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di Rame

Solo in Francia ho trovato i soldi per finanziare la mia idea

L’innovazione nasce dall’incontro tra idee e risorse economiche, ma spesso chi ha un progetto rischioso fatica a trovare chi lo finanzi. È qui che entra in gioco il ruolo fondamentale dello Stato come primo sostenitore e apripista. È la storia di Giulia Spina che, solo in Francia, ha trovato i fondi necessari per far decollare un’idea rimasta chiusa in un cassetto per dieci anni.

Tempo di lettura: 11 minuti

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Giulia Spina

Ascolta il podcast della puntata:

«Mi sono trovata in un momento in Francia in cui Macron ha deciso che la Francia doveva essere la start-up nation. C’erano già molti aiuti, ma lui ne ha messi ancora di più, tra cui, ad esempio, il fatto di poter avere due anni di disoccupazione se uno inizia un’attività in proprio».

«Ho fatto un po’ fatica, onestamente, qui in Francia, a trovare un ambiente che mi corrispondesse. Non è che abbia tutti questi amici a Clermont-Ferrand… però questa possibilità di poter in qualche modo creare un lavoro che mi corrispondesse, mi ha tenuto qui anche quando magari avevo voglia di tornare a Torino e di mandare tutto a quel paese».

L’innovazione succede quando chi ha le idee incontra chi ha i soldi per poterle realizzare. Se poi l’idea punta a cambiare la società — e porta con sé un alto rischio di fallimento — serve che lo Stato faccia da apripista, che sia lui il primo finanziatore. Ecco perché Giulia Spina, solo una volta arrivata in Francia, ha cominciato a credere che la sua idea, chiusa in un cassetto da 10 anni potesse finalmente prendere il volo.

La percezione della povertà

Giulia Spina ha 42 anni, oggi è per metà imprenditrice e per metà dipendente. Da qualche anno vive in Francia, a Clermont-Ferrand, una tranquilla cittadina del Massiccio Centrale.

«Ed è nel mezzo di quello che i francesi chiamano La Diagonale du Vide, cioè una diagonale dove non c’è niente… C’è solo Clermont-Ferrand. Però la cosa positiva è che, non essendoci granché attorno, su Clermont-Ferrand si concentrano molte attività culturali, musei, artisti…».

Clermont-Ferrand rappresenta l’ultima tappa di un percorso iniziato a Torino, la città dove Giulia è nata e cresciuta, in una famiglia benestante. La madre, insegnante, è poi diventata dirigente di un ampio comprensorio scolastico. Il padre, invece, dopo la chiusura dell’azienda di famiglia — avvenuta quando Giulia era ancora alle elementari — ha attraversato un periodo di incertezza, per poi reinventarsi come commerciale per un’azienda con clienti in Germania. Un lavoro che lo costringeva a frequenti viaggi e lunghe assenze da casa, finché non ha scelto di cambiare direzione.

«Ha trovato un lavoro nel pubblico e, a un certo punto, è diventato dirigente. Nel giro di qualche anno ha acquisito maggiori responsabilità e quindi ha avuto anche un aumento di stipendio notevole. Ma questo fatto di avere uno stipendio alto gli ha un po’ rovinato il carattere, perché a un certo punto non accettava più che gli venissero fatti degli appunti. Ricordo proprio frasi tipo: “Ah, ma mi venite a dire queste cose? Io guadagno X, io sono un problem solver…” Insomma, non so se gli ha fatto granché bene questo periodo di benessere economico».

Nonostante la solidità economica della famiglia, la percezione che Giulia ha è molto diversa.

«Io, onestamente, pensavo che fossimo poveri. A un certo punto mi ricordo che sono andata a fare un viaggio con delle amiche in Spagna, e prima di questo viaggio mia madre mi prese da parte e mi spiegò che non eravamo poveri e che potevamo permetterci quel tipo di vita. Infatti, poi, in questo viaggio trovai Zara – che in Italia non c’era – e mi comprai cinque capi. Passai un po’ da un estremo all’altro».

Questa sensazione di instabilità affonda le radici in un passato familiare che Giulia non ha vissuto direttamente, ma che rimane impresso nella memoria della sua famiglia e, in modo sottile, anche nella sua.

«Entrambi i nonni avevano delle aziende che poi hanno dovuto chiudere. Specialmente quella dal lato materno è stata una cosa un po’ pesante, sia per mia madre che per mio zio, perché loro erano abbastanza grandi da capire, ma non abbastanza da poter aiutare. E questo ha lasciato in mia madre – e anche in mio zio – un’attitudine estremamente prudente e orientata verso un posto fisso, un impiego sicuro».

La prima indipendenza

Dopo il Liceo Classico, Giulia sceglie di iscriversi alla Facoltà di Fisica. E una volta laureata, trascorre alcuni mesi in Canada con un contratto di ricerca, prima di rientrare in Italia per iniziare un dottorato al Politecnico di Torino in collaborazione con l’Insa di Lione, dove inizia a guadagnare 1080 euro al mese.

«Non avevo bisogno di ulteriori entrate, anzi, ero molto contenta di essere indipendente economicamente e di poter spendere senza dover chiedere il permesso a nessuno».

Terminato il dottorato, Giulia trova subito lavoro in un’industria aeronautica del torinese.

«Lì, ho passato degli anni bellissimi, in cui facevo un lavoro che mi interessava tantissimo. La mia capa mi dava un sacco di responsabilità e di autonomia e mi trovavo bene con i miei colleghi. Si lavorava, ma con un’atmosfera di grande trasparenza e grande collaborazione. Ero veramente felicissima».

Lo stipendio aumenta notevolmente e, per la prima volta, Giulia riesce anche a mettere da parte qualche risparmio. La sua attitudine, però, resta cauta.

«Avevo aperto un libretto alle poste che offriva un interesse praticamente nullo, una cosa assurda. Ma onestamente, non amo molto il rischio, sono molto prudente. Allo stesso tempo, sapevo che la mia famiglia, in caso di difficoltà, mi avrebbe potuto aiutare economicamente. Per questo, pur mettendo da parte dei risparmi, non ho mai vissuto con ansia l’aspetto economico nella mia vita da adulta, e riconosco che questo è un grande privilegio».

Intanto, durante gli anni del dottorato, Giulia conosce a Lione quello che diventerà il suo compagno. La loro relazione cresce a distanza, fino a quando, dopo la nascita della loro prima figlia, lui si trasferisce a Torino per iniziare una nuova vita insieme.

«Quando sono tornata dalla maternità, siamo passati dal vivere ognuno in città separate e vederci solo nel weekend, a lavorare nello stesso posto. Facevamo il tragitto di andata e ritorno insieme, vivevamo insieme… insomma, era un po’ totalizzante».

In azienda, intanto, le cose iniziamo a cambiare.

«Il clima non era più così positivo e il gruppo di ingegneria era raddoppiato. E con il doppio degli ingegneri, era inevitabile che si creassero più livelli gerarchici. Quando si lavora in un piccolo team, tutti nello stesso open space, si è più o meno sullo stesso piano. Ma con la crescita del gruppo, le gerarchie si sono moltiplicate e il lavoro è diventato, anche per questo, meno stimolante».

Il nuovo inizio

Così, Giulia e il suo compagno decidono di trasferirsi a Clermont-Ferrand, città d’origine di lui. E nel frattempo, arriva il secondo figlio. Lui trova subito lavoro e si stabilisce in Francia, mentre per Giulia la ricerca di una nuova occupazione si rivela più complicata. Decide quindi di restare a Torino fino a quando non avrà trovato un impiego. In attesa di ripartire, si trasferisce temporaneamente dalla madre, potendo contare ancora una volta su un solido sostegno familiare.

«Mia madre mi ha ripreso in casa con due bambini piccoli per quattro o cinque mesi. È stata molto disponibile e mi ha dato anche un supporto economico, perché stare a casa sua significava, tra le altre cose, non dover pagare un affitto».

L’idea imprenditoriale

Quando si presenta un’opportunità in Francia, Giulia si trasferisce. È un nuovo inizio, ma nel giro di un paio d’anni matura in lei la fiducia di poter aprire un cassetto che aveva tenuto chiuso per anni. E quindi lascia il posto fisso e decide di mettersi in proprio.

«Mi sono trovata in un momento in Francia in cui Macron aveva deciso che il Paese dovesse diventare la start-up nation. C’erano già molti aiuti, ma lui ne ha introdotti ancora di più, come ad esempio la possibilità di avere due anni di disoccupazione se si avviava un’attività in proprio. E quindi ho deciso di fare questa scelta, perché mi sono detta: “O la faccio adesso, o non la farò mai più”. Non avrei mai avuto condizioni così favorevoli: due anni di disoccupazione, un contratto già firmato, un socio che — in teoria — si sarebbe occupato della parte economica, mentre io avrei seguito quella tecnica. Meglio di così…».

La sua idea è ambiziosa: sviluppare un depuratore d’aria che sfrutti le piante per ripulire l’acqua, dopo che quest’ultima ha catturato gli inquinanti presenti nell’ambiente. Un’intuizione visionaria che, grazie al sostegno del suo socio e a un ambiente favorevole all’innovazione, comincia a prendere forma. In Francia, infatti, Giulia trova un ecosistema molto più ricettivo per le start-up green rispetto a quello italiano.

«In Francia, ancora prima di aver creato l’azienda, sei considerato “portatore di progetto” e puoi già fare domanda per ottenere delle sovvenzioni. Presenti il progetto — in cui magari il budget totale è di 30.000 euro — e te ne danno 20. È un aiuto enorme. Poi c’è un’altra borsa regionale che mi ha dato 10.000 euro».

«Avevo già provato a far decollare questo progetto, che porto avanti dal 2014, cercando di capire quali opportunità ci fossero. Ricordo che, insieme a due amiche potenziali socie, siamo andate alla Camera di Commercio di Torino a chiedere se esistessero dei sostegni per iniziative come la nostra, un progetto ambientale legato alla salute; ma Purtroppo, all’epoca non c’era nulla di concreto».

Le prime difficoltà

In questo contesto, Giulia avvia la sperimentazione dei primi prototipi.

«Nel 2022 ne avevo già due, ma non funzionavano: uno faceva un rumore terrificante e aveva un’efficacia del 50%. Il secondo faceva comunque abbastanza rumore, ma sul piano dell’efficacia lasciava a desiderare. Con questo terzo modello, invece, abbiamo preso un meccanismo che già funzionava in un altro ambito — è praticamente il meccanismo degli umidificatori — e gli abbiamo aggiunto altri pezzi per aumentarne l’efficacia e far sì che l’aria passasse a contatto con l’acqua e con le piante. Abbiamo fatto un bellissimo lavoro con l’Università di Torino per quantificare il microbiota che esce dall’apparecchio: l’aria presenta un tasso di biodiversità molto superiore a quello che si trova normalmente negli ambienti interni. E questo è un bene per il sistema immunitario. È un po’ come respirare l’aria di un bosco, di un ambiente naturale: non solo un’aria pulita dagli inquinanti, ma anche un’aria arricchita».

Dopo le prime sperimentazioni, però, arrivano anche le prime difficoltà.

«Dal punto di vista tecnico, l’oggetto funziona. Però mi sono trovata di fronte a difficoltà che non avevo previsto. Prima di tutto, realizzare i prototipi costa tantissimo, testarli pure. E intanto, in parallelo, devi anche capire se c’è un mercato, se ci sono clienti, se c’è qualcuno disposto a comprarlo. Perché spesso l’errore è avere un prodotto che funziona benissimo da un punto di vista tecnico, ma che non interessa a nessuno. Oppure succede il contrario: c’è tantissimo interesse, ma alla fine stai vendendo un sogno che non potrai mai realizzare a un prezzo accessibile per il pubblico. Insomma, la commercializzazione di questo prodotto si è continuamente spostata più avanti nel tempo…».

Attualmente Giulia finanzia la sua attività grazie a un prestito d’onore di 120.000 euro con un tasso d’interesse del 6%, concesso dalla BPI – Banque Publique d’Investissement – attraverso un programma promosso dalla città. Per ottenerlo non è necessario essere cittadini francesi: basta una semplice prova di residenza.

«Comincerò a restituire il prestito tra tre anni, mentre per il momento sto pagando solo gli interessi. Il finanziamento è intestato all’azienda e non a me personalmente, quindi, se dovesse andare male, la responsabilità rimane dell’azienda».

«Infatti, il mio sogno sarebbe portare questo sistema della BPI anche in Italia. È un modello che parte dal presupposto che il finanziamento all’innovazione, nove volte su dieci, non va in porto: è una scommessa. L’idea è di concedere finanziamenti che non sono enormi, ma che per una singola persona sono comunque già consistenti e perfetti per coprire le fasi iniziali di un progetto».

Un nuovo bilanciamento

Ora che sono terminati i due anni di sostegno alla disoccupazione previsti per i neo-imprenditori, Giulia ha trovato un impiego come dipendente in un’azienda idroelettrica, dove si occupa di controllo qualità. Questo nuovo lavoro le garantisce maggiore stabilità economica e, soprattutto, ha permesso di riequilibrare la dinamica familiare, che durante la fase più intensa della sua esperienza imprenditoriale gravava soprattutto sulle sue spalle.

«Mi stavo ritrovando a essere la casalinga della coppia: i bambini dovevo sempre andarli a prendere io, perché ovviamente “avevo più tempo libero”. Questa situazione, però, con il nuovo lavoro si è riequilibrata enormemente, sia dal punto di vista economico sia da quello dell’impegno familiare. Ed è una cosa ottima anche per i bambini, perché è giusto che passino del tempo con il padre».

E intanto, con i soldi che guadagna, Giulia investe nel suo progetto.

«Per me, questoè un investimento in un’attività futura, che — io spero — avrà un ritorno nel tempo. Ci ho messo un po’ ad accettare il fatto che, anche se non dovesse funzionare… amen, è comunque giusto provarci. Poi, certo, a volte mi sveglio di notte con l’ansia.»

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