Cos’è e come funziona la tassa sulle plusvalenze

Di plusvalenze si sente parlare spesso. A proposito di investimenti, immobili, quote societarie e persino calcio. In pochi però sanno che il tema interessa da vicino anche le persone comuni, e non solo chi ha grandi attività finanziarie. Per esempio: di plusvalenza si è parlato molto nei mesi scorsi, quando il governo ha varato la norma che impone un’imposta del 26% sulla plusvalenza ricavata dalla vendita di immobili ristrutturati con il Superbonus 110. Di cosa parliamo? Il concetto di base è molto semplice, il termine indica un aumento di un valore, ed è quindi la differenza tra il valore di un bene in due momenti diversi. Può riferirsi a un titolo o a un immobile, ma la sostanza non cambia, se ricaviamo una plusvalenza vuol dire che stiamo vendendo un bene a un prezzo più alto di quanto lo abbiamo pagato. E ci stiamo guadagnando. Su questi ricavi, però, lo Stato impone di pagare delle imposte, che è bene conoscere prima di fare le proprie valutazioni. Ecco allora le cose da sapere.

A cura di Giorgia Nardelli


Il capital gain

Spesso, quando si parla di plusvalenze si ricorre alla locuzione capital gain. Che significa? «Parliamo di capital gain generalmente quando la differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto si riferisce a un prodotto finanziario. In pratica, il capital gain è la plusvalenza che deriva dalle vendite di partecipazioni - azioni o quote di società - realizzate da soggetti non imprenditori residenti, ed è soggetta a tassazione» spiega Elisa Battistella manager di Endevo Advisory Firm, società di consulenza fiscale, societaria e aziendale.

Su cosa si paga la plusvalenza: gli investimenti 

Partiamo dai prodotti finanziari: ogni volta che guadagno da un investimento, ricavo un plusvalore che nel nostro Paese vene tassato al 26%, un’imposta “secca” che non entra nemmeno in dichiarazione dei redditi. Sono direttamente gli intermediari finanziari a trattenere una ritenuta dai ricavi che versano agli investitori, tanto che i risparmiatori meno attenti potrebbero per assurdo nemmeno rendersi conto della sua esistenza. Il regime attuale prevede che venga versato all’Erario il 26% su ogni plusvalenza ottenuta su azioni, fondi, ETF ed obbligazioni. Dunque, ogni volta che ci presentano il rendimento di un prodotto finanziario, è bene calcolare i ricavo reale che ne otterremo, che sarà sempre inferiore di un quarto. L’unica eccezione riguarda i titoli di Stato, che hanno un’imposta sostitutiva agevolata del 12,50%. Oltre ai titoli pubblici italiani e dell’Unione europea, la tassazione al 12,5% riguarda anche gli Stati esteri inclusi nella cosiddetta “white list”.

Società e terreni: così puoi affrancare la plusvalenza

Sei tenuto a versare l’imposta sulla plusvalenza anche se, per ipotesi, acquisti le quote di una società di capitali, e dopo qualche anno, dopo che questa è cresciuta di valore, decidi di rivenderne le quote per guadagnarci. Anche in questo caso è prevista l’imposta sostitutiva del 26%, ma su partecipazioni societarie e terreni c’è però una normativa “speciale”, che agevola i cittadini nei casi in cui il valore delle quote o del terreno sia cresciuto in maniera esponenziale. «La legge di Bilancio 2024 contiene una norma che viene prorogata di anno in anno da ormai più di 20 anni. Prevede che la plusvalenza, in questi due casi, si possa “affrancare” pagando un’imposta sostitutiva del 16% sull’intero valore del bene, se già posseduto alla data del 1 gennaio 2024. Poniamo che una persona possieda un terreno edificabile da generazioni, il cui valore è decuplicato nel tempo, e che abbia intenzione di venderlo a breve. È possibile effettuare una perizia giurata di stima per stabilire il valore di mercato, e pagare allo Stato il 16% di quell’importo entro il 30 giugno dell’anno.  Si può anche dilazionare il pagamento in tre anni, con un interesse del 3% annuo sulle rate successive alla prima. Al momento della vendita, se effettuata entro l’anno, non dovrà versare l’imposta sulla plusvalenza» spiega Battistella. La norma dovrebbe diventare strutturale: «Nella legge delega di riforma fiscale (che andrà attuata entro agosto 2025, ndr) c’è un articolo che prevede che venga messa a regime questa possibilità per rideterminare il costo fiscale delle partecipazioni di società e terreni edificabili, con la possibilità di stabilire un’aliquota di imposta sostitutiva anche diversa, in base al periodo di possesso di questi beni».

Come funzionano le plusvalenze sugli immobili

Le imposte sulle plusvalenze vanno versate, in alcuni casi, anche in caso di vendita di immobili. Prendiamo il caso di un privato cittadino: se compra e poi vende un appartamento a un prezzo superiore, deve versare una quota allo Stato, l’imposta sulla plusvalenza non è dovuta in soli tre soli casi: se sono passati 5 anni dall’acquisto o dalla costruzione dell’immobile; se il bene è stato ereditato; se per più della metà del tempo, quell’immobile è stato la casa di residenza del proprietario o di un familiare (la plusvalenza non vale quindi se si rivende la prima casa!). Se nessuna di queste tre ipotesi si è verificata, la somma da tassare sarà calcolata sottraendo al guadagno le tasse pagate all’acquisto, i costi di agenzia, notaio, ed eventuali spese di manutenzione straordinarie sostenute per l’immobile (lo spiega qui Altroconsumo).

Come pagare le plusvalenze sugli immobili, le due opzioni

Chi sta per vendere un immobile, ricavando un guadagno, ha due strade: pagare subito il 26% allo Stato, chiedendo al notaio l’applicazione diretta dell’imposta sostitutiva, oppure scegliere la tassazione ordinaria. In questo secondo caso, il guadagno ottenuto andrà fare cumulo con gli altri redditi. Bisognerà quindi calcolare, dati alla mano, qual è la soluzione più conveniente.

La plusvalenza sul Superbonus

L’imposta sulle plusvalenze adesso grava anche sugli immobili ristrutturati con il Superbonus al 110%. Per evitare speculazioni il governo ha introdotto l’imposta del 26% per chiunque rivenda nel giro di 10 anni gli immobili che sono sai “migliorati” con interventi agevolati, guadagnandoci. Ciò che si ottiene quindi dalla differenza con il costo di acquisto originario sarà quindi tassato del 26%. Più leggero il carico per chi rivende a partire dal sesto anno fino al decimo: costoro possono infatti “stornare” dalla plusvalenza il 50% delle spese sostenute. 

 


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