Con il divorzio, ho smesso di pagare il costo nascosto di essere una donna

Francesca Fiore ha 40 anni ed è la fondatrice del movimento Mamma di merda, che porta avanti assieme a Sara Malnerich. Per le donne della sua famiglia, i soldi avevano comprato la libertà. Sua nonna, infatti, era finita in un matrimonio violento. E a liberarla era stata sua figlia, la giovane mamma single di Francesca. Che era arrivata a Torino dalla Basilicata, seguendo una cattedra delle scuole medie e che con il suo misero stipendio di insegnante aveva trascinato al Nord sua madre e i suoi fratelli, ospitandoli in casa. Francesca si guadagna fin da giovane la sua indipendenza, anche grazie a un’eredità anticipata da sua mamma. A 30 anni ha già due figlie, uno stipendio di tutto rispetto e un Suv. Si sente molto potente e non si rende conto che sta pagando un prezzo nascosto. Per badare alle figlie ha ridotto le sue ambizioni e lasciato andare i suoi sogni d’impresa. Con il divorzio, però, arriva il momento del riscatto, «perché in Italia, solo quando ti separi raggiungi veramente la parità genitoriale» e l’uomo “paga” per il ruolo che la società gli ha attribuito, esattamente come la donna ha fatto fino a quel momento. Francesca trova il tempo da dedicare al rischio e al pensiero del futuro, molla il lavoro, e fonda la sua startup innovativa a vocazione sociale.

Ascolta il podcast della puntata:

Tu, donna, paghi durante il matrimonio. Tantissimo. Se divorzi, invece, paga l’uomo. Il divorzio in Italia è il momento in cui il patriarcato diventa negativo anche per l’uomo e all’uomo questa cosa non va tanto giù. Ed è anche giusto che non vada giù. Perché se non avessimo questo patriarcato saremmo tutti più felici.

Francesca Fiore ha pagato durante il matrimonio e ha riscosso con il divorzio. Oggi, a 40 anni, è la fondatrice del blog Mamma di merda, che porta avanti assieme a Sara Malnerich, ed è protagonista di un vero e proprio movimento per i diritti delle donne e della parità di genere.

I soldi non sono mai sufficienti

Nella vita di Francesca c’è un personaggio da romanzo che condiziona fin da subito la relazione con i soldi, la sua nonna materna.

«Mia nonna è una venditrice di tappeti arabi mancata. Mi ricordo che quando ero piccola e mi portava al mercato di Porta Palazzo, qui a Torino, trattava con tutti fino al centesimo. Quando arrivava, i venditori che la guardavano terrorizzati, temendo che lei andasse a comprare i limoni proprio da loro. Lo sapevano che con mia nonna non c’era da scherzare».

Sua nonna si comporta così perché ha conosciuto la fame e ha sviluppato quel tipo di astuzia che serve a rimanere in vita. Quando aveva quattro anni, infatti, durante la guerra, era stata abbandonata in un collegio di suore, in Basilicata. 

«Suore cattivissime che non davano da mangiare a queste povere orfanelle. Avevano queste due mense: quella più ricca che tenevano per loro; e poi c’erano gli avanzi, che davano alle bambine che erano sempre affamate. Mia nonna mi racconta di questa sua infanzia di fame ed è stata proprio lei a instillare in me il senso della giustizia e di odio nei confronti del sopruso. Mi raccontava questi episodi in cui lei bambina, piccola Robin Hood, andava a rubare la mortadella delle suore con l’altra compagna per distribuirla a tutte e poi scappavano rincorse dalle suore col mattarello». 

Appena uscita dall’orfanotrofio la nonna sposa un ferroviere e dà alla luce cinque figli, tutti mantenuti da un unico stipendio. 

«Cosa che in questo momento sembra incredibile. Però all'epoca con tantissimi sacrifici conducevano una vita dignitosa».

Io sono cresciuta con questa retorica dei soldi che non sono mai sufficienti, dei soldi che non devono mai mancare per le cose importanti e del risparmio.

Con i soldi ci si compra la libertà

I soldi, in fondo, hanno comprato la cosa più importante di tutte per le donne della sua famiglia: la libertà. Sua nonna, infatti, era finita in un matrimonio violento. E a liberarla da quel matrimonio era stata sua figlia, la mamma di Francesca.

«Mia madre in Basilicata è rimasta incinta a 18 anni. Era una ragazzina che aveva appena terminato le scuole superiori. Aveva un sogno, che era quello di fare la cantante lirica. E chiaramente il mio arrivo ha scombussolato completamente i suoi piani. Quindi mia madre insegnava musica alle medie e inseguendo la cattedra siamo arrivate a Torino. Io avevo due anni. Lei è stata fortissima, perché mia nonna seguendo mia madre, ha approfittato e si è allontata da quell’uomo e da quel matrimonio. E quindi mia madre a quel punto è diventata l’uomo di casa e ha trascinato al Nord anche i suoi fratelli, ospitandoli in casa, aiutandoli economicamente, con il suo stipendio di insegnante. Si è comprata una casa a Torino, in un quartiere che adesso è bellissimo, ma all’epoca era un quartiere quasi di ringhiera».

Fin da bambina, Francesca riceve una paghetta di 7mila lire alla settimana.

«I soldi per me sono sempre stati molto importanti. Io, per esempio, giravo sempre con un bottino nella mia borsetta. Da piccola avevo gli ori del battesimo e li tenevo lì perché casomai mi fossi persa avrei avuto almeno il modo di pagare l’albergo. Questo a sei, sette anni». 

Diventa indipendente molto presto Francesca, e non grazie agli ori del battesimo.

L’eredità che sua madre non sapeva di lasciarle

«Mia madre, che probabilmente è una pioniera, inconsapevole, ha fatto un ragionamento molto diverso da quello che si fa solitamente. Lei mi ha dato la mia eredità a 18 anni. Vivevamo con il suo nuovo marito, ma lei aveva ancora questa casetta che aveva preso all’epoca in quel quartiere di Torino e quando ho compiuto 18 anni me l’ha donata. Questo mi ha dato una fortissima spinta in un momento della mia vita in cui ero in costruzione. Non sapevo esattamente che cosa avrei fatto, ma mi ha consentito di fare delle scelte a cuor leggero con le spalle coperte».

L’idea che i nostri figli debbano costruirsi faticosamente una solidità, un’indipendenza economica, e poi magari a 60 anni ricevono tantissimi beni che a quel punto non gli servono più, perché rappresentano un “di più”. Quella cosa in più che a te in quel momento non fa una grande differenza, per i tuoi figli invece, è un ottimo punto di partenza.

Francesca ha una casa di proprietà e presto trova un lavoro in cui è pagata 1600 euro al mese. Sente di avere un grande potere nelle sue mani.

«C’era ancora lo strascico del girl power delle Spice Girls, e io mi sentivo proprio in quell'onda lì. Ero super tosta, ed ero indipendente».

Non se n’è accorta subito, ma in realtà, anche quando si sentiva così potente, Francesca che a 30 aveva già due figlie, stava pagando un prezzo nascosto. 

«Ho fatto quello che facciamo sempre noi donne in modo proprio naturale, inconsapevole. Ho messo da parte la mia carriera, le mie ambizioni per lasciar andare avanti lui che aveva un lavoro più importante, e quindi io ho fatto il cuscinetto di tutto il resto. Ho preso un part time e ho limitato i miei sogni. Che significa? Che non ho neanche tentato delle strade che mi avrebbero portata ad avere più responsabilità e quindi più lavoro».

Questo nessun dato lo misurerà mai, perché il dato misura poi chi ci prova, chi rinuncia, e magari fallisce. Non chi invece neanche lo sogna perché sa di non poterselo permettere. Questo non è un dato misurabile, ma in realtà è estremamente vero per noi donne.

Il divorzio come forma di riscatto

Francesca non solo riduce le sue ambizioni, ma lascia andare la startup che ha incubato nel Politecnico di Torino e che voleva realizzare l’utopia di un mondo inclusivo per le famiglie, in cui ogni luogo di intrattenimento, avesse un’offerta coordinati per adulti e bambini. E la lascia andare perché non può permettersi di licenziarsi per dedicarcisi a tempo pieno. 

«Quando sei una donna e hai dei figli, quello che ti dà il posto fisso non te lo dà nessun altro. I congedi parentali e i permessi per la malattia, per esempio. Hai tutta una serie di tutele che 1/2 della popolazione non ha». 

A un certo punto, però, arriva il divorzio.

«Senza ipocrisie, si può dire che quando ti separi raggiungi veramente la parità genitoriale, almeno per quel tempo in cui i figli stanno con l’altro genitore. Perché tu smetti di avere quel carico mentale in quanto quei tre giorni che stanno col papà quel weekend, non ci pensi. Quando eravamo sposati, lui non ha mai cambiato il suo orario lavorativo, che io ci fossi o meno; e questo chiaramente era tutto lavoro per me. Chiaramente quando io non c’ero dovevo trovare qualcuno che mi sostituisse, come se la cura delle mie figlie fosse in qualche modo mia. Adesso che siamo separati questa cosa è cambiata completamente». 

Francesca finalmente trova il tempo da dedicare al rischio, al pensiero del futuro. E così assieme a Sara Malnerich lascia il lavoro e fonda Mdm, una startup innovativa a vocazione sociale.

«Mia madre ancora adesso mi chiede “Ma cosa fai adesso, che non hai un posto fisso?” Al lavoro faccio gli spettacoli teatrali, scrivo i libri, faccio queste cose strane che lei non capisce come possano farmi guadagnare. E in parte anche ragione. Però lei continua a mandarmi i concorsi. Esce il concorso da applicata di segreteria a scuola e lei mi dice “Perché non fai questo concorso?”. Non riesce a concepire l’idea che io non abbia bisogno del mio stipendio da statale mensile».

In effetti, Francesca e Sara per il momento stanno investendo tutto nella loro azienda, senza pagarsi nulla. Ma proprio grazie alla sua educazione finanziaria Francesca si è costruita un fondo di emergenza.

«Io ho il cuscinetto di emergenza, il cuscinetto del cuscinetto di emergenza, il paracadute e la spugnetta sotto. Non potrei vivere diversamente».

Io difficoltà economiche per come sono stata cresciuta non potrei avere, non potrei proprio sopportarle, né emotivamente né psicologicamente. Non sono una persona alla quale capiterà mai di rimanere senza benzina ferma in strada o di andare in rosso sul conto. Piuttosto mangio pane cipolla.

E non è solo una battuta, questa. Francesca ha la capacità di chiudere all’inverosimile il rubinetto delle uscite. 

«Adesso ho tagliato anche la macchina. Le verdure le compro al mercato dove risparmio tantissimo. Faccio la spesa in sette posti diversi perché so che la carta igienica lì costa meno, quindi la vado a prendere là mentre il detersivo lo prendo dall’altra parte. Quindi sono molto attenta alle uscite. E poi però ogni tanto sciabolo e mi faccio la cena pazza in cui spendo 200€ perché mi piace, perché per me è senso della vita».

La ricchezza di fare ciò che si ama

Francesca, come tutte le donne della sua famiglia, è riuscita a comprarsi la libertà di fare ciò che la rende più felice. 

Il fuoco dell’impresa c’è sempre stato, perché per me l’impresa è un modo tangibile di cambiare le cose nel concreto; perché l’attivismo è il mondo dell’idea in cui io immagino il cambiamento e trovo delle alleate che possano con me immaginare questo mondo e fare qualcosa, attivarsi per cambiarlo. Però poi con l’impresa, muovendo i soldi e le persone intorno alle idee, riesci a costruire davvero il mondo ideale.

«Fare impresa è bellissimo perché puoi scegliere con chi lavorare, i tuoi fornitori; nel nostro caso le fornitrici, perché noi cerchiamo sempre di scegliere donne, e gli uomini li mettiamo sempre in posizioni un po’ più laterali. Facciamo una piccola vendetta perché è sempre stato così per noi donne, e adesso che siamo noi donne a comandare, abbiamo deciso di farlo così. Quindi, siccome il consumo è un atto politico e anche il business è un atto politico, noi abbiamo deciso di avvalerci, ove possibile, sempre di professioniste».

Ti senti ricca?, le ho chiesto

«Adesso sì, io mi sento ricca, stupidamente. So perfettamente di non essere ricca in Italia. Poi c’è una disparità sociale elevatissima anche nel mondo. Ogni volta che si parla di patrimoniale tutti pensano che parlino di loro. In realtà no, perché i patrimoni sono altre cose che non siamo noi comuni mortali che abbiamo magari una casa intestata e 20.000€ di risparmi in banca. Vi voglio dare questa brutta notizia: non siamo veramente ricchi, siamo classe media. Però io mi sento ricca perché non mi manca niente, perché non ho il desiderio e perché posso fare quello che voglio e quello che voglio non è esagerato, per fortuna».

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