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Milano calamita dei super-ricchi: la flat-tax fa bene all’economia?

Milano sta vivendo un boom senza precedenti di nuovi residenti super-ricchi, attratti dalla flat tax da 200mila euro sui redditi esteri. Le vie del lusso e il mercato immobiliare corrono, ma resta una domanda cruciale: questa ricchezza migliora davvero l’economia del Paese o rischia di trasformare la città in una vetrina inaccessibile ai più?

Tempo di lettura: 5 minuti

flat tax
Foto di Andrii Bondarenko

Milano è la nuova calamita per i super-ricchi. Non lo diciamo noi: lo scrive il Financial Times, raccontando di una città che negli ultimi anni ha cambiato faccia grazie a un regime fiscale pensato per attrarre patrimoni milionari. La regola è semplice: una flat tax di 200.000 euro l’anno sui redditi prodotti all’estero, uguale per chi guadagna cinque come per chi guadagna cinquanta milioni. Il fenomeno si vede nei quartieri centrali, dove i cartelli “vendesi” spariscono in un attimo e gli affitti corrono più veloci degli stipendi. Milano non è più solo capitale del lavoro e della moda, ma una destinazione per chi cerca una vita dorata, senza troppi obblighi verso il fisco. La città brulica di case di lusso, servizi premium, benefit scintillanti. Ma la domanda che resta è la stessa: conviene davvero all’Italia? Oppure rischiamo di trasformare le nostre città in vetrine esclusive, lasciando fuori chi produce, lavora e consuma “normale”?

Come funziona il regime dei neo-residenti

La misura è stata introdotta nel 2017, pensata per attrarre ricchezza dall’estero. Nel 2024 è stata modificata, raddoppiando l’imposta sostitutiva da 100mila a 200mila euro. In altre parole oggi chi trasferisce qui la residenza fiscale paga 200mila euro l’anno per tutti i redditi esteri, indipendentemente dall’importo reale, per un massimo di quindici anni. I redditi prodotti in Italia restano soggetti alle aliquote ordinarie Irpef, ma l’attrattiva sta nel poter “congelare” tutto ciò che arriva dall’estero con un’unica cifra. In questo modo chi guadagna decine di milioni fuori dall’Italia paga la stessa cifra di chi ne guadagna “solo” qualche centinaio di migliaia.

Le voci degli esperti

«Il regime agevolativo è molto interessante per soggetti con patrimoni esteri, ma non è affatto automatico che produca ricadute sull’economia reale», ha detto Ottavia Orlandoni, partner di DWF Studio Legale in una intervista a We Wealth. «Se non vengono previsti vincoli o accompagnato da politiche che spingano gli investimenti produttivi – continua l’esperta – rischia di restare solo un beneficio individuale». Anche la Corte dei Conti ha espresso un parere altrettanto netto: «Non sono state approntate rilevazioni per valutare la reale rispondenza della misura agli obiettivi dichiarati».

Tradotto: lo Stato non sa se la misura funzioni davvero, e non esistono strumenti di monitoraggio che lo dimostrino. Sul fronte politico, la critica più forte è arrivata da Cristina Tajani (PD) in una recente intervista a SkyTG24: «Il trasferimento di queste persone ha comportato, in alcuni casi eclatanti come Milano, un impatto rilevante sul mercato immobiliare, con conseguenze sui cittadini residenti» . La sua proposta è di introdurre una sovraimposta comunale del 12,5-15%, così che almeno parte del gettito resti sul territorio.

Quanto rende davvero

Dal 2017 al 2022 la flat tax per i neo-residenti ha portato circa 260 milioni di euro. Una cifra che può sembrare importante, ma in un bilancio pubblico da oltre 800 miliardi è una goccia nell’oceano. La stessa Corte dei Conti ha avvertito: «Senza trasparenza e valutazioni di impatto, la misura rischia di essere giudicata solo per gli effetti sul mercato immobiliare e sui consumi di lusso». Non è un caso se anche il Fondo Monetario Internazionale ha segnalato che queste politiche, senza vincoli, tendono ad alimentare le disuguaglianze e a produrre effetti limitati sulla crescita del PIL reale.

Milano e i prezzi delle case

Il vero terreno di prova resta il mercato immobiliare. A Milano, come rilevato dall’analisi di AbitareCo., i prezzi medi hanno superato i 5.500 euro al metro quadro, con punte sopra i 10mila in centro. In dieci anni la crescita è stata di quasi il 50%, contro una media nazionale ferma intorno al 9%. Il rischio? Che la flat tax diventi il carburante di una bolla, capace di arricchire costruttori e proprietari, ma di ridurre le possibilità per chi lavora e studia in città.

Il confronto con Lisbona e Londra

E nel resto d’Europa? Lisbona ha vissuto un percorso simile con il regime dei residenti non abituali. Dopo anni di polemiche sull’aumento dei prezzi delle case e sull’impatto sociale, il governo portoghese ha deciso di chiudere il programma. «Abbiamo bisogno di tutelare chi vive e lavora qui, non solo chi investe» aveva detto l’ex premier António Costa. Anche il Regno Unito ha fatto una scelta drastica. Dal 2025 è stato abolito lo storico regime “non dom”, utilizzato da centinaia di super-ricchi per non pagare tasse sui redditi esteri. «La decisione è stata presa per ragioni di equità e sostenibilità fiscale», hanno dichiarato da Downing Street. 

E adesso?

Questi precedenti mostrano che l’Italia non è sola: altri Paesi hanno sperimentato politiche simili, ma alla lunga i costi sociali hanno superato i benefici. Milano oggi è più internazionale e attrattiva. I settori del lusso crescono, le vetrine brillano, e il nome della città gira sulle riviste internazionali. Ma la vita quotidiana dei residenti racconta un’altra storia: affitti più alti, case meno accessibili, giovani costretti a spostarsi, disuguaglianze crescenti. Se l’Italia vuole che questa politica non resti un privilegio per pochi, deve fissare condizioni chiare. Collegare le agevolazioni a investimenti in imprese, startup, ricerca e posti di lavoro. Proteggere l’accessibilità abitativa con strumenti urbanistici e fiscali. Rafforzare il potere d’acquisto delle classi medie. Altrimenti la flat tax rischia di restare il simbolo di un Paese che accoglie i super-ricchi a braccia aperte, ma lascia fuori la maggioranza dei suoi cittadini.

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