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Spread in discesa: perché è una buona notizia

Nel 2011, lo spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi entrò per la prima volta nel dibattito pubblico italiano, diventando un indicatore cruciale della crisi economica e politica che attraversava il Paese. Da allora, è diventato un termometro della fiducia degli investitori nell’economia nazionale rispetto a quella tedesca. Capire il suo funzionamento e la recente diminuzione è essenziale per valutare la salute economica dell’Italia.

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Foto di Andre Hunter
spread in discesa

Quando, per la prima volta, aveva fatto la sua comparsa nei servizi di apertura dei telegiornali e nel linguaggio comune degli italiani, correva l’anno 2011. Era il periodo del debito sovrano europeo, della crisi greca e del passaggio di consegne tra il governo Berlusconi e il governo Monti. Dalle sue oscillazioni, a volte davvero notevoli, sembrava quasi che dipendesse il futuro di tutti noi. Parliamo dello spread, che in gergo finanziario indica la differenza tra i rendimenti (cioè quanto pagano di interesse a chi ne è in possesso) dei i titoli di stato italiani (i BTP) e quelli tedeschi (i Bund), entrambi con scadenza a dieci anni.

Il valore dello spread si misura in punti base: ogni punto è un centesimo di punto percentuale. Per dare un’idea di quanto repentina sia stata la sua avanzata nei momenti più delicati della crisi europea, basta considerare che fino al 2008 il valore non aveva mai superato i 30-40 punti base; che all’inizio del 2010 era arrivato a sfiorare i 100 punti; e che nel corso del 2011, proprio in concomitanza con la caduta dell’esecutivo Berlusconi, si era spinto addirittura al risultato record di 574 punti. Oggi, dopo oltre 15 anni, il valore dello spread è sceso nuovamente al di sotto dei 90 punti. Ma perché la sua discesa rappresenta una buona notizia per il nostro Paese? E perché il confronto con i titoli di stato tedeschi è così indicativo?

Come funziona lo spread

Il rendimento di un titolo di stato è, in sostanza, un indicatore di quanto l’economia di un certo paese venga percepita come solida dai mercati: un rendimento basso, per intenderci, indica che gli investitori ripongono fiducia nel fatto che il paese in questione sia in grado di ripagare facilmente i suoi debiti. Al contrario, un rendimento alto è sinonimo di timore, in virtù del quale gli investitori pretendono un “premio” per i rischi maggiori che corrono.

Nel caso di specie, dunque, indica quanto più l’Italia deve offrire rispetto alla Germania per attrarre gli investitori. Da questo punto di vista, l’economia tedesca è vista tradizionalmente come il riferimento più solido a livello europeo: più lo spread si assottiglia, più l’economia del nostro paese dà di sé un’immagine di stabilità. Allo stato attuale, i BTP italiani a dieci anni offrono un rendimento che si attesta sul 3,47%, contro il 2,60% dei Bund. Un differenza di 87 punti base (quindi dello 0,87%), che tuttavia testimonia di come progressivamente stia calando la percezione del rischio legata all’Italia.

Come siamo arrivati qui

A questo risultato hanno contribuito più fattori. Innanzitutto, il rialzo dei Bund tedeschi, dovuto all’annuncio di maxi-piani di investimento che ha fatto salire le attese sul proprio debito. C’è poi un riconoscimento internazionale dei provvedimenti del governo italiano in materia di riordino fiscale: secondo le analisi di Wall Street Italia e Bloomberg, i mercati guardano alla nostra economia, e al nostro debito pubblico, con ottimismo crescente.

Prova ne è il fatto che sempre più obbligazioni vengono acquistate e che i rendimenti stanno scendendo su tutte le tipologie di scadenze. In tal senso, è significativo quanto sottolineato da Milano Finanza: i rendimenti dei titoli italiani a due anni sono più bassi dei corrispettivi francesi. Un risultato rilevante, che non si verificava da quasi trent’anni.

I benefici percepiti

Ma i benefici della riduzione dello spread hanno ricadute ben più ampie sul benessere delle casse dello Stato. Tanto per cominciare, diminuiscono gli interessi sul debito ogni qual volta vengono emessi dei nuovi titoli. Un’opportunità per alleggerire il bilancio e reperire nuove risorse. Che poi, a loro volta, – sulla base di una valutazione che naturalmente non è solo economica ma anche politica – possono essere reinvestite: sul welfare, sulla sanità, sui trasporti, sull’istruzione.

Senza contare che in uno Stato in cui conti i migliorano, e che quindi è più capace di sostenere efficacemente la spesa pubblica, è meno probabile assistere ad un innalzamento delle tasse. Per una volta, insomma, lo spread sembra esserci amico. Anche se lo scenario, tra i nuovi dazi annunciati da Trump che rischiano di avere un impatto non indifferente su alcuni settori strategici della nostra economia e le tensioni geopolitiche ancora irrisolte, invitano alla prudenza: lo scenario può evolversi rapidamente.

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