L’ansia dei soldi ha condizionato le mie scelte

Stefano, 25 anni, cresce con un forte senso di colpa verso i soldi che i genitori spendono per farlo studiare e vivere fuori sede. Quel senso di colpa condiziona la Facoltà a cui si iscrive così come la vita che conduce, nella contabilità ossessiva di ogni spesa.

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Stefano Fontana

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“Due anni fa riuscivo tranquillamente ad arrivare a fine mese con 600 euro. E adesso con 1500 euro non ci riuscivo più. Cosa mi stava succedendo, perché stavo spendendo così tanti soldi?”.

Stefano Fontana ha vissuto gli ultimi sei anni sopra una montagna russa che lo portava ora a risparmiare ossessivamente ora a spendere tutto ciò che aveva sul conto. Quando è sceso dalla montagna russa, mi ha scritto una email per raccontarmi la sua storia: eccola.

Stefano nasce 25 anni fa in Abruzzo, a Francavilla al Mare, in una festosa e movimentata famiglia allargata. Erano lui e suo fratello, con i due genitori. Poi la sorella di sua madre, lasciata dal marito, con i suoi due figli e la nonna vedova del nonno. «Mi ricordo con molto affetto le cene di mia nonna per otto persone tutte le sere, era molto divertente», racconta Stefano.

Quella nonna, nel 1968, si era trasferita da Ancona a Francavilla al Mare, dove aveva aperto un negozio di abiti da donna che andava piuttosto bene. «C’erano tutte le signore dei paesini che venivano al mare e che poi, tornando a casa, dovevano far vedere che avevano comprato il vestito buono».

Stefano vive un’infanzia decisamente benestante: papà impiegato con contratto a tempo indeterminato in un’azienda parastatale, mamma proprietaria assieme alla sorella del negozio di abbigliamento aperto anni prima dalla nonna e che stava vivendo un momento d’oro. Tanto che nei primi anni 2000 lo avevano addirittura ampliato.

“Per me non c’era mai la preoccupazione: ‘Posso comprare questo?’. Se eravamo all’ipermercato e c’era il gioco da 60-80 euro, una volta ogni tre riuscivo a farmelo comprare”.

Nel 2008 le cose iniziano a cambiare. Il negozio va sempre peggio. Complice il turismo in calo e la nascita di ipermercati tutto attorno. «A quel punto mi sono accorto che dovevo riscrivere il paradigma. Prima era il gioco una volta ogni tre, poi una volta ogni 10. E anche i regali erano di valore diverso».

I soldi cominciano a rappresentare una preoccupazione. «Ci pensavo sempre: “Oddio se vado in vacanza con gli amici e faccio spendere tutti questi soldi ai miei genitori?” Per me era un bel peso».

Quando si tratta di scegliere l’università, Stefano ha due possibili strade davanti a sé. La prima è quella che ha percorso: Ingegneria informatica. «L’alternativa era fare Scienze della comunicazione e provare a fare il giornalista. Queste due cose mi piacevano entrambe. Era chiaro, però, che il giornalismo mi piaceva di più. Mi ricordo il discorso che feci ai miei: “Se faccio scienze della comunicazione sono sicuramente tre anni più due di Magistrale, perché con la Triennale ci fai poco, e poi magari un master, che costa un sacco, oppure vado a fare la gavetta, ma a 25-26 anni posso andare a fare lo stagista nella redazione di un giornale?”».

“In quel momento avevo la fortissima preoccupazione non solo di essere indipendente. Io immaginavo già di rimandare i soldi indietro ai miei genitori. E quindi ho detto: faccio una cosa che mi piace un po’ meno ma so che mi pagherà bene già dopo la Triennale”.

Stefano si trasferisce a Bologna per studiare Ingegneria informatica, e vivendo con i soldi dei suoi genitori, anche una birra in più inizia a sembrargli un peccato capitale, come se stesse sprecando il frutto del loro lavoro in cose futili.

“C’è stato un periodo in cui qualsiasi spesa mi sembrava sanguinosissima. Mi ricordo che controllavo l’home banking tre volte al giorno. Quando facevo la spesa con i soldi dei miei genitori tenevo a mente, man mano che mettevo un oggetto nel carrello, il totale perché avevo paura di sforare”.

Quando Stefano inizia ad avere attacchi di panico a causa di una relazione sentimentale con una persona problematica, non riesce a chiedere ai genitori i soldi per andare in terapia. «È stata la mia fidanzata a chiamare mia madre e a dirglielo».

Due anni dopo, suo fratello Riccardo si trasferisce anche lui a Bologna per studiare Fisica. Nel frattempo il negozio di famiglia ha chiuso e suo padre è stato mandato in prepensionamento, essendo malato di Morbo di Parkinson.

«Ho detto ai miei genitori: “A settembre sale anche Riccardo, ce la facciamo? Siamo tranquilli con i soldi per vivere tutti e due?”. Mia madre mi ha dato la risposta che dà sempre: “Sì, in qualche modo facciamo”. Ma mi ha allarmato un po’ perché non era troppo convinta».

Stefano non è mai stato un assiduo frequentatore delle lezioni in presenza. Tanto vale darsi una buona ragione per non seguire del tutto. Decide così di cercarsi un lavoro part-time. Lo trova in un McDonald, prima 18 ore alla settimana, poi 24. «Quel lavoro mi ha permesso di chiedere il minimo indispensabile ai miei genitori perché avevo uno stipendio netto di 500-600 euro. E con i miei che pagavano l’affitto, riuscivo a coprire tutte le spese a me e a mio fratello e a farci uscire qualche seratina».

L’accordo tra fratelli è piuttosto implicito.

«Così come io ho potuto fare i  primi due anni e mezzo a Bologna senza il pensiero di dover lavorare, tu fatti i tuoi primi due anni e mezzo senza il pensiero di lavorare».

Le cose però vanno un po’ diversamente. Riccardo è molto più dedito allo studio di Stefano. E oltre a dare tutti gli esami di Fisica in corso coltiva un’altra grande passione: il pattinaggio artistico che pratica a livello agonistico e che gli richiede 3-4 ore di allenamento al giorno. Il tempo per un lavoretto non riesce proprio a trovarlo. Solo adesso, dopo essersi laureato e mentre frequenta la Magistrale per fare divulgazione, guadagna qualcosa facendo l’istruttore di pattinaggio artistico dei piccoli.

“Per me era naturale che mio fratello venisse a vivere con me e che il mio stipendio fosse diviso in due. Poi lui in realtà si sentiva emotivamente in dovere di compensare questa cosa: le faccende di casa tendeva a farle sempre lui. Ma a me non è pesato affatto. Siamo stati sempre molto legati”.

Le previsioni lavorative di Stefano si realizzano. Non ha ancora finito la triennale di Ingegneria informatica, che riceve un’offerta di lavoro full time come sviluppatore di software e con la promessa di laurearsi di lì a breve. Lo fa. A 23 anni ha uno stipendio di 1500 euro al mese.

«Nel momento in cui ho iniziato a guadagnare relativamente bene, si è scatenato un meccanismo strano, nel senso che dopo anni a contare i soldi, prima quelli dei miei genitori, poi i miei guadagni del McDonald, con uno stipendio vero mi è venuto l’istinto di dire: “Tutto quello a cui ho rinunciato in questi anni, adesso lo posso fare”. Improvvisamente mi sembravano non essere più abbastanza nemmeno il triplo dei soldi che prendevo al McDonald».

Per il primo anno e mezzo sono cene in ristoranti inavvicinabili, weekend fuori porta, shopping sfrenato. «Non ho mai avuto i soldi per Gucci e Vuitton, ma già Nike… compravo la maglia col logo gigantesco perché inconsciamente volevo far vedere che potevo permettermi quella maglia lì».

Ad aprirgli gli occhi è il terapista, che continua a vedere pur essendosi lasciato con la fidanzata che lo avevo spinto ad andare in analisi.

“Il terapista mi ha aiutato a capire che era una sorta di meccanismo per allontanare l’ansia dei soldi, spendendoli per cose futili, giusto per dire: ‘Guarda, non è più una preoccupazione, guarda come posso spenderli facilmente’.”

A quel punto, Stefano compie un’azione piuttosto semplice: «E cioè attivare una di quelle funzioni dell’home banking che ti mette da parte una quota in automatico. Nel mio caso: 3,5 euro al giorno più l’arrotondamento di tutte le spese all’euro successivo. Se spendo 5 euro 20 mi vengono scalati 6 euro, e 80 centesimi vengono aggiunti a questa sorta di salvadanaio. Paradossalmente ho dovuto fregarmi da solo, nascondermi i soldi. Ho scoperto però un sentimento nuovo: la gioia di dire “Questo mese ho messo 100, 150 euro da parte!”».

Mentre cerca di guarire dal desiderio di spendere compulsivamente, torna a farsi sentire il senso di colpa ogni volta che compra qualcosa per sé. Ricordi la montagna russa di cui parlavo all’inizio? Ecco, quella è la metafora che ha utilizzato Stefano.

«Ho comprato una bici perché negli ultimi anni sognavo di pedalare sui colli bolognesi. L’ho comprata in tre rate da 200 euro e comunque appena l’ho finita di pagare, nonostante fossi felicissimo perché ci pensavo da due anni, mi sono sentito in colpa. Ho dovuto lavorare sul convincermi che se spendo dei soldi per me, per delle cose che mi fanno stare bene, è giusto farlo».

Stefano parlando di soldi con l’analista fa un’altra importante scoperta:

“Ho scoperto che i miei genitori non sono dei martiri, che loro hanno fatto delle scelte di vita e che nel loro sostegno a noi figli c’è una parte di soddisfazione personale. Non lo fanno solo perché devono farlo, ma perché sono emozionati e contenti di darci una possibilità”.

Stefano si prepara ora a un cambio di vita importante. A partire da settembre andrà a lavorare a Milano. Quando ha scoperto che l’affitto di una stanza potrebbe costare tra i 650 e i 700 euro, ha iniziato a pensare di fare un mutuo esattamente come tutti i 30-40enni che conosce. Ma poi ha respinto l’idea.

«Da dove vengo io, arrivati a 30 anni, ti costruisci una famiglia, fai un mutuo (con i soldi dei tuoi genitori magari) e stai lì. Ma è sempre una cosa che ho sentito lontana da me. Pensare di vincolarmi a una cosa per 30 anni non mi fa dormire la notte. È un carico di stress che sinceramente non voglio».

La verità è che Stefano fatica a guardare troppo lontano.

«Se tu mi dici: “Ti immobilizzo i risparmi adesso e te li restituisco tra 10 anni con il 50 % in più, è chiaro che mi fa piacere, però il pensiero di avere per 10 anni dei soldi bloccati, prevede una programmazione che non ho».

Probabilmente la programmazione sfugge perché la traiettoria della sua vita non è ancora stabilita. Quando Stefano ha iniziato a risparmiare, ha intravisto la possibilità di realizzare i sogni che aveva sacrificato all’altare della sicurezza economica. Gli è successo l’esatto opposto di quanto accadde a suo padre, che era un promettente calciatore.

«Lui veniva da un ambiente molto povero, dalle case popolari, maggiore di quattro figli, semi abbandonato dal padre. Appena vide il contratto a tempo indeterminato, pensò che quello era tutto ciò che sognava di avere, poter fare un mutuo, costruirsi una vita». E infatti il padre rinunciò al suo sogno di giocare a calcio ai massimi livelli.

Ma Stefano non vuole fare lo stesso. Non vuole rinunciare ai suoi sogni senza averci provato.

“Adesso che sono tre anni che faccio questo lavoro, il fantasma del passato sta tornando. Ho cominciato a guardare i master di giornalismo in giro. L’idea di fare il giornalista è sempre lì e per ora i miei risparmi sono destinati a quello. Poi a un certo punto comincerò a mandare qualcosa indietro ai miei genitori. Perché non penso che possano mancare i soldi a loro dopo una vita a tenere in piedi noi”.

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