita qui in Italia».

Una nuova vita che, fino a quel momento, Ingrid aveva potuto solo immaginare.

«L’Albania, all’epoca, era un regime comunista, quindi non si sapeva quasi nulla di ciò che accadeva fuori. Io vivevo a Durazzo, abbastanza vicino al mare, e grazie all’antenna riuscivamo a captare qualche rete del sud Italia, come Telepuglia o Telenorba. In questo modo avevamo un minimo di apertura verso l’esterno, ma in generale tutto era molto chiuso».

In quella realtà controllata dal partito, il destino di ognuno veniva deciso dall’alto. Il padre di Ingrid lavorava come chimico, mentre la madre sarebbe voluta diventare medico.

«In Albania il diritto allo studio era garantito, ma era lo Stato a decidere dove mandarti. Potevi esprimere delle preferenze, ma alla fine era il partito a stabilire il tuo percorso. Mia madre, per esempio, voleva studiare medicina, ma le assegnarono veterinaria. Lei non voleva farla, così le rimase un’alternativa: lavorare di giorno, in un impiego che le veniva assegnato dal partito, e studiare la sera quello che desiderava. Non medicina, però, perché per quella era obbligatoria la frequenza diurna. Alla fine scelse economia e si laureò frequentando i corsi serali. È proprio durante quel periodo che ha conosciuto mio padre».

Le questioni economiche non erano centrale nelle vite familiari.

«In Albania non si parlava molto di soldi, era un tema quasi assente nella vita quotidiana. Tuttavia, la retribuzione dipendeva dal titolo di studio: chi era laureato riceveva lo stipendio più alto. C’era anche una reale parità di genere, perché uomini e donne venivano pagati allo stesso modo. In casa i soldi non mancavano, ma non venivano spesi per grandi cose o per lussi particolari».

Il problema, semmai, era un altro: anche volendo, non si poteva comprare molto.

«Durante la mia infanzia non ho mai percepito ansia legata al denaro. Quello che ho sentito, invece, è stata la mancanza di beni materiali. Ma era una mancanza che prescindeva dai soldi: anche se li avevi, non era detto che potessi comprare ciò che volevi. In Albania, le cose erano davvero poche e scarse, e lo Stato decideva quanto spettasse a ciascuna famiglia. Per esempio, si aveva diritto a due chili di carne al mese a persona, un chilo di formaggio a testa… e non era possibile avere di più. Quello c’era, e con quello si viveva».

Una nuova vita in Italia

Quando nel 1993 finalmente anche Ingrid, la madre e il fratello raggiungono Rozzano, alle porte di Milano la vita familiare prende una nuova piega. La madre, che in Albania lavorava, una volta in Italia, non riprende un’attività professionale. Lì inizia a cambiare anche il modo in cui la famiglia gestisce il denaro.

«Quando mio padre è diventato l’unico a portare a casa lo stipendio, a un certo punto si è instaurata l’idea che spettasse a lui decidere anche come impiegare quei soldi. Prima, invece, quando entrambi contribuivano allo stesso modo, le scelte si prendevano insieme. Immagino sia una questione psicologica: se sono io a guadagnare, allora sento che ho il diritto di decidere come spendere. Anche se, paradossalmente, l’altra persona — in questo caso mia madre — era più competente in materia perché era laureata in economia».

Nonostante l’arrivo in un Paese dove il consumo non solo è libero, ma continuamente incoraggiato, la gestione del denaro in casa Leka rimane prudente.

«Siamo sempre stati abituati a guardare prima il prezzo, e questa abitudine, in effetti, mi è rimasta. Ancora oggi non provo un vestito se prima non so quanto costa. Crescendo in una famiglia con un solo reddito, era naturale dover fare scelte oculate. Dovevamo gestire bene le spese per riuscire, quando possibile, anche a mettere qualcosa da parte».

Sul fronte dello studio, le scelte di Ingrid sono guidate dal faro dell’indipendenza e del benessere economico.

«Mi sono detta: devo fare qualcosa che mi garantisca un reddito, che mi permetta di mantenermi da sola e di essere indipendente dal punto di vista economico. È per questo che ho scelto economia. Altrimenti, se avessi seguito solo la mia passione, avrei studiato fisica».

Il benessere economico

Ingrid si iscrive alla Bocconi, scegliendo il corso di laurea in Finanza. È molto brava e questo le permette di ottenere subito una borsa di studio.

«Anche per ragioni legate al reddito familiare, oltre al fatto che avevo una media altissima — 29.29 —, ho sempre avuto la borsa di studio. Questo significava che non pagavo la retta, e in più ricevevo anche un contributo economico».

Conclusi gli studi in Bocconi, Ingrid entra subito nel mondo del lavoro. Dopo qualche esperienza in Italia, arriva la svolta: JP Morgan la chiama a Londra, per un ruolo ad alta specializzazione.

«Lì mi occupavo di derivati strutturati su tassi d’interesse e Fx, quindi era un lavoro tecnico, fortemente matematico, nell’ambito della finanza strutturata».

È il punto di ingresso in un mondo di opportunità e, per la prima volta, anche di ricchezza.

«Dal punto di vista economico è stata una soddisfazione enorme, perché a Londra vieni pagato per quello che fai, non per l’età o per quante persone conosci. Lì è davvero bellissimo: ti danno responsabilità e, se sei in grado di gestirle, ti ricompensano. Il mio primo bonus, seppur il più basso, è stato il più bello, perché non avevo mai visto così tanti soldi tutti insieme. Con quel denaro ho subito ripagato la somma che mi avevano prestato i miei genitori e ho fatto diverse cose. Dal punto di vista dell’abbondanza economica, si vedeva davvero la differenza».

«Lì, ho cominciato anche a mettere qualcosa da parte e ho fatto una delle mie scelte migliori: il matching contributions, cioè un sistema in cui versi una percentuale del tuo reddito nel fondo pensione e l’azienda per lui lavori lo matcha. Nel mio caso, l’azienda lo raddoppiava».

Anche nel cuore di Londra, Ingrid rimane fedele a una gestione finanziaria attenta, con una sola piccola eccezione simbolica.

«L’unica cosa che mi piaceva fare quando ricevevo il bonus era regalarmi una bella borsa, visto che gennaio è anche il mio compleanno. Così adesso ho diverse borse Louis Vuitton, tutte bellissime».

Una nuova traiettoria

Dopo cinque anni a Londra, Ingrid decide di tornare in Italia, dove vive il suo compagno, per costruire una famiglia. La sua traiettoria professionale prende dunque una nuova direzione.

«Ho deciso di passare alla carriera da libera professionista e di creare un business nel campo della consulenza finanziaria. Però, come consulente indipendente, devi costruirti da zero tutto il pacchetto clienti: nessuno te lo dà già pronto. È stata una doccia fredda, soprattutto per la perdita significativa di reddito».

Mentre Ingrid diventa madre di tre figli, l’attività da consulente finanziaria non ingrana. Quel lavoro non le restituisce quanto dà, né economicamente né emotivamente.

«Mi sono resa conto che la consulenza finanziaria non faceva per me. Non so se fosse una questione legata all’Italia o al fatto che sono una persona molto tecnica, ma mi mancavano un po’ le competenze relazionali necessarie per quella parte del lavoro. Di conseguenza, non è andata molto bene. Ho capito anche che non sono molto brava a vendere».

Ed è in quell’insoddisfazione, che mette radici una nuova possibilità: esplorare il mondo artistico.

 «È sempre stato lì, chiuso in una stanza, e con quegli ultimi soldi rimasti da JP Morgan, ho deciso di fare un investimento e aprire un mio laboratorio per esplorare questo nuovo mondo. Ho preso in affitto uno spazio tutto mio, perché per le tele che realizzo ho bisogno di ambienti ampi».

«Vedo nell’arte un modo per esprimere me stessa. Per tutta la vita mi sono tenuta lontana da questo mondo, ma penso che con la maturità, con i figli, sia arrivato il momento di cambiare anche il mio modo di essere e di rapportarmi agli altri. La parte artistica è, in fondo, un mettere a nudo ciò che hai dentro perché sulla tela metti tanto di te stesso, e probabilmente avevo bisogno di esplorare anche questo mondo».

In un primo momento Ingrid cerca di tenere insieme la vecchia e la nuova vita.

«Ho pensato di portare avanti entrambe le strade, come se il lavoro da consulente finanziaria potesse, in qualche modo, sostenere la parte artistica. Poi però ho capito che non poteva funzionare così, perché non dipingevo solo per me stessa: volevo anche che ci fosse un vero business dietro al mio lavoro artistico.»

Riconoscere il proprio valore

Così Ingrid cede il portafoglio e investe i proventi di quella cessione nella sperimentazione della sua attività artistica. È una scelta tutt’altro che semplice. Come spesso accade nel mondo dell’arte, l’inizio è segnato da molte incognite.

«Nei primi anni, anche gli artisti che poi diventano bravi fanno fatica, perché devono prima capire cosa gli piace davvero e cosa, di ciò che piace a loro, piace anche al pubblico. È proprio una fase di esplorazione. Adesso sto costruendo il mio mercato piano piano, facendomi conoscere un po’ sui social e partecipando a piccole esposizioni».

Questo passaggio è possibile, per Ingrid, sia grazie alla stabilità finanziaria costruita in vent’anni di lavoro. Sia grazie alla percezione di avere in qualche modo adempiuto il proprio ruolo sociale.

«Ritengo che la società ponga un grande peso sulle donne, perché sono loro a dover affrontare la gravidanza, crescere i figli e occuparsi soprattutto della loro prima infanzia. Tuttavia, una volta compiuto questo percorso, sembra che la società riconosca il loro dovere assolto, concedendo loro finalmente la libertà di scegliere ciò che desiderano fare. Oggi, io mi sento libera: mi sono sposata, ho avuto i figli, ho messo da parte un po’ di soldi, e adesso posso permettermi di fare ciò che desidero. Voglio fare l’artista, e così faccio».

Una scelta che Ingrid ritiene profondamente educativa anche per i figli.

«Il fatto che mio marito abbia un lavoro stabile è stato uno dei motivi che mi ha spinta a fare questa scelta. Ma questa decisione ha anche un valore educativo nei confronti dei miei figli: loro vedono una madre realizzata in quello che fa, non frustrata. Perciò, sono felice di farli crescere esposti anche a questa realtà, nonostante le difficoltà economiche che sto affrontando, dato che attualmente vendo pochi pezzi».

Questo cambio di vita ha richiesto un nuovo patto familiare.

«Con mio marito abbiamo raggiunto un accordo: d’ora in poi sarà lui a contribuire alle spese familiari, mentre tutto quello che guadagnerò come artista lo metterò da parte per il mio fondo pensione o per altri investimenti per la vecchiaia. Io mi occupo principalmente della famiglia, anche se abbiamo dei supporti esterni. Prima mi arrabbiavo per dover gestire anche certe cose, ma adesso, sapendo di non dover contribuire economicamente, mi sento più equilibrata nel nostro rapporto, perché contribuisco in un altro modo.»

Le chiedo se, ogni tanto, senta un po’ di ansia finanziaria.

«Sì, certo, ho bisogno anch’io di iniziare a vendere più opere per poter andare avanti. Ma sono serena, perché credo davvero che ciò che creo abbia valore, e che prima o poi il mercato lo riconoscerà. Paradossalmente, oggi mi riconosco più valore come artista di quanto me ne riconoscessi come consulente finanziaria. Dobbiamo imparare a darci credito: siamo capaci di molto più di quanto pensiamo, e spesso serve solo il coraggio di agire perché le cose diventino reali».

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