Cambio il mondo 10 euro per volta, pagando le persone il giusto

Barbara Tarantino, classe 1970, abita a Roma e fa la sarta. Un’attività che in molte parti del mondo, e spesso anche in Italia, è sinonimo di lavoro estenuante e malpagato. Ma che lei finalmente può svolgere in un contesto in cui diventa volano di indipendenza economica. Da sempre appassionata di disegno e tessuti, inizia subito dopo il diploma a lavorare nel mondo della moda, ma si rende conto che non è l’ambiente adatto a lei: le donne che ci lavorano vengono discriminate e quelle per cui si disegnano vestiti rispecchiano standard di bellezza irraggiungibili. Si trasferisce a Mantova a lavorare per un’azienda più piccola, ma dopo esser rimasta incinta decide di tornare a Roma per stare più vicina a suo marito, accontentandosi di fare la commessa. «Dopo 13 anni in quel negozio son rimasta incinta la seconda volta e mi hanno licenziata. Quel licenziamento è stato l’input per tornare a fare quel che volevo fare davvero». Adesso si occupa di gestire la sartoria di Lucha Y Siesta, un centro antiviolenza di Roma, e paga le donne che ci lavorano 10 euro l’ora, una cifra per niente scontata in questo ambiente. Lavorare all’interno di Lucha ha cambiato la sua percezione del denaro: «Tra cinque anni vorrei vedere la mia idea di questo progetto definita, mi piacerebbe dare alle donne di Lucha la possibilità d scegliere il lavoro che piace e la sicurezza di uno stipendio».

Ascolta il podcast della puntata:

Nel mondo della moda c’è un ideale di bellezza che non è quello reale. Si costruisce tutto su delle misure che gli stilisti ritengono perfette. Nella sartoria, invece, c’è un corpo che entra in un capo e quel corpo vuole vedersi con indosso qualcosa che lo fa stare bene. Ecco perché si crea con al centro la persona reale. Il lavoro sartoriale, poi, ti permette di stare insieme agli altri. Cucire insieme crea una situazione di convivialità. Le persone, attraverso quello spazio, si sentono a proprio agio e spesso si confidano. Si taglia e si cuce, a tutti gli effetti.

L’insegnamento dell’indipendenza economica

Barbara Tarantino, classe 1970, abita a Roma e fa la sarta. Un’attività che in molte parti del mondo, e spesso anche in Italia, è sinonimo di lavoro estenuante e malpagato. Ma che lei finalmente può svolgere in un contesto in cui diventa volano di indipendenza economica. 

Barbara proviene da una famiglia numerosa, dove ogni figlio gode delle stesse opportunità ed è esposto agli stessi stimoli.

«Mio padre ci ha sempre educato all’indipendenza. Noi siamo una famiglia composta da due sorelle e un fratello. Forse sarebbe stato più facile per l’epoca indirizzare il maschio all’indipendenza. In realtà mio padre l’ha sempre fatto anche con noi. Per esempio, invece di darci la paghetta settimanale, ci spingeva a capire che cosa era il valore del lavoro e a fare delle cose per ottenerla. E questo, almeno per me, è stata una motivazione per rendermi indipendente ed avere una disponibilità economica».

Barbara ha 14 o 15 anni quando trova il suo primo lavoro, come aiutante di una conoscente che aveva una bancarella a Porta Portese. Guadagna 80mila lire al mese che spende per le sue cose. 

«Io sono sempre stato appassionata di disegno, per cui le “mie cose” erano andare da Vertecchi a comprare colori e materiale da disegno».

La paura di seguire i propri sogni

La passione per il disegno non la abbandonerà mai. Barbara si diploma al liceo artistico specializzandosi come disegnatrice di tessuti, per poi continuare i suoi studi allo IED, l’Istituto europeo di design. Eppure, una volta preso il diploma, il mondo del lavoro non la accoglie come si aspettava. 

«Da ragazzina l’aspettativa era quella di diventare una stilista indipendente e quindi poter creare per mio conto degli abiti o una collezione. Entrando però nello specifico mi è capitato di fare degli stage in case di moda importanti e mi sono resa conto che non era il mio ambiente per il tipo di situazioni che c’erano, anche spesso aggressive, nei confronti delle donne, soprattutto delle donne giovani. Spesso mi si chiedeva di andare a fare il caffè o le fotocopie. E la stessa cosa non succedeva con altri colleghi uomini e della stessa mia età, oppure entrati con le mie stesse mansioni».

Spesso ce lo dicevano anche che non eravamo in grado, in quanto donne, di portare avanti delle situazioni di organizzazione. Perché, appunto, non all’altezza.

Decide così di lasciar quell’ambiente e viene assunta in una ditta più piccola, vicino a Mantova, dove il suo lavoro viene finalmente valorizzato. Quando però, tre anni dopo, rimane incinta, si trova di fronte a un dilemma. Il suo compagno vive e lavora a Roma. Uno dei due deve spostarsi. E viene naturale pensare che tocchi a lei.

«La scelta è stata più legata alla paura e alle pressioni della famiglia. Mamma in particolare mi diceva “sei lì da sola con un bambino”, visto che mio marito aveva già il lavoro qui a Roma e avevamo preso una casa insieme. Diciamo che io avrei dovuto fare una parte della mia vita con il bambino da sola, per poi fare la pendolare o far fare il pendolare al padre. Quindi questa cosa un po’ mi ha spaventato. Adesso, col senno di poi, tornato indietro, farei sicuramente un’altra scelta».

A Roma, Barbara si adatta a lavorare in un negozio, come commessa.

«Io mi ritagliavo comunque il mio spazio, nel senso che poi nel tempo sono riuscita a creare dei rapporti molto umani con le mie clienti, che venivano appositamente perché sapevano che c’ero io, e questa cosa mi dava molta soddisfazione. Però non era il lavoro che avrei voluto fare».

Il ritorno alle origini

Tredici anni dopo, una nuova inaspettata gravidanza rimescola ancora una volta le carte in tavola. Barbara ha quarant’anni e viene licenziata. Un trattamento iniquo, di cui oggi, però, parla quasi con gratitudine.

«Quel lavoro, nonostante fossi ben pagata, mi stava stretto dal punto di vista del mio lavoro».

Io ho sempre desiderato fare altro e penso, ad oggi, con il cambiamento che c’è stato con la mia seconda gravidanza, che forse aspettavo anche un input di licenziamento. Senza quello, probabilmente non avrei avuto il coraggio di mollare e riprendermi in mano quello che sapevo fare.

Nel momento più difficile, quando viene sopraffatta dagli eventi ed è costretta a fermarsi, Barbara ritrova la strada che aveva abbandonato molti anni prima.

«Questa maternità all’età di 40 anni, dove tutti mi chiedevano continuamente “Ma come farai?”, “Perché ricominci da zero?”, ha rappresentato il vero e proprio cambiamento. Io mi sono dovuta fermare e mi sono detta “Ok, riprendiamo in mano la situazione, e poi vediamo come affrontare il resto”. E poi, è venuto tutto spontaneamente. Ripensando a tutta una serie di cose penso di aver seguito per la prima volta l’istinto. Io sono sempre stata una persona molto razionale e ho sempre cercato di mettere le cose in fila. In quel momento mi trovavo proprio in una situazione in cui non riuscivo proprio a metterle».

È in quel momento che Barbara incontra Lucha y Siesta, un centro antiviolenza e casa di accoglienza per donne e minori; un polo culturale di prevenzione e contrasto della violenza di genere in tutte le sue forme.

«Nel momento in cui io sono stata licenziata avevo la disoccupazione per due anni e mi sono presa l’anno sabbatico per poter capire cosa fare e rimettermi in gioco. Avevo iscritto mio figlio a un nido dove la sua maestra di riferimento è una persona che fa parte del collettivo di Lucha. Così, lei mi ha messo in contatto con questo posto e io ho iniziato a fare dei mercatini artigianali, fino a che un’altra persona del collettivo mi ha proposto di gestire la sartoria. Io mi sono inserita piano piano, con i tempi che desideravo. Così facendo, avevo riiniziato a fare un lavoro dove c’è tantissima creatività».

L’altra faccia della moda

Nella casa delle donne Lucha y Siesta, il mestiere di sarta viene insegnato alle donne che hanno subito violenze affinché pian piano possano rendersi indipendenti economicamente e tirarsi fuori dalla situazione di vulnerabilità in cui sono. 

«La sartoria di Lucha nasce come progetto di inclusione e formazione per le donne. All’interno di questo ambiente le persone hanno sia la possibilità di imparare che di prendere delle commissioni proprie. C’è capitato, per esempio, di aver fatto dei progetti anche con delle istituzioni, e nel momento in cui il lavoro è entrato, si sono distribuite a tutte le mansioni, in modo tale che ognuna avesse una piccola entrata. Lucha dà la possibilità alle persone di creare un piccolo reddito. Non siamo ancora ai livelli di poter garantire degli stipendi e questo è il mio obiettivo».

Barbara paga le donne che lavorano nella sartoria 10 euro l’ora. Una cifra che nel mondo sartoriale non è per niente scontata.

Purtroppo ci sono delle sartorie che lavorano a livello di schiavismo. Io questa cosa non l’accetto, per cui io mi attengo ai miei 10€ l’ora. Le persone che lavorano nella sartoria sanno che nel tempo che ci impiegano, poi ovviamente dipende dal tipo di lavoro, possono guadagnarsi 10€ l’ora. Ci sono state delle persone che nel momento in cui io ho dato loro dei soldi, sono rimasti stupiti perché pensavano che invece non li meritassero.

«Qualche anno fa è entrata una ragazza che aveva fatto una prova in una sartoria e le avevano dato per cucire un’intera camicia 6€. Io lo so quanto tempo ci vuole per cucire una camicia e siamo intorno alle 3 ore. Ora, pagare 2€ l’ora mi sembra veramente folle. Spesso le persone non si rendono conto del tempo che ci vuole, banalmente per scucire. E capita che vengano persone che ti chiedono di fare un orlo e magari hanno pagato il pantalone 1€, e nel momento in cui tu chiedi 5€ per fare un orlo loro ti dicano “Ma io l’ho pagato solo 1€, non ne vale la pena”».

Una nuova scoperta

Questo lavoro, che ha un coté imprenditoriale, perché Barbara non ha più uno stipendio fisso, e questo ambiente, a stretto contatto con donne che hanno subito violenza, ha cambiato l’approccio di Barbara a molte altre questioni della vita.

«Con lo stile di vita che ho anche rispetto a prima, c’è proprio un’attenzione diversa. Il fatto di essere in quel posto mi ha fatto capire che forse si può trovare anche con l’alimentazione il compromesso giusto, senza eccedere su certi tipi di alimenti, che prima per me erano più facili da comprare perché più veloci da preparare. Adesso, invece, ho scoperto che anche una zuppa di legumi è un piatto completo che ti consente sia di risparmiare che di mettere un pasto a tavola. È una modalità diversa di approccio proprio a certe cose».

«Ci sono dei mesi in cui arrivo tranquillamente a fine mese. Altri in cui non arrivo neanche alla metà di quanto pensavo. Però, rispetto a prima mi organizzo proprio in maniera diversa. Per esempio, ad Aprile ho lavorato moltissimo, anche dei sabati o delle domeniche, e ho avuto modo di mettere da parte dei soldi, che poi vanno a sopperire nel momento in cui ci sono meno entrate».

Ma dove si vede Barabra tra cinque anni?

«In pensione non so se ci andrò mai. Però, so che tra cinque anni vorrei vedere la mia idea di questo progetto definita, perché mi piacerebbe dare veramente alle donne che sono entrate a Lucha la possibilità di scegliere il lavoro che piace e con la sicurezza anche di avere uno stipendio». 

 

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